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Colore del melograno (Il) - Sayat Nova

Regia:Sergei Parajanov
Vietato:No
Video:Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Sayat Nova, Sergei Paradzhanov
Sceneggiatura:Sayat Nova, Sergei Paradzhanov
Fotografia:A. Samvelyan, Martyn Shakhbazyan, Suren Shakhbazyan
Musiche:Tigran Mansuryan
Montaggio:Sergei Paradzhanov
Scenografia:Stepan Andranikyan
Costumi:Elene Akhvlediani
Effetti:
Interpreti:Sofiko Chiaureli, Melkon Aleksanyan, Vilen Galstyan, Georgi Gegechkory, Onik Minasyan, Spartak Bagashvili, Medea Djaparidze
Produzione:Armenfilm Studios
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Urss
Anno:1968
Durata:

75’

Trama:

Biografia fantastica di un menestrello di corte nell'Armenia del XVIII secolo. Ricordi, illuminazioni metafisiche, pantomime, simboli religiosi del folklore caucasico. A cavallo tra l'arte dell'occidente cristiano e quella dell'oriente islamico. Film bandito dall'Urss, costò al visionario regista sette anni di gulag. Un capolavoro, noto anche come "Sayat Nova".

Critica 1:La vita del trovatore armeno Sayat Nova, vissuto nel Seicento, dall'infanzia alla corte regale, dal ritiro in un convento alla morte, attraverso una serie di episodi, statici come quadri che non raccontano, ma mostrano, evocano, suggeriscono per via di metafore, analogie, estri surrealisti, paesaggi onirici, pause liturgiche. La colonna sonora (musiche, rumori) conta come quella visiva di pittorica sensualità. Ermetico, ma abbagliante. Molte noie con la censura sovietica.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Savat-Nova è il nome di un trovatore armeno del XVIII secolo. È anche il titolo del secondo lungometraggio di Serghiej Paradjanov, conosciuto in Francia e celebre per il suo primo lungometraggio L'ombra degli avi dimenticati.
L'altro titolo di Sayat-Nova, il titolo russo, se non mi sbaglio, potrebbe essere tradotto con Il colore delle melagrane. Uno dei primi piani mostra tre melagrane sanguinanti lentamente su una tela bianca che a poco a poco si imbeve di rosso, il montaggio assicura subito un legame molto alla Eizenstein con un pugnale che sanguina su una tela bianca. Per analogia poetica (la melagrana e il sangue) e per assimilazione storica della sorte riservata al poeta spagnolo e al cineasta armeno del XX secolo (più che al poeta armeno del XVIII) si pensa a Garcia Lorca.
Il titolo Il colore delle melagrane più chiaramente che Sayat-Nova, significa che Serghiej Paradjanov non voleva realizzare una biografia del trovatore armeno. Non racconta la vita di Sayat Nova, ne utilizza
gli episodi principali, o piuttosto le diverse fasi: infanzia, adolescenza, servizio del principe, convento, morte, per comporre, secondo i propositi, una illustrazione che rifugga i limiti ristretti dell'avventura individuale. Si tratta meno di Sayat-Nova che di un poeta, anzi dell'artista fra gli uomini.
Ecco la sua infanzia e la scoperta del mondo; l'adolescenza e il risveglio dei sensi all'amore; il servizio reale e le sue servitù; il convento e le sue miserie; la morte e la sua vertigine mistica. Tanti pretesti per delle immagini che rappresentano non delle scene realistiche, ma delle sublimazioni pittoriche del reale. Gli avvenimenti svaniscono a vantaggio della meditazione sugli avvenimenti. Come se attraverso l'illustrazione dei diversi periodi della vita di Sayat-Nova, Paradjanov ci trascinasse molto al di là, verso il mondo delle idee pure, una specie di universum platonico, il cui approccio trova nella poesia e nella sua pratica più che degli alleati: una voce e una via.
Si abolisce la storia. È la vita di un poeta del XVIII secolo? La «presenza» del tempo si intuisce solo perché Sayat-Nova è incarnato da persone di età diversa: un monello, un adolescente, un adulto nella forza dell'età, un uomo che sta invecchiando. Questa abolizione della storia è tanto più cosciente in quanto (dopo le informazioni ottenute) Paradjanov aveva mescolato nel montaggio perfino il corso della vita. Niente ordine cronologico. Oggi ristabilito da Youkevitch che ricorse a una divisione del film in capitoli nettamente staccati, nell'eventualità di uno sfruttamento commerciale del film. In ogni caso per portare il film nella realtà storica della biografia. Invano, Il colore delle melagrane è un lungo poema in forma di affresco diviso in quadri. In icone più esattamente. La composizione del soggetto all'interno della scena disegnata per lo schermo, la divisione dello schermo in pannelli (con la preferenza per il trittico), l'utilizzazione della superficie per piani secondo la logica di un'azione drammatica così sconvolta dall'escamotage o l'attenuazione massimale della profondità del campo privilegiando le leggi di un equilibrio estetico totalmente staccato dalla contingenza per meglio obbedire agli imperativi esoterici di un discorso simbolico.
Esoterici per noi perché si tratta di un simbolismo in profondo accordo con quello della Chiesa Armena. In quanto, se la storia è negata (dal punto di vista di Paradjanov e secondo l'angolatura da cui la considera, Sayat-Nova è nostro contemporaneo), la geografia non lo è. Il XVIII secolo si dissolve, niente Armenia. Questa Armenia senza tempo rappresentata dalla sua cultura e concretizzata dai suoi usi e costumi, dalla sua lingua e dalle sue chiese. Tutto ciò è presente sullo schermo, compresa la lingua, visibile sulle steli, in libri, più che dalle citazioni di poesia di Sayat-Nova.
Il film è praticamente muto. C'è della musica. Una voce fuori campo molto intermittente; nessun dialogo; dei suoni di voci utilizzati come musica. Si svolge sotto i nostri occhi un festival di immagini sontuose, spesso immobili, come costrette dalla scena, e che si muovono con una lentezza che conferisce solennità ieratica ai gesti e agli spostamenti dei visi impassibili.
Bellezza strana, malefica, anche se la leggibilità del simbolo non è sempre di una chiarezza immediata. Sebbene, sul simbolismo proprio , alla chiesa armena, si innesti un barocchismo di tipo surrealista molto vicino a quello di Buñuel, Jadorovski o Arrabal e che ci è più familiare. Ciò che allevia dall'onirismo e dai fantasmi di Paradjanov (più che da quelli di Sayat-Nova, senza dubbio) o da una poetica universale come le melagrane, l'angelismo ecc. ci sembra più facilmente traducibile. E ; ' quando dei musicisti armeni suonano semisepolti in un buco a forma di fossa, e dei bambini armeni gridano: «Rinascita!», non c'è bisogno di un interprete o di un esegeta per capire cosa accade.
Il colore delle melagrane fu girato nel '70. È l'ultimo film di Paradjanov, in prigione in un campo di lavoro dal '73 per ragioni misteriose. Il colore delle melagrane viene sequestrato, è un «Samizdat» del cinema. Si capisce come abbia potuto esasperare i burocrati e certo cinema sovietico. Questo ermetismo «mistico-estetico-cristiano-armeno » ancorato a una cultura che non ha niente a che vedere con la cultura russa, poco in comune con la religione ortodossa, assolutamente niente a che fare col materialismo storico e il marxismo sovietico.
Non so se per il Cremlino sia un motivo sufficiente perché Paradjanov languisca in un campo di lavoro a cucire sacchi. E questo solo perché noi non si abbia la possibilità di vedere i suoi film.
Autore critica:Jean-Louis Bory
Fonte critica:Serghiej Paradjanov - Venezia, La Biennale
Data critica:

1977

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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