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Papà... è in viaggio d'affari - Otac na sluzbenom putu

Regia:Emir Kusturica
Vietato:14
Video:Elle U Multimedia, Cd Videosuono
DVD:
Genere:Commedia
Tipologia:I bambini ci guardano
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Abdulah Sidran
Sceneggiatura:Divna Jovanovic, Abdulah Sidran
Fotografia:Vilko Filac
Musiche:Zoran Simjanovic
Montaggio:Andrija Zafranovic
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Moreno De Bartolli (Malik), Mirjana Karanovic (Sena), Miki Manojlovic (Mesa)
Produzione:Forum Sarajevo
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Jugoslavia
Anno:1985
Durata:

128'

Trama:

Mesa è un brav'uomo di Sarajevo, coniugato con Sena e padre di due bambini. Un giorno, in treno, gli scappa un commento su di una vignetta stampata su "Politica": quanto basta alla sua amante, che è presente, lo ama e ne è gelosa, per parlarne al fratello di Sena, del quale poi la donna diventerà la moglie. Il cognato di Mesa, funzionario del Partito in un'epoca (una quarantina di anni fa) di stretta osservanza stalinista, fa inviare l'incauto suo parente ai lavori forzati in una lontana miniera. Tocca a Sena mandare avanti la baracca con piccoli lavori da sarta e dando ad intendere a tutti, soprattutto al settenne Malik e al di lui fratello maggiore, che papà è in viaggio d'affari. Dopo la scomunica del Kominform (1948) e la ribellione autonomistica di Tito, i tempi cambiano: Mesa viene cosi riabilitato e trascorrerà, riunito alla famiglia, un successivo periodo di impegno politico in un'altra cittadina, dove Malik va a scuola, fa il pioniere e si innamora della piccola figlia di un medico, russo di nascita, peraltro destinata a morire. Finalmente Mesa potrà tornare nella sua casa di Sarajevo e, in occasione di una festa familiare, tenterà di far riappacificare Sena con il fratello gerarca (ora ad ali più afflosciate): certi tempi e metodi sembrano tramontati e si deve stare in accordo e in allegria. Però, e seppure tardivamente, Mesa si prende la sua personale vendetta, violentando la cognata che volle denunciarlo: ciò, mentre tutti gli invitati - e con loro la intera Jugoslavia - sono incollati alla radio ed accolgono con una esplosione di gioia irrefrenabile la vittoria della nazionale di calcio sulla squadra dell'URSS ancora stalinista. Di tutte le vicende collettive e familiari Malik è il testimone: a lui ed alla sua generazione spettano il compito di una narrazione spontanea e candida, nonché la speranza di tempi meno feroci e vendicativi.

Critica 1:Sarajevo 1949, dopo la scomunica del Cominform e il distacco da Mosca della repubblica titina: lo stalinismo degli antistalinisti dilaga, e ne fa le spese anche Mesa (M. Manojlovic), brav'uomo e indefesso puttaniere, rinchiuso senza processo in un campo di lavoro da dove esce nel 1952. In una certa misura la storia è raccontata attraverso gli occhi innocenti di Malik (M. de Bertolli), piccolo sonnambulo e figlio di Mesa. È lui il nucleo poetico di una commedia agrodolce, tenera e crudele, scritta da Abdulah Sidran, bosniaco musulmano come il giovane regista (1955) cui aveva già fornito il libretto di Ti ricordi di Dolly Bell? (1981). Tira una fresca brezza di neorealismo italiano in questo film che propone una ricca galleria di personaggi simpatici o odiosi e, insieme con la sua grazia umoristica, alcuni momenti di forte suggestione emotiva. Palma d'oro a Cannes.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Quanti traslochi ci sono nei film di Emir Kusturica? Ti ricordi di Dolly Bell? si concludeva con il trasferimento della famigliola da un alloggio precario a una vera abitazione, col contrappasso però della perdita del genitore. Papà è in viaggio d'affari prende le mosse dal l'allontanamento forzato del pater familias, che porta successivamente al trasloco di moglie e figli in una zona paludosa e viene infine risarcito dal ritorno di tutti alla stabilità della casa originaria. L'ambientazione dei film nei primi Cinquanta è anteriore di dieci anni rispetto all'altra opera del regista jugoslavo, ma si può ben immaginare Papà è in viaggio d'affari come una variante di Ti ricordi di Dolly Bell? Uguale è la caratterizzazione familiare, identica la collocazione della donna come garante della continuità domestica contro la dispersione rovinosa rappresentata dall'uomo, simile la posizione dei due figli rispetto ai due figli minori del film precedente: il fratello più grande sognatore e distaccato, quello più piccolo all'occorrenza pragmatico e sornione. Il movimento dei personaggi è, dei resto, relativo: Sarajevo è il luogo di partenza e di arrivo, l'universo dove già di per sé tutte le divergenze convergono e tutte le antitesi coesistono in un coacervo di etnie e religioni. La famiglia protagonista è mussulmana, ma il padre è ateo e i vicini sono ortodossi.
La moschea accanto alla sinagoga, accanto alla chiesa cattolica e a quella ortodossa: la stratificazione della città, il vertiginoso confondersi di Occidente e Oriente, di presente e passato remoto, sono parte costituente del cinema di Kusturica e dello sceneggiatore Abdulah Sidran. Hanno strettamente a che fare con un graffito della memoria (Ti ricordi di.,. ?) che non rientra nel modello di riappropriazione individuale e introspettiva dei “romanzo” borghese-europeo, ma appartiene alla circolarità dell'immaginario collettivo, dove l'antico e il moderno si affacciano con uguale percezione, in un'unica immagine di superficie. Quel “ti” perciò non è autobiografico e autoriflessivo, come si era notato in altra occasione, ma oscilla tra il soggettivo e l'impersonale, dialogando con lo spettatore che magari non ha vissuto quegli anni (come certamente non ha potuto il regista, trentenne, per quanto riguarda il suo ultimo film), eppure Ii ha filtrati in una coscienza di tipo mitico, fatta di reperti-feticcio che, meglio di ogni lettura storicista, sintetizzano l'umore e le ansie di un'epoca e, meglio di un'analisi di singole psicologie, colgono la dimensione privata dei fatto sociale.
Dolly Bell in definitiva è il semplice baluginare in un film d'importazione di una scollatura un po' profonda e di due cosce scoperte e tuttavia niente come quella fuggevole apparizione cinematografica si fissa nella memoria degli anni Sessanta, di un periodo di disgelo in lotta contro la cecità ideologica e la normativizzazione dei comportamenti. Con uguale efficacia in Papà è in viaggio d'affari le radiocronache delle partite della nazionale danno corpo a un fantasma collettivo, quello della rivalsa della Jugoslavia nell'isolamento a cui la scomunica di Mosca e il voltafaccia dei paesi alleati l'hanno costretta; nello stesso tempo la radio, “tamburo tribale”, intercetta altre emozioni, catalizzando evento pubblico e privato, cioè esprime “II suo potere di trasformare la psiche e la società in un'unica stanza degli echi” (McLuhan). Così la cronaca in diretta della partita vittoriosa della Jugoslavia contro l'Urss, che chiude il film, “commenta” anche la rivincita di Mesa contro quelli che l'hanno confinato e la rivalsa violenta sulla donna che l'ha tradito. In questo ed altri episodi l'unitarietà dello spazio sonoro e la frammentazione di quello visivo permettono a Kusturica di rendere a pieno l'effetto di un graffito: la radio, ascoltata spesso in gruppo, si sovrappone al quotidiano, penetra negli ambienti e nelle situazioni, sconvolge il rapporto fra la distanza e la vicinanza degli eventi. Il piccolo Malik collega il suo ingenuo innamoramento per una coetanea al giorno in cui la Jugoslavia batte la Svezia: il calcio, nell'amplifìcazione radiofonica, diventa la Storia, o meglio uno strumento per esprimere l'appartenenza dell'individuale al collettivo.
Naturalmente si tratta della simulazione di un rapporto con la realtà storica: una semplificazione della complessità in un alternarsi di vittorie e sconfitte senza dialettica e senza progressione. Il movimento del racconto, del resto, è circolare: allo schema partenza/ritorno a Sarajevo è abbinata la dinamica smembramento/ricompattamento della famiglia, altrimenti qualificabile come perdita/ritrovamento del padre. Mesa all'inizio è viaggiatore di commercio, in un ruolo in qualche modo sfuggente; lo ritroviamo alla fine nella solida veste di funzionario di partito, ma fra i due momenti non interviene alcuna evoluzione psicologica o ideologica: le sue convinzioni politiche rimangono quelle dei clichè più esteriore (l'“estetica comunista” del portamento marziale che cerca di inculcare a Malik in occasione di una cerimonia a cui presenziano le alte sfere del partito), mentre l'anima del puttaniere lo accompagna anche dopo il travagliato recupero dell'unità familiare. D'altra parte, l'“incidente” che gli causa l'immeritata segregazione ha il tono beffardo di un paradosso, diventando lo specchio della totale arbitrarietà che accompagna la caduta e il riscatto dei personaggio. Mesa infatti viene arrestato per non aver riso a una vignetta effettivamente assai ironica (Marx che studia sotto un ritratto di Stalin), mentre è normale semmai che un regime poliziesco si accanisca contro chi scorge il grottesco dietro la tetra serietà dei potere. Se l'antistalinismo viene qui fatto incontrare coi suo opposto, l'episodio mostra anche come il riso possa diventare coatto e l'ironia un dogma. L'inversione dei termini, e la conseguente cancellazione di senso, è in sintonia con il circuito chiuso, con la mancata progressione che contraddistingue il film fin dalla sua struttura.
Anche sul piano di una ricostruzione storica, Kusturica non porta alla luce l'altra faccia ottusa e repressiva della sacrosanta battaglia jugoslava per l'autodeterminazione, bensì la perdita di referenza della politica col reale, la sua riduzione a ridicola facciata di esibizioni ginniche e slogan per lo più storpiati. Ricondotta alla dimensione del calcio, la politica è gioco tattico, simboleggiato nella figura di Cekic, l'ispettore che non perde occasione per una partita a scacchi, ritagliato in un gustoso controcanto al grigiore circostante dalla stupenda caratterizzazione di Slobodan Aligrudic, qui crediamo alla sua ultima prova prima della morte, che sa coniugare strafottenza ed eleganza. Chi invece prende il gioco troppo sul serio, non cogliendo nel proprio ruolo l'aspetto ludico e simulatorio, finisce sorpassato, ci perde il sonno e poi la salute, come accade a Zijo, il poliziotto che ha subordinato i legami parentali e il possesso della donna alla propria collocazione nella gerarchia del potere. Se Mesa riemerge dall'esilio e si avvia a una promettente carriera in politica, lo deve a una capacità di incassare i colpi che fa tutt'uno con la sua totale disponibilità alla vita, con la sua bambinesca mancanza di responsabilità e di mascheramenti: egli è la vittima di un dispositivo kafkiano, ma la sua folle innocenza lo salva e lo fa riemergere continuamente alla superficie delle cose, senza risentimenti e con le energie vitali ancora intatte. Pedrag Manojlovic coglie benissimo nella sua interpretazione una certa bêtise del personaggio, che è affettuoso genitore e libertino impenitente con uguale dedizione e convincimento, senza alcuna ironia, come se si trattasse di due facce indipendenti della sua personalità. La figura dei padre, come fulcro della società ed elemento ordinatore dei discorso, ne esce comunque annullata. I fìlm di Kusturica, anche se coniugati al passato, rendono l'immagine della Jugoslavia attuale, in fase di passaggio dal patriarcato e dalla società contadina a forme di organizzazione e modelli di pensiero ancora da scoprire. Sarajevo, che non è più paese e non è ancora città, ma meno che mai è campagna, riflette metaforicamente tale situazione di stallo; al fuori di quell'universo variegato ma immobile l'indefinito, il territorio infido simboleggiato da regione acquatica di Zvornik. Si capisce a questo punto il significato della passione per l'illusionismo del giovane Dino in Ti ricordi di Dolly Bell così come del sonnambulismo di Malik in Papà è in viaggio d'affari - in entrambi i casi si tratta del tentativo di uscire dall'impasse dei genitori con una forzatura della realtà, vissuta in parte con autentica trance e sfogo dell'inconscio e in parte come strumento consapevole per ottenere ciò che nell'orizzonte dei bambino è tabù.
L'episodio in cui Malik, fingendosi sonnambulo, riesce a introdursi nel letto di papà e mamma, impedendo loro un amplesso lungamente atteso, da manuale psicanalitico, oltre che da antologia cinematografica. Lo stato ipnotico permette al bambino di sfuggire alla responsabilità, di esser al tempo stesso presente e assente, stabilendo, ad esempio, una tattilità in via mediata con la bambina di cui è innamorato. A differenza del fratello maggiore Mirzia, sguardo da miope, sempre intento a maneggiare scarti di pellicole, che ha trovato nel cinema una suggestione che non comunica con l'esterno Malik agisce sulla realtà con l'ambivalenza vero/falso del suo sonnambulismo, impone la sua volontà proprio nel momento in cui sembra abbandonarsi a impulsi sconosciuti, rovescia l'esibizione in voyeurismo osservando dall'esterno le situazioni da lui stesso scatenate. I suoi commenti al comportamento degli adulti nascono da quel misto di partecipazione e distacco: gli hanno fatto credere che papà è in viaggio d'affari ed egli, stando al gioco, si limita a registrare il comportamento esagerato dei familiari di fronte a un fatto di routine.
Kusturica utilizza quello sguardo parallelo, incantato/disincantato, per dare al film, che tocca le corde più disparate - dal dramma sociale al bozzetto ambientale - il giusto tono, la giusta collocazione in un territorio di mezzo fra modelli formali tutti scivolosi. Se Ti ricordi di Dolly Bell? sconfinava ancora a tratti nella macchietta o nel patetico puro e semplice, qui lo spettatore è portato a ridere o a commuoversi immedesimandosi in una finzione che tuttavia in parte può esser vissuta come vera, autentica nel grado di percezione di un bambino. Il regista però non sposa completamente neppure la levità della prospettiva infantile; se ne serve per l'impaginazione del racconto, ma poi è ben attento a trovare in ogni situazione il punto di rottura, il limite di un arresto, di un'implosione che riscalda la finzione. Si pensi all'acuta indefinizione di alcuni momenti: il funerale senza il morto oppure Mesa che corteggia una ragazza in una località termale sotto lo sguardo (sbigottito? incuriosito? di riprovazione?) di Malik, mentre una donna gigante sullo sfondo è un chiaro simbolo della madre lontana e tradita.
Kusturica ha un talento naturale per catturare la goffaggine, l'andar fuori misura di alcune scene: può essere il momento d'indugio di uno speaker, ridicolmente vestito da aviatore, davanti a un microfono sibilante, oppure il quadretto attonito della famigliola riunita sul letto in un unico abbraccio dopo un litigio forsennato. Il regista ama è affastellare l'inquadratura di elementi (la nuvola di vapore che avvolge Mesa e la moglie Sena al loro reincontro, il ventilatore che scandisce la tensione negli incontri di Mesa con il potere poliziesco), introduce digressioni (le figure dello scemo del villaggio o del l'alcoolizzato); lo sguardo dello spettatore tende a essere continuamente spostato dal punto focale, come nella complessa sequenza del festino di matrimonio che nella volontà dei personaggi dovrebbe rappresentare il momento di riconciliazione e che invece diventa il punto di partenza per nuovi conflitti. Allo stesso modo che in Ti ricordi di Dolly Bell? l'episodio del ritrovamento finale dà luogo sul piano cinematografico all'organizzazione dello spazio e alla resa sonora più dissonante, con la radiocronaca della partita che sommerge regolamenti di conti privati, giochi di ragazzi e constatazioni subitanee di fallimento personale. Le due donne, una ancora vestita da sposa e l'altra incinta, che si ritrovano sole intorno a una tavolata velocemente disertata, sono il controcanto doloroso all'inesorabile fuga dal centro che caratterizza le storie e l'atteggiamento stilistico di Kusturica: la figura femminile resta, ingombra staticamente l'inquadratura (cfr. la donna gigante della stazione termale), porta il peso di una storia familiare dove l'uomo è inevitabilmente un bambino che sfugge alle proprie responsabilità. L'aver colto questo tratto psicologico, questa presenza che fa resistenza al tono smaliziato di una quasi commedia è la novità dell'ultimo film dei regista rispetto alla sua opera precedente. Il pianto di Sena davanti al marito addormentato coglie per intero il senso di impotenza e frustrazione della donna, respingendo nello stesso tempo ogni significazione univoca, ogni slabbratura patetica.
Alla fine il sonnambulo Malik prende il volo, sollevandosi in sogno sulla campagna. Si volta e strizza l'occhio al pubblico: è il congedo più azzeccato per un film dove ammiccamento e sospensione di significati creano un'oscillazione che continuamente rilancia l'attenzione del pubblico.
Autore critica:Lodovico Stefanoni
Fonte critica:Cineforum n. 254
Data critica:

5/1986

Critica 3:Nelle intenzioni degli autori, la storia di Malik è essenzialmente la storia della giovane Jugoslavia, di cui il piccolo ha grosso modo la stessa età, la storia del divorzio dal suo protettore Stalin senza rinunciare al comunismo. Tale coincidenza anagrafica consente di abbracciare una prospettiva particolare, indiretta, nei confronti degli avvenimenti storico-politici che vengono raccontati. In essi i fatti sono filtrati attraverso il punto di vista di chi li vive senza averne una precisa coscienza. Come accade per Malik, la cui voce, che si autopresenta, guida lo spettatore a entrare nella storia. La sua meraviglia e i suoi ingenui interrogativi di fronte all’incomprensibilità delle cose immergono le frasi e i comportamenti degli adulti in una atmosfera surreale e a tratti addirittura magico-fantastica. È il caso delle continue scappatelle amorose del padre e delle scoperte fatte dalla madre, del rapporto intimo tra i genitori, della circoncisione del fratello, ma anche dei continui riferimenti e doppi sensi legati alla situazione politica, compreso il discorso su Tito e il Partito con cui Malik esprime il ritorno ormai maturo della sua famiglia a Sarajevo.
Lo sguardo incantato di Malik introduce nel film la dimensione di immaginazione e fuga dal reale che costituisce la cifra privilegiata attraverso la quale osservare il mondo. Questa è emblematicamente suggerita dallo stato di sonnambulismo in cui versa sempre più spesso il protagonista, ma anche dalla passione per il cinema del fratello Mirza, per il quale le immagini proiettate sullo schermo rappresentano la possibilità di accedere a un mondo diverso, parallelo, in cui tutto sembra più bello e interessante.
Centrale nel film è il tema della famiglia, suggerito dall’immagine simbolica del grande albero con cui esso si apre. È all’ombra di questo grande albero che avrà luogo la crescita e la formazione di Malik, come sottolineato dal movimento, dall’ulteriore valenza simbolica, del piccolo che una corda fa salire in alto sull’albero stesso. Nella parte iniziale si definisce l’universo dei valori del piccolo protagonista, il cui sogno più grande è rappresentato da un pallone di vero cuoio con cui imitare le gesta dei campioni della nazionale di calcio, seguite alla radio. Un oggetto che il bambino riceverà dallo zio nel finale del film, a sancire il compimento di un percorso di formazione in cui il sogno rivela finalmente il suo aspetto di realtà.
Mesa mostra al figlio come deve camminare, mantenendo quella posizione perfettamente eretta che dovrebbe caratterizzare un perfetto comunista. Come se dovesse prepararlo per il lungo cammino che il piccolo sarà costretto a esercitare nel corso del racconto. Un percorso nel quale Malik risponderà con il sonnambulismo all’anomalia e al disagio della situazione in cui si trova la propria famiglia, tenuta insieme grazie ai sacrifici della madre Sena.
In tale percorso di esperienza un elemento essenziale è rappresentato dall’innamoramento per Masha, la giovane figlia di un amico paterno. La sua malattia, rappresentata simbolicamente da una goccia di sangue versata su un foglio di carta bianca nella scena della dichiarazione di Malik, esprime il dolore e il senso di perdita che ogni relazione affettiva comporta.
Autore critica:Umberto Mosca
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



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