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Giu' la testa -

Regia:Sergio Leone
Vietato:No
Video:Elle U Multimedia
DVD:CVC
Genere:Western
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Sergio Leone, Sergio Donati
Sceneggiatura:Luciano Vincenzoni, Sergio Leone, Sergio Donati
Fotografia:Giuseppe Ruzzolini
Musiche:Ennio Morricone
Montaggio:Nino Baragli
Scenografia:Andrea Crisanti
Costumi:Franco Carretti
Effetti:Antonio Margheriti
Interpreti:James Coburn (John\Sean Mallory) Romolo Valli (Dottor Villega), Rod Steiger (Juan Miranda), Rick Battaglia (Santerna), Maria Monti (Adelita), Franco Graziosi (Governatore), Domingo Antoine (Col. Gunterreza), Franco Collace (Napoleone)
Produzione:Fulvio Morsella per Rafran Cinematografica - Euro International Films
Distribuzione:Cineteca dell’Aquila – Collettivo dell’Immagine
Origine:Italia
Anno:1971
Durata:

154’

Trama:

Un fuorilegge messicano, Juan Miranda, padre di cinque figli che lo aiutano nelle sue imprese banditesche, associatosi con un irlandese, John Mallory, per svaligiare un banca, si ritrova invece a combattere al suo fianco coi rivoltosi di Villa e Zapata. Dopo aver preso parte alla conquista di una cittadina, Mesa Verde, e alla distruzione - in un'imboscata di buona parte delle truppe del colonnello governativo Gunther Resa - uno spietato massacratore di peones - Juan scopre che costui, riuscito a salvarsi, ha fatto uccidere, con altri ribelli rifugiatisi sui monti, i suoi cinque figli. Tentando una disperata sortita contro i "regulares", che lo hanno stretto d'assedio in una grotta, Miranda finisce loro prigioniero, ma John lo salva in extremis dalla fucilazione. Benchè venga considerato un eroe, Miranda non s'è convertito affatto alla rivoluzione. Insieme con John, sale clandestinamente su un treno che ospita anche un aborrito governatore. Il treno viene attaccato dai rivoltosi e ancora una volta Juan e John si ritrovano schierati con loro. Ucciso il governatore, Miranda affronta, a fianco dell'amico, i soldati di Gunther Resa, che vengono sconfitti. Nel corso della battaglia, prima di cadere sotto i colpi di Juan, il colonnello ferisce John mortalmente. Juan Miranda aderisce infine alla causa rivoluzionaria, grazie soprattutto alla precedente opera di persuasione attuata da John.

Critica 1:Ribelle irlandese esperto di dinamite, emigra in Messico dove si allea con un rozzo e generoso bandito per svuotare una banca. Si ritrovano insieme a combattere con i peones di Pancho Villa e di Emiliano Zapata. Narratore di razza, S. Leone ha sfornato un melodramma antimperialista che non si prende troppo sul serio e che alterna il tono eroicomico con una liturgia solenne che qua e là si fa pesante. R. Steiger istrionico, J. Coburn sobrio, R. Valli delizioso. Leone alza il tiro. Scritto dal regista con Sergio Donati e Luciano Vincenzoni. Come nei quattro western precedenti di Leone e in C'era una volta in America, le musiche sono di Ennio Morricone e contribuirono al successo del film (quasi 2 miliardi d'incasso).
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:« La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria,non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza ». La citazione da Mao Tze Tung precede i titoli di testa del film, e promette un tono serioso. Ma il regista immediatamente la ridimensiona, con la prima inquadratura: una colonia di formiche rosse su cui Juan (Rod Steiger) orina abbondantemente. Se le formiche rappresentano il popolo, il senso della scena, apparentemente gratuita, si può riassumere in una semplice aggiunta alla citazione iniziale: la rivoluzione è un atto di violenza che ricade sempre sulla povera gente. Ancora piú esplicita è la rabbiosa invettiva contro la rivoluzione che Juan scaglia su John (James Coburn) durante la marcia verso San Isidro, al termine della quale l'irlandese getterà nel fango il libro di Bakunin che sta leggendo: «Rivoluzione? Rivoluzione? Per favore, non parlarmi tu di rivoluzione! Io so benissimo cosa sono e come cominciano: c'è qualcuno che sa leggere i libri che va da quelli che non sanno leggere i libri, che poi sono i poveracci, e gli dice: - Oh, oh, è venuto il momento di cambiare tutto - (... ) Io so quello che dico, ci son cresciuto in mezzo, alle rivoluzioni. Quelli che leggono i libri vanno da quelli che non leggono i libri, i poveracci, e gli dicono: - Qui ci vuole un cambiamento! - e la povera gente fa il cambiamento. E poi i piú furbi di quelli che leggono i libri si siedono intorno a un tavolo, e parlano, parlano, e mangiano. Parlano e mangiano! E intanto che fine ha fatto la povera gente? Tutti morti! Ecco la tua rivoluzione! Per favore, non parlarmi piú di rivoluzione... E porca troia, lo sai che succede dopo? Niente! Tutto torna come prima». Insomma, è quasi un'autocritica dell'autore: la rivoluzione è una bella teoria, ma quando è il momento di metterla in pratica c'è sempre qualche ingranaggio che non gira nella maniera giusta, come in fondo aveva individuato lo stesso Mao nella celebre affermazione: « Appena finita una rivoluzione, se ne dovrebbe subito cominciare un'altra ».
Juan è il popolo, che non sa niente di politica e vorrebbe ignorare la situazione per occuparsi soltanto del proprio interesse; John è il rivoluzionario, l'idealista deluso, che sa fin troppo bene come vanno le cose e vorrebbe disperatamente dimenticarlo. Ma non è facile cancellare lo scopo di una vita: cosí John, oltre a farsi nuovamente coinvolgere, trascina nella mischia anche Juan, che imparerà a sue spese a quale prezzo si diventa eroi. Certo, il messicano è un "predestinato": l'assalto alla diligenza su cui viaggiano aristocratici, affaristi e clero è una piccola rivoluzione, presagio di quella piú grande che Juan commetterà. Ma è ancora una rivoluzione sui generis, condotta da un furfantello che pensa soltanto a rubare, stuprare e, tutt'al piú, a umiliare i potenti denudandoli e facendoli cadere nel recinto dei maiali: non proprio una rivoluzione, soltanto uno sberleffo.
Il tragitto di Juan passa attraverso una serie di coincidenze che fanno pensare a un autentico complotto ai suoi danni. L'incontro con John è annunciato da un'esplosione (che Juan scambia per un tuono). Come un avvertimento: stai attento, arriva l'uomo che cambierà la tua vita. Poi, sempre sul filo delle esplosioni, Juan e John si conoscono e affrontano la loro strada in comune che porterà il primo alla solitudine e il secondo alla morte. Quindi, se John è il destino di Juan, la rivoluzione è il destino di entrambi. Quando il dottor Villega (Romolo Valli) salva Juan sul treno aiutandolo a sbarazzarsi del soldato che lo vuole arrestare, diventa uno strumento del destino. Quando lo stesso Juan fa saltare la costruzione in cui si trovano alcuni soldati e Aschenbach, il datore di lavoro di John, diventa anch'egli uno strumento del destino. (...)
Juan è dunque l'immagine trasposta del popolo che, quando arriva finalmente a capire, si rende conto di essere sempre in credito con la Storia. Mentre fanno la Storia, gli uomini (soprattutto quelli che non sanno leggere) ne vengono implacabilmente risucchiati. L'impotenza dell'uomo davanti alla Storia si traduce nel trionfo del Destino. Non un destino incarnato da un singolo personaggio (come in Per un pugno di dollari) o riguardante una vicenda privata dei protagonisti (come in Per qualche dollaro in piú), e neppure il destino storico di C'era una volta il West. È il Destino Assoluto, la ineluttabilità del Caso che regge le sorti dei protagonisti, del Messico e magari del mondo. Quindi, anche della Storia. (…)
L'altro tema-chiave del cinema di Leone presente in Giú la testa è l'amicizia. Juan e John, dopo numerose schermaglie, arrivano a stimarsi e a combattere per la stessa causa. Ciò consente all'autore di ricordare il vecchio cinema americano, e in particolare quello dei grandi comici. All'inizio Juan è descritto come un personaggio chapliniano: il suo ingresso nella diligenza dei ricchi fa pensare alla funzione di Charlot, capace di mettere in crisi i potenti con la sua sola presenza. Poi, quando compare John, Chaplin lascia il posto a Laurel e Hardy: i "dispetti" che i due si scambiano a suon di revolverate e di esplosioni appartengono alla folta casistica della coppia comica, soprattutto quando la ritorsione è effettuata con assoluta impassibilità, come se pestare un piede, ricevere una torta in faccia o far saltare in aria una diligenza fossero le cose piú naturali del mondo (…). Ma, dopo queste incomprensioni, il rapporto tra Juan e John si fa intenso, sino a culminare nella scena finale quando, un attimo prima di morire, John restituisce a Juan la croce che il messicano si era strappata dal collo a San Isidro davanti ai corpi dei figli uccisi da Gunterreza. È dall’attimo di emozione insolita in un regista abitualmente molto distaccato. Del resto è il tono generale a fare di Giú la testa un caso unico, perché Leone vi ha messo in gioco buona parte di se stesso. Forse per questo è il piú attento ai sentimenti dei protagonisti e il piú persuasivo nell'offrirli al pubblico.
Autore critica:Francesco Mininni
Fonte critica:Sergio Leone, Il Castoro Cinema
Data critica:

1-2/1989

Critica 3:
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Fonte critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film
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