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Quartiere -

Regia:Silvano Agosti
Vietato:14
Video:Video Club Luce
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Spazio critico
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Silvano Agosti
Sceneggiatura:Silvano Agosti
Fotografia:Silvano Agosti
Musiche:Ennio Morricone
Montaggio:Silvano Agosti
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Paola Agosti, Sergio Bini, Alessandra Corsale, Dario Ghirardi, Ivano Herrera, Lorenzo Negri, Valeria Sabel, Lino Salemme, Victoria Zinny
Produzione:11 Marzo Cinematografica
Distribuzione:Istituto Luce
Origine:Italia
Anno:1987
Durata:

93'

Trama:

Il primo episodio, ambientato nel quartiere romano di Prati, riguarda due sorelle, Alessandra e Paola, le quali, di ritorno da una prova d'orchestra (la prima è violoncellista), nella sera di S. Silvestro, vengono fermate da alcuni giovanotti che si offrono di accompagnarle a casa con la macchina. Incautamente esse accettano il passaggio e così incorrono in una sgradevole disavventura: Alessandra, la grande, infatti viene violentata dai giovani. Poi la ragazza perdonerà i suoi stupratori e accetterà di sposare uno di essi tra la gioia degli ignari genitori, di una stravagante zia e le molte perplessità della sorella minore. Nel secondo episodio due ragazzi,che si conoscono fin da piccoli e che da tempo non si vedono, si incontrano: uno è ricco, i suoi genitori sono in America, ha un raffinato e grande appartamento a sua disposizione; l'altro è povero, si chiama Giulio e sta per sposarsi con una certa Mara. Tra quest'ultimo e l'amico benestante si stabilisce un rapporto morboso: per il ragazzo che sta per convolare a nozze non è niente di importante, per l'altro invece si tratta di un sentimento molto profondo e, rendendosi conto che il rapporto non potrà avere seguito, medita il suicidio. Nel terzo episodio Nino, addetto al sipario in un teatro della città, viene abbandonato dalla moglie Lina senza spiegazioni. L'uomo allora, quasi inconsciamente ed affranto dal dolore, inizia a contemplare, prima in tv poi allo zoo, una splendida tigre reale con la sua grazia felina e la sua straordinaria energia. Arriva alla fine a rimanerne letteralmente affascinato, tanto che quando la moglie ricompare, lui non prova più per lei nessun sentimento. Nell'ultimo episodio un vecchio barbone di 72 anni, che vive mendicando, dorme in una vecchia macchina abbandonata. Dalla prima sera di nozze in cui la moglie gli confessò di avere già un figlio, il poveraccio non ha mal più avvicinato una donna. Finalmente trascorre una insperata e meravigliosa notte d'amore con la portiera di uno stabile vicino alla sua "casa".

Critica 1:Quattro eccentriche storie d'amore, ambientate in un quartiere di Roma, più una quinta che fa da tessuto connettivo: 1) due sorelle sono sequestrate in auto di notte da una banda di teppisti che violentano a turno la maggiore delle due; mesi dopo uno degli stupratori ritorna e propone nozze riparatrici; 2) due amici, un ricco e un povero, si lasciano perché il secondo vuole sposarsi; 3) abbandonato dalla moglie, un uomo riempie la solitudine con immagini di una tigre; 4) una donna concede una notte d'amore a un anziano barbone. Prodotto, scritto, diretto, fotografato, montato da S. Agosti e interpretato da non professionisti, è un film anomalo sotto il segno della tenerezza, sempre in bilico sull'esercizio di stile, con qualche goffaggine nei dialoghi. Sfocia qua e là in un velleitario misticismo dei sentimenti. Interessante uso del "fuori campo" che agisce sulle immagini con la sua presenza invisibile.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) Dire che Quartiere è formato da quattro episodi potrebbe indurre a qualche equivoco. Del film a episodi (e ci riferiamo alle esperienze «alte») non ha la frammentarietà o l'assemblaggio occasionale e neppure, se vogliamo, l'articolazione tematica. Il suo andamento fa pensare piuttosto alla graduale scoperta di un paesaggio, di un'unica immagine complessa. Collegate dalla silenziosa e ricorrente comparsa del vecchio barbone, le storie ubbidiscono a un vicendevole, morbido travaso, attraverso il quale l'intenzione stilistica del regista si viene man mano precisando. Agosti non sembra voler raccontare e neanche esporre una fenomenologia documentaria; l'autenticità e la verità della sua ricerca sono affidate a un disegno di trasfigurazione poetica dove l'asciuttezza del dato reale o della testimonianza (il regista tiene molto a sottolineare l'effettivo riscontro degli accadimenti che ha tradotto) agisce dialetticamente con la sublimazione e la sintesi. Il tempo del film, dunque, ci appare subito lontano da quello del racconto ed assume il movimento ciclico dei passaggi stagionali. Come Agosti rivendica un tempo differente e non costretto per la vita e per l'amore, così il suo film offre un saggio di insolita concentrazione. I fatti scorrono, fluiscono, le immagini e i luoghi tornano trasformandosi, le rime interne combaciano a distanza favorite da un tono di voce, da un fuoricampo, da un bisbiglio, da un volo o da una luce. II brano di apertura, per come è concepito nel suo sviluppo, può aiutarci a spiegare. La notte di San Silvestro è segnata da scoppi e bagliori, il vecchio barbone si aggira fra le auto in sosta e i segnali del traffico confondono i colori con quelli dei fuochi d'artificio nel cielo notturno. L'ambiente è come filtrato da un'umidità uniforme, quasi immerso, abbacinato dai riverberi deformati sulle superfici. La scena della violenza, ancora frammentata dalla comparsa del barbone che prosegue nella sua strada, si presenta strana, molto ambigua. Una brutale «gara d'amore» capace di evocare i peggiori fatti di cronaca e tuttavia composta dal regista in modi assai contraddittori: c'è il liquido freddo del sudore, dopo quello della pioggia, assieme ai suoni caldi dei lamenti, c'è la luce bluastra del luogo chiuso e la forza plastica dei corpi in primo piano, c'è il senso della sopraffazione e quello di una paura scambiata fra vittime e carnefici. II singolare acquario nel quale tutto il brano si svolge dà l'idea di un travaglio e di una densità corporea difficilmente circoscrivibili all'atto di violenza nudo e crudo. Ecco perché c'è poi quell'apertura marina con l'imposta che sbatte, il volo aurorale degli uccelli e il semaforo; ed ecco la ragione premonitoria della futura intesa impossibile fra Alessandra e uno dei giovani stupratori. Come si vede Agosti si mantiene su una linea pericolosa, provocatoria, ma, come vedremo in seguito, il suo rischio ideologico è giocato ancora una volta sulle particolari esigenze di ricerca che, in altra chiave stilistica, aveva già approfondito in D'amore si vive. Quel che ci preme sottolineare, comunque, è l'asprezza e nello stesso tempo la fluidità dei contrasti e dei passaggi spazio-temporali: non vi è mai la ricerca di una vera soluzione, ma invece lo scavo nella concretezza degli individui per cui il tempo, sganciato dai vincoli della narrazione, propone di continuo il circolo dei ricorsi. Un tempo naturale, dunque, che muta nel segno dell'acqua. Proprio come, sempre in D'amore si vive, accadeva nel brano di Adolfo.
L'amplesso del giovane mongoloide con la sua bambola si svolgeva in un tempo infinito, descritto da un ralenti apparente (perché la camera dava l'impressione del trucco e invece non faceva che seguire, interpretare, la naturale e sprofondata lentezza dell'atto amoroso) fino a far immaginare un ambiente d'acqua. Da possibile esempio di sessualità deviata e stravolta, quella di Adolfo forzava il contrasto per assurgere al sublime; analogamente, in Quartiere, la drammaticità e l'orrore dello stupro, pur non essendo negati, lasciano intravedere il proprio contrario. E come il tempo rarefatto dell'inizio si ripropone ad ogni fase del film, così il suo intreccio di storie ci appare visibile, alla fine, in un'unica inquadratura totale. Questo insieme è il quartiere stesso, inteso come luogo e occasione, ma al di fuori di qualsiasi tipizzazione sociologica o convenzionale. Il quartiere è il luogo dove l'autore lavora, dove la sua immaginazione prende corpo nell'idea di concrete possibilità e coincidenze; è l'area un po' familiare e un po' misteriosa che talvolta si può abbracciare dall'alto come un'isola pulsante di luci, rumori e drammi umani nel centro della notte. Un luogo vissuto, persino accogliente (poiché permette di lavorare, di produrre e distribuire - l'Azzurro Scipioni) e allo stesso tempo passibile, come la vita, di sempre nuove scoperte.
Parlando con Agosti si può essere indotti a sospettargli qualche eccesso di umanistica fiducia. Il suo slancio libertario non conosce ostacoli; come la vita che conduce, del resto, dove l'inscindibilità col lavoro e con l'arte è concretamente praticata giorno per giorno. Sopravvive in lui una coerenza ideologica, una necessità di denuncia e testimonianza ormai introvabili.
Così si penserebbe a un cinema, il suo, declamatorio e «positivo», lineare nei contenuti e funzionale ad essi nella forma. Insomma un cinema «ingenuo» e, come abbiamo voluto ricordare all'inizio a proposito dell'accoglienza che Quartiere ha avuto presso la critica, «anacronistico». Quel che appare dai film è invece assai più complesso. Diremmo anzi che il meglio dell'autore si manifesta proprio nella contraddizione, nell'asprezza sospesa di certi segnali e nella consapevole necessità di permeare ogni limpida convinzione con l'oscurità del dubbio. Intendiamoci, la sua visione del mondo non muta nell'opera, però in essa appare più ricca, più veritiera. Come la felicità gli appare necessaria alla ricerca in ogni momento dell'esistenza e l'amore (la tenerezza, la sessualità) un formidabile mezzo rivelatore del reale: «...taglia le ideologie a metà...» ebbe a dirci una volta, così non gli sfugge l'altra faccia di questi bisogni, cioè la solitudine, la loro parte debole. (…)
Ma l'utopia che ci è proposta con Quartiere è soprattutto quella di chi immagina la vita interiore degli individui come riserva per la trasformazione anche e soprattutto in momenti come l'attuale che sembra aver perduto ogni capacità di generalizzazione dei conflitti di libertà. Quindi la vitalità della contraddizione, il dubbio, l'incertezza e persino l'angoscia dei suoi personaggi si esprimono nella felicità dell'opera e traggono alimento da uno scavo nel reale che ha l'astrattezza dei principi, la corporeità dell'umana esperienza, e l'azzardo trasgressivo della poesia. E l'utopia di chi riconosce nell'individuo abbandonato di oggi il bisogno di un tempo diverso, il tempo di Adolfo con la sua bambola, delle stagioni e delle fasi del giorno. Il tempo che ritorna nel prodigio del cosmo vivente, dell'inventore che costruisce macchine di rottami con la speranza di captare la musica delle stelle. Il tempo lungo e breve, infine, dell'evento irripetibile; quello che ad Agosti, laico e sereno nel considerare la morte, suggerisce dediche singolari come questa: «alla Grazia».
Autore critica:Tullio Masoni
Fonte critica:Cineforum n. 275
Data critica:

6/1988

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



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