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Lettera (La) - Carta (A)

Regia:Manoel De Oliveira
Vietato:No
Video:Cinevideo
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto da "La Principesse de Clèves" di Madame de La Fayette
Sceneggiatura:Manoel De Oliveira
Fotografia:Emmanuel Machuel
Musiche:Pedro Abrunhosa
Montaggio:Valerie Loiseleux
Scenografia:Ana Vaz Da Silva
Costumi:Judy Shrewsbury
Effetti:
Interpreti:Chiara Mastroianni (Madame de Clèves), Antoine Chappey (Monsieur de Clèves), Françoise Fabian (Madame de Chartres), Stanislas Merhar (François de Guise), Maria Joao Pires (Maria Joao Pires), Anny Romand (Madame de Silva)
Produzione:Paulo Branco per Madragoa Filmes (Portogallo) - Wanda Films Prod. (Spagna) - Gemini Film (Francia)
Distribuzione:Mikado
Origine:Francia – Portogallo - Spagna
Anno:1999
Durata:

107’

Trama:

Ai giorni nostri, a Parigi, la signorina di Chartes sposa il signore di Clèves. Il matrimonio sereno e felice è turbato qualche tempo dopo dall'attrazione che la donna comincia a sentire per Abrunhosa, un cantante portoghese di rock di fama internazionale. Abrunhosa se ne accorge e cerca di avvicinarla, ma lei si nega sempre con ostinazione. Rifuggendo dall'idea di un tradimento, Chartes decide di confidarsi con un'amica di vecchia data, oggi suora in un convento in città. Va da lei e le dice che ha un altro. Quando Abrunhosa ha un incidente di macchina, lei va a vederlo in ospedale. Quindi si risolve di dire anche al marito che esiste un altro ma non ne svela il nome. Passa del tempo. Lei si reca ancora dalla religiosa: adesso il marito sta male, e la malattia si aggrava fino a condurlo alla morte. Chartes sente un forte senso di colpa, e lo confida alla suora. Nel parco vede di nuovo Abrunhosa e scappa. Nessuno da allora entra più in contatto con lei. Molto dopo, la suora riceve una lettera. E' di Chartes, dice che si trova in Africa con alcune missionarie e che è decisa a non tornare più a Parigi. E aggiunge, parlando delle sue compagne: "Da dove viene questa loro forza?". Intanto Abrunhosa tiene un nuovo concerto.

Critica 1:Il grande patriarca del cinema portoghese Manoel de Oliveira, prendendo lo spunto da La Principessa di Clèves di Madame de La Fayette, del 1678, attualizza la storia nella Parigi di oggi facendone una rilettura morale e aggiornata sul piacere negato.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Passati i 90, la saggezza è un obbligo. Vedere per credere questo piccolo capolavoro illuminista di eleganza e di ironia che è «La lettera», girato dal 92enne patriarca portoghese Manoel de Oliveira e premiato l’anno scorso a Cannes prima che il regista si mettesse a girare a Parigi ben due nuovi film. E fa piacere che ci sia un pubblico pronto a godersi questa lezione aggiornata di morale del piacere (negato). Prendendo spunto e attualizzando nella Parigi di oggi la «Principessa di Clèves», del 1678, di M.me de La Fayette, non nuova al cinema (ci pensò nel ’61 Delannoy con la Vlady e sceneggiatura di Cocteau), Oliveira ne fa una rilettura a metà tra il razionalismo di Rohmer e il cinismo di Buñuel, specchiando nei chiari occhi della giovane figlia di Mastroianni il disamore sadomasochista della rinuncia. È lei la casta signora che, sposata senz’amore a un marito banale, s’infiamma per una mediocre star del rock, che è Pedro Abrunhosa nel ruolo di se stesso, ma ci rinuncia dopo la morte del marito e parte per il volontariato. Va anche lei «fuori dal mondo», come l’amica monaca cui confida le sue pene con una lettera, in un finale di magistrale bellezza visiva e sonora. Dentro questa mancata «belle de jour» ci sono, nella rilettura del regista che vivisezionò splendidamente Madame Bovary, le nevrosi della borghesia per le faccende di sesso. E, ai limiti del grottesco, nelle aggrottate sopracciglia di Françoise Fabian, nei chiostri silenziosi, nello stupore della Mastroianni signora borghese di Clèves alle prese con le sorprese esistenziali e mistiche dell’amore, l’autore trova un tipo di sotterranea comicità che fa da rete di protezione alla catena degli avvenimenti, all’insensatezza del cuore, trovando spiegazione solo nel darsi poi agli altri, come accadeva alle ultime, infelici eroine buñueliane.
Autore critica:Maurizio Porro
Fonte critica:Corriere della Sera
Data critica:

22/7/2000

Critica 3:Talvolta la vita, con l'assommarsi di attimi e di riflessioni che taluni chiamano esperienza, ci mette in una posizione vantaggiosa. Un po' in disparte, l'uomo può scegliere la strada del giudizio e dell'ammonimento. Farsi predicatore o ruvido moralista. oppure, può rimettere in gioco tutto il suo bagaglio: scendere dal piccolo promontorio conquistato e riaggiornare la propria posizione. ogni nuovo film del novantenne (più uno) de Oliveira dà innanzitutto questa semplice lezione d'umiltà e di coraggio. ogni film ci restituisce un de Oliveira più ricco, più saggio e più spregiudicato (e forse è questa inattualità, questo essere dove non dovrebbe stare, a rendere diffidente pubblico e distributori nei confronti del maestro lusitano). Pur restando fedele a una concezione dello strumento "cinema" (arte impura che riprende e riattualizza le materie che ha di fronte, siano esse teatro, letteratura, arte...), il regista portoghese riesce sempre a riposizionare il suo sguardo. Come a trovare di volta in volta l'angolo giusto con cui affrontare la parete (che é e resta il mondo attuale). La lettera é in questo senso uno degli esiti più efficaci. Dopo la prova di brillantezza nel "racconto morale" a tre episodi (Inquietudine), de Oliveira ritorna a un percorso meno fantasmagorico ma più puntuale nelle sue aderenze e critiche alla realtà contemporanea. La Lettera ritrova da un lato quel respiro fuori tempo che era di Il convento, dall'altro il pathos di opere come Viaggio al principio del mondo. Cercare di incastonare l'opera nella recente filmografia di de Oliveira sarebbe però riduttivo e ingiusto nei confronti di un regista che come pochi altri conserva uno sguardo lucido sul presente. La lettera, adattamento di un romanzo settecentesco (quel Princesse de Cléves di Madame de La Fayette che inaugura la stagione della psicologia), parla della nostra realtà, anche se con l'obiettivo di rovesciarla di senso. Tanto l'immagine attuale è oppressa da parole convulse e confuse, tanto il film dispiega in maniera parsimoniosa una lingua precisa e tagliente. Tanto la realtà dei sentimenti si appiattisce su un'immagine che riproduce una meccanica dei corpi, tanto de Oliveira porta alle stelle il suo percorso di rarefazione, arrivando a descrivere la passione in negativo, nel suo essere bloccata, recisa alla radice e, tuttavia, ancora lì, incombente. Se la Princesse de Clèves é un romanzo tutto interiore, che racconta la storia di una clausura, de Oliveira nel suo adattamento pare aver rovesciato i dati. Come un costante contrappunto alla vicenda intima della protagonista, nel film scorrono immagini atte a richiamare l'attualità dissonante in cui la vicenda è ambientata. Tra la purezza delle parole (che esprimono il limpido dover essere) e la rugosità della passione (che traduce le contraddizioni del mondo) si crea un felice scambio. Immersa in massacri algerini, miseria africana, concerti rock e sfarzo borghese, la parabola di Madame de Clèves racconta il malessere di una società. Una donna che non riesce a trovare un luogo in cui esprimere la sua parola. A poco a poco, con il sorgere di una realtà dai tratti troppo dissonanti (affascinante e incomprensibile, come l'amore per il cantante dalle scarpe improbabili) le parole vengono meno. E la donna scompare. Fino a quando, lontana da sé, troverà il modo di rientrare nel mondo.
Autore critica:Carlo Chatrian
Fonte critica:Duel
Data critica:

10/9/2000

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

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