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Settimo sigillo (Il) - Sjunde inseglet (Det)

Regia:Ingmar Bergman
Vietato:No
Video:San Paolo Audiovisivi
DVD:San Paolo Audiovisivi
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Ingmar Bergman
Sceneggiatura:Ingmar Bergman
Fotografia:Gunnar Fischer
Musiche:Erik Nordgren
Montaggio:Lennart Wallen
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Bertil Anderberg Raval, Bibi Andersson Mia, Benkt Ake Benktsson Il Mercante, Gunnar Bjornstrand Jons, Gudrun Brost Donna della taverna, Anders Ek Il monaco, Bengt Ekerot La Morte, Ake Fridell Plog, Inga Gill Lisa, Maud Hansson La strega, Ulf Johansson Il capo dei soldati, Inga Landgre' Moglie di Block, Lars Lind Giovane frate, Gunnel Lindholm Donna muta, Gunnar Olsson Il pittore, Nils Poppe Jof, Erik Strandmark Skat, Max Von Sydow Antonius Block
Produzione:Svensk Filmindustri
Distribuzione:Cineteca dell’Aquila - Zari FIlm
Origine:Svezia
Anno:1956
Durata:

101'

Trama:

Antonius Block, nobile cavaliere svedese, che recatosi come crociato in Terrasanta, vi ha passato dieci anni della sua vita, ritorna ora nel suo paese. Sbarcato sulla spiaggia svedese, trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto questo momento per portarselo via; ma Antonius, che durante gli anni vissuti in Terrasanta, tra battaglie cruente e lotte intime, ha sentito vacillare la propria fede, non vorrebbe morire prima di aver superato la crisi spirituale che lo travaglia. Egli propone quindi alla Morte di giocare con lui una partita a scacchi: sarà pronto a seguirla nel momento in cui dovrà dichiararsi vinto. S'inizia la partita e tra una mossa e l'altra il cavaliere continua il viaggio verso il suo castello. Inoltrandosi nel paese, Antonius si rende conto delle desolate condizioni in cui si trova la Svezia: infuria infatti una terribile pestilenza che distrugge interi villaggi. Gli uomini in preda alla disperazione, incerti della vita, timorosi del futuro, si abbandonano alle violente pratiche dei flaggellanti o cercano di spremere dall'attimo fuggente la maggior dose di piacere inebriante. In mezzo a queste diverse esaltazioni, Antonius scopre una piccola famiglia di attori girovaghi, composta di padre, madre ed un bimbo: questi esseri, sorretti da un sincero sentimento di reciproco affetto, sembrano estranei alla tragedia che coinvolge tutti gli altri. Prosegue intanto la partita a scacchi, e Antonius Block, incalzato dalla Morte, giocatrice implacabile, e dagli eventi, finisce per perderla. Ma fa in tempo ad allontanare da sè, e quindi dalla Morte, l'innocente famiglia degli attori e a rivedere la sua donna, che lo ha atteso fedelmente nel castello. Antonius, che si è reso conto degli errori e dei peccati commessi e se n'è pentito, si abbandona fiducioso alla misericordia divina.

Critica 1:In compagnia di uno scettico e pragmatico scudiero (G. Bjornstrand), il cavaliere Antonius Blok (M. von Sydow) torna dalle Crociate, tormentato dai dubbi, si trova in un paese dove imperversano la peste e il fanatismo e incontra la Morte (B. Ekerot) che lo sfida a scacchi. Una famiglia di saltimbanchi gli fa tornare la fiducia. E, in definitiva, un'allegoria scandinava sull'uomo in cerca di Dio con la morte come unica certezza. Come negli spettacoli medievali, il tragico convive con il comico. Ispirato a Pittura su legno, atto unico dello stesso Bergman, fu girato a basso costo in 35 giorni interamente in studio. Non privo di pecche né di negligenze, non zoppica da nessuna parte ed elabora il suo tema con desiderio e passione: "E una delle ultime espressioni di fede, delle idee che avevo ereditato da mio padre e che portavo con me fin dall'infanzia" (I. Bergman). Anche perciò, forse, "attraversò il mondo come un incendio".
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Gran riutilizzatore di idee e personaggi, Bergman ricava dal suo testo teatrale Pittura su legno le prime figurazioni di Il settimo sigillo, ma include tra i motivi ispiratori di tale film anche altre suggestioni musicali e pittoriche: i Carmina Burana di carl Orff, il dipinto di Dürer Il cavaliere, la morte e il diavolo, e il quadro di Pablo Picasso che rappresenta due acrobati, due buffoni e un ragazzo. Su tali spunti la struttura si completa, e - diremmo - si fanno visibili anche le infrastrutture. C'è praticamente tutto, dalla musica del pentimento agli interrogativi esoterici e al vagabondaggio innocente (i giocolieri-buffoni) contrapposto al viaggio della delusione (il reduce crociato).
Nel Settimo sigillo Bergman ascolta le lusinghe di una “leggenda filosofica” da attualizzare. Qui si staglia nel modo più spettacolare il Bergman alla ricerca - ma forse stavolta è meglio dire alla caccia - del miracolo, e si rinnova - la confessione di una monotonia umana che le grandi imprese (le Crociate appunto) e i sentimenti magnanimi non riescono a intaccare; quello che è stato cercato lontano esiste vicino, nel carretto del saltimbanco, non in Terrasanta; e il Cavaliere (Max Von Sydow) si ostina a scoprire il diavolo negli occhi della presunta strega, senza trovarlo mai (ma non è forse proprio questa incapacità, il Diavolo?) mentre il saltimbanco (Nils Poppe) ha la Vergine Maria sul suo prato come un'ospite gentile e quotidiana.
Per contrasto si fa più insoffribile l'ammissione di ansia e impotenza di fronte ai misteri della religione. Il duplice assillo è reso sensazionale dalle forme della simbologia medioevale, ma è riconoscibilmente moderno per l'indagine pervicace delle cause del mal di vivere, per la “fede nel dubbio”, per il gioco delle parti sempre respinte tra simulazione, realtà e caso. Ancora una volta il viaggio di Bergman (il viaggio cioè di Antonius Block che fa ritorno al castello) è un viaggio fra le domande. Il protagonista, ben s'intende, è Bergman stesso sdoppiato, nelle sue componenti opposte: il cavaliere, mistico turbato, probabilmente ancora lordo d'un sangue “pagano” che ha lo stesso colore del sangue cristiano, credente testardo che vuol vedere Dio almeno nello sguardo della Morte, giacché Gerusalemme non glielo ha rivelato (e la Morte, confesserà a sua volta di “non sapere”); e con lui il secondo volto, lo scudiero, loico implacabile. Più volte nel film lo scudiero parla al padrone da tergo, col capo sulla sua spalla, fugacemente materializzando così un Bergman bicipite vero protagonista del dramma.
L'accenno ai sette sigilli è preso dall'Apocalisse di San Giovanni, si riferisce cioè alla vigilia della fine del mondo, quando la stella Assenzio precipitando incendierà il mare. È dunque il momento in cui l'uomo pensa di doversi preparare per un terribile incontro soprannaturale. Nella vicenda ciò accade durante l'infierire di una epidemia di peste, su suolo nordico, intorno al quattordicesimo secolo; e i personaggi che troviamo impegnati nell'avventura - vien quasi fatto di dire aggiogati, condannati ad essa - sono quelli fissi degli affreschi medioevali, delle vetrate di chiesa, dei codici miniati, degli antichi carillons da campanile, delle “pitture su legno”. La Morte appare al cavaliere sulla spiaggia col suo classico mantello nero. Bergman le ha dato il viso straordinario dell'attore Bengt Ekerot, un viso floscio e quieto, senza malvagità, o almeno con la malvagità spoglia d'impazienza che non ha raffronto nella nostra fremente malvagità quotidiana. La Morte è venuta a prendere il cavaliere per portarlo via con sé, ma il cavaliere trova modo di spostare i termini dell'incontro: propone alla Morte una partita a scacchi e solo dopo questa, se perdente, si arrenderà. Naturalmente il cavaliere non ignora che il suo destino è segnato, che la Morte non è giocatrice che si lasci sconfiggere; ma prima, tra una mossa e l'altra, spera segretamente che la lotta gli riveli i problemi che tormentano il suo spirito. Egli ha speso la vita nella ricerca di Dio, lo ha fatto nella maniera che riteneva più nobile e degna, combattendo in suo nome alle Crociate; ma la guerra ha messo anche più in pericolo la sua fede già incrinata dalle voci fredde della logica e del raziocinio.
Si protrae a lungo la gara, a tappe irregolari, mentre il cavaliere e il suo servo proseguono verso casa. Il cammino è segnato da vari incontri, per lo più tetri, indici di tempi premonitori: la processione dei flagellanti che invocano la fine del morbo; i roghi accesi dal fanatismo contro le credute streghe; episodi di ladrocinio e di maleficio. Solo la compagnia dei guitti girovaghi concede al cavaliere un riposo senz'ombre e per un momento la sensazione della “piccola felicità” consentita all’uomo sulla terra. La Morte incalza, sta per dare scacco matto. Pure, il cavaliere vuole e ottiene a sua volta una vittoria: durante la partita decisiva distrae la Morte quanto basta per far fuggire i suoi nuovi amici commedianti, che essa desiderava falciare d'un solo colpo. La salvezza, la comprensione sono finalmente, in quel momento, accanto al cavaliere. Egli ha saputo regalarle a qualcuno più giovane, meno stanco di lui. Alle grandi risposte ormai bisogno rinunciare. Subito dopo il rientro al castello, dove la moglie Io ha coraggiosamente aspettato, la figura in nero giunge a pretendere il prezzo della partita. E si trascina dietro, in una lugubre danza, il cavaliere e la sua sposa, lo scudiero, il fabbro e altre immagini della ballata.
Il film, girato a Hova Haltar, sulle coste sudoccidentali della Svezia, ha un assetto potente e intimidatorio, lo slancio sordo delle fantasie nate dall'incubo. Lo avvalora ulteriormente la fotografia di Gunnar Fischer, col suo sole grigio, i raggi funerarii, la pioggia argentata. Non vanno comunque ignorati i lati deboli dell'opera, che probabilmente consistono nel progressivo appesantimento dei simboli e nell'amore eccessivo per la sequenza: e non sempre le sequenze più suggestive sono le migliori (tra queste anche la famosa sfilata dei flagellanti, risolta soprattutto figurativamente). Altri punti rimangono oscuri: il personaggio della ragazza che tace nel gruppo dei viandanti, cui spetta al finale l'accettazione più pronta e dolce della morte; certe assenze nel gruppo che la Morte si porta via. Va rifiutata invece l'accusa di barocchismo levata da alcuni critici contro il tono generale del film: è il clima di Bergman, della sua terra, delle sue origini; non gli si può rimproverare di essere nato svedese. D'altronde sono rilievi che perdono forza se si accetta, come non si può non accettare, anche il monito di attualità che Il settimo sigillo reca in sé, ovvero il riferimento alla guerra nucleare (la pestilenza). Il viaggio trecentesco è una storia che ci concerne anche senza il salto di sette secoli.
Tuttavia specifichiamo che il film ci è vicino non soltanto per un fatto di “vigilia atomica” ma anche per la sua ansia di dibattito, i suoi personaggi bifronti, la ricerca del giusto attraverso l'iniquo, il plebeo e il meraviglioso a contatto, l'aspettativa, come dice lo scudiero, “di qualcosa che deve succedere ma non sappiamo che cosa”. Alla soglia degli anni Sessanta tutti gli artisti del mondo trasaliscono alle medesime voci, e ai medesimi silenzi.
Autore critica:Tino Ranieri
Fonte critica:Ingmar Bergman, Il Castoro Cinema
Data critica:

12/1974

Critica 3:
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Data critica:



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