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Albero degli zoccoli (L') -

Regia:Ermanno Olmi
Vietato:No
Video:Fonit Cetra Video - Video Club Luce - Gruppo Editoriale Bramante (Cinecitta')
DVD:La Repubblica
Genere:Drammatico
Tipologia:Il lavoro, Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Ermanno Olmi
Sceneggiatura:Ermanno Olmi
Fotografia:Ermanno Olmi
Musiche:Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart - Musica eseguita da Fernando Germani
Montaggio:Ermanno Olmi
Scenografia:Enrico Tovaglieri
Costumi:Francesca Zucchelli
Effetti:
Interpreti:Luigi Ornaghi (Batistì), Francesca Moriggi (Battistina), Omar Brignoli (Menek, figlio scolaro), Antonio Ferrari (Tunì), Teresa Brescianini (vedova Runk), Guglielmo Badoni (padre dello sposo), Francesca Bassurini (Suor Maria), Pierangelo Bertoli (Secondo), Giuseppe Brignoli (Nonno Anselmo), Mario Brignoli (Il Padrone), Pasqualina Brolis (Teresina), Vittorio Capelli (Frikì), Maria Grazia Caroli (Bettina), Giacomo Cavalleri (Brena), Felice Cervi (Usti'), Massimo Fratus (Pierino), Lorenza Frigeni (moglie di Brena), Laura Locatelli (madre dello sposo), Brunella Migliaccio (Olga), Emilio Pedroni (Il fattore), Lorenzo Pedroni (Nonno Finard), Lucia Pezzoli (Maddalena), Franco Pilenga (Stefano), Lina Ricci (donna del sogno), Carlo Rota (Peppino), Giuseppina Sangaletti (moglie del Finard), Carmelo Silva (Don Carlo), Battista Trevaini (Finard), Francesca Villa (Annetta)
Produzione:Rai - Italnoleggio Cinematografica - Gaumont - Gruppo Produzione Cinema - Sacis
Distribuzione:Istituto Luce - Cineteca del Friuli
Origine:Francia - Italia
Anno:1978
Durata:

170'

Trama:

Tra l'autunno 1897 e l'estate 1898, quattro famiglie vivono in una cascina della Bassa Bergamasca. Tra i componenti di questa comunità esiste un profondo legame spirituale e culturale che li porta a vivere insieme cose belle e cose tragiche, avvenimenti ordinari e avvenimenti straordinari. Quando si tratta di versare al severo Mesagiù, il padrone della fattoria, i due terzi dei prodotti, cercano tutti di barare per guadagnare pochi chili di farina. Quando la bella Maddalena va sposa a Stefano, tutti fanno corona al matrimonio stramattutino e tutti accolgono gli stessi quando tornano da Milano con il bimbetto adottato. Insieme uccidono il maiale; separano i contendenti; ascoltano i racconti dei vecchi; ricevono il parroco, don Carlo: prendono parte alle funzioni religiose e alle sagre paesane. Tutti godono per la miracolosa 'guarigione' della vacca della povera vedova Runk. Menek è il bambino di sei anni che, unico della fattoria, frequenta la scuola. Un giorno torna a casa con uno zoccolo rotto. Papà Batistì lavora nascostamente per tutta la notte a intagliargliene uno nuovo. Ma si è servito di un albero tagliato abusivamente. Il padrone lo caccia e tutti gli amici osservano sgomenti e impotenti la sua partenza con la famigliola verso l'ignoto e la miseria.

Critica 1:Olmi rappresenta uno spaccato del mondo contadino ottocentesco, povero, analfabeta e rassegnato. Bambini, bambine e adolescenti costituiscono il gruppo più numeroso degli abitanti della cascina. Ogni famiglia ne ha parecchi, da tre a sei. Condividono con i grandi la povertà e la precarietà della vita, la promiscuità dei ristretti spazi domestici, il lavoro nei campi, in casa e alla filanda. Partecipano a tutti gli eventi. I loro giochi si svolgono senza giocattoli nei campi, sull’aia fangosa, nel fienile, nella stalla. La stalla è il luogo più importante di socializzazione: alla sera grandi e piccoli vi si raccolgono al caldo e gli uomini raccontano storie macabre o comiche, episodi della storia d’Italia, insieme si canta, le donne guidano la recita del rosario. La stalla è anche il luogo di integrazione nella piccola comunità del giovanotto che corteggia timidamente Maddalena, la bella ragazza della cascina, che sposerà.
Ben evidenziato è il tema del lavoro minorile. Il destino comune è il lavoro: tutti fin da piccoli aiutano nei campi e nella stalla, le bambine accudiscono i fratellini e a undici anni entrano a lavorare nella filanda della seta, il primogenito quindicenne della vedova, garzone al mulino, ha la responsabilità della famiglia. Non c’è spazio per la scuola, se non per Minec, il figlio di sei anni di Batistì: il parroco convince il padre a rinunciare al suo aiuto nei campi e a mandarlo a scuola. Il bambino in ogni stagione percorre a piedi sei chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, con una cartella di tela di sacco cucita dalla madre e gli zoccoli di legno.
Al ritorno il padre lo accoglie amorevolmente e lo scalda vicino al fuoco, ascolta incantato le cose che Minec impara, ammira i suoi quaderni. Quando al bambino si rompe uno zoccolo Batistì, violando la proprietà del padrone, taglia un albero per costruirgliene un paio nuovi e paga questo gesto di ribellione per amore del figlio con l’allontanamento dell’intera famiglia dalla cascina. Grande affetto lega anche nonno Anselmo ai suoi nipoti, orfani di padre, a cui racconta le storie davanti al fuoco, ma soprattutto la bambina di sei sette anni è la sua compagna inseparabile, quella che gli pone domande e a cui egli tramanda le sue conoscenze.
Alla rappresentazione di rapporti d’amore da parte di genitori e adulti nei confronti dei piccoli, il regista affianca il tema dell’affidamento all’orfanotrofio di bambini/e che la famiglia non è in grado di sfamare, e dell’abbandono all’ospizio degli esposti, scelta che diventa sempre più frequente nell’Italia del Nord nella seconda metà dell’Ottocento, anche da parte delle famiglie legittime. Quando i due sposi vanno in viaggio di nozze a Milano a trovare la zia superiora della Pia Casa dei trovatelli - nei giorni dei moti popolari contro il carovita repressi sanguinosamente da Bava Beccaris nel maggio 1898 -, se ne vedono affidare uno di dodici mesi: il denaro che l’ospizio verserà due volte all’anno costituirà un’integrazione del reddito della famiglia fino al compimento dei quindici anni del bambino che allora sarà una nuova forza lavoro. La possibilità di affidare all’orfanotrofio le due bambine più piccole viene prospettata dal parroco alla vedova, madre di sei figli, ma il primogenito la rifiuta per amore delle sorelline.
Radicata è la religiosità dei contadini, soprattutto delle donne, forte la fede nella provvidenza. Le giornate sono scandite dai rintocchi delle campane e le diverse attività quotidiane sono accompagnate da preghiere e rosari, recitati in latino storpiato anche dai più piccoli. Quando sta per morire la mucca, che è l’unica ricchezza della famiglia della vedova, le accorate preghiere di questa e la sua sicurezza nella provvidenza portano alla “miracolosa” guarigione. Le poche cose positive sono considerate doni del Signore, soprattutto ogni nuovo nato, una nuova bocca da sfamare, è accolto come un suo dono e tutto rientra in un suo disegno. Intrecciata alla religiosità è presente anche la superstizione per cui si ricorre alle pratiche della “donna del segno” per far tornare in sé il contadino che ha subito un forte spavento.
Autore critica:Carla Colombelli
Fonte criticaAiace Torino
Data critica:



Critica 2:L'albero degli zoccoli è la storia di una cascina lombarda sul chiudersi dell’800, delle sue consuetudini e dei suoi costumi. Una cultura rurale nobile e compatta, segnata nel flusso delle stagioni da obiettivi puri ed essenziali, da sposalizi e da nascite, furberie e sacrifici, necessità prioritarie ed inavvertibili vizi, da Dio e dalla terra. Senza una vicenda che guidi tutte le altre, s’intrecciano il travaglio di una vedova con troppi figli da sfamare e le favole raccontate intorno al fuoco notturno tra gli odori delle stalle, la gioia di un amore novello ed il tormento di un allevatore, allontanato dal padrone insieme alla sua famiglia dopo aver troncato un albero, affinché il figlio avesse un paio di zoccoli con cui andare a scuola. L’albero, come in una lezione neorealista, è il simbolo della distanza che separa il padrone dal suo contadino, un crepaccio che divide due universi ideologici, morali e religiosi. Le differenze che la borghesia populista non fu mai in grado di cogliere, sono la sostanza di questo capolavoro. L’arte sola erige un ponte tra il pensiero borghese e la tradizione contadina, come i movimenti armonici di Bach, unica colonna sonora, realizzano un dualismo sacro e liturgico con l’oscillazione emotiva delle esperienze quotidiane. Nato a Treviglio, in provincia di Bergamo, da un'umile famiglia di contadini, Ermanno Olmi ha infuso in quest'opera (vincitrice della Palma d'oro a Cannes nel 1978) tutte le sue origini, divenute così l' ingrediente primario di un’opera che narra la quotidianità della vita contadina come un evento fiabesco. Tuttavia nel film non mancano neppure quegli elementi realistici derivanti dalle prime esperienze di documentarista dell'autore. Olmi ha scelto quindi i suoi interpreti tra i volti virginei della comunità agreste, prodigiosi attori non professionisti che hanno saputo dare forma ad un mondo permeato dalla loro passione per la vita.(...)
Autore critica:italica.rai.it
Fonte critica:
Data critica:



Critica 3:Quello di Olmi è un film eroico e che parla al cuore delle persone. Interamente interpretato da attori non protagonisti, nella versione originale si presenta in dialetto bergamasco, coi sottotitoli in italiano. Il mondo che Olmi descrive in modo realistico è l'ambiente delle campagne bergamasche di fine ottocento, un mondo filtrato dai racconti della nonna materna, originaria di Treviglio, e certamente da lui idealizzato, ma pur sempre corrispondente all'autentico modo di essere dei contadini di quella terra e di quel particolare periodo storico. Quello che Olmi ha voluto descrivere è un mondo che appartiene ancora all'epoca preindustriale, dove presumibilmente le macchine della filanda in cui lavorano i due sposini sono mosse, piuttosto che dal vapore, dall'energia idraulica delle rogge e dei fiumi. E' un fatto che la capacità totale dell'energia misurata in cavalli vapore delle macchine impiegate in Italia in processi di lavorazione industriale si aggiri, ancora nel 1896, intorno alla metà di quella prodotta nella Russia di Nicola II, e sia addirittura l'ottava e la dodicesima parte di quella prodotta rispettivamente in Inghilterra e negli Stati Uniti (cfr. D. S. Landes, Prometeo liberato, trad. it. Torino, 1978). Che peraltro Olmi, figlio di un macchinista ferroviere, preferisca rappresentare il viaggio di nozze dei due sposini a Milano attraverso il barcone che discende la corrente dell'Adda è, tuttavia, sospetto. Può darsi, pertanto, che prima di porsi il problema di una descrizione realistica della storia, a guidarlo nella sua ricostruzione di quel mondo siano piuttosto motivazioni di carattere sentimentale. I contadini di Olmi sembrano muoversi all'interno di un universo "preindustriale", ordinato secondo i principi della meccanica newtoniana, un cosmo che rappresenta un perpetuo mobile, dove le creature sono coestese al loro artefice e sono come lui immutabili ed eterne. In esso, non trova cittadinanza non solo il secondo principio della termodinamica, formulato nelle Reflexion di Sadi Carnot, ma neanche la legge di Rudolf Clausius sulla non conservazione dell'entropia. L'universo dei contadini di Olmi è dunque interamente reversibile, ed è per questo che dalla cacca possono crescere i pomidori di nonno Anselmo e possono verificarsi miracoli, come quello della guarigione della mucca. In una intervista rilasciata nel 1979 a Gian Piero Dell'Acqua (L'albero degli zoccoli, Milano, 1979), il musicologo Cesare Bermani ha osservato:"Nell'albero degli zoccoli ci sono tre stagioni, non quattro. Manca l'estate, che è la stagione più gioiosa, più sbracciata, più calda di nome e di fatto." (p. 26). Ma bisogna dire che l'estate è anche quella stagione che sembra costituire una verifica della legge di non conservazione dell'entropia. In effetti, alle stagioni solstiziali, Olmi preferisce le mezze stagioni, le stagioni degli equinozi, legate alla cultura matriarcale, in cui la durata del giorno e della notte sono equivalenti e anche l'entropia sembra mantenersi. Vincitore della palma d'oro a Cannes nel 1978, il film di Olmi è apparso in un anno cruciale della storia politica del nostro paese, che da quel momento avrebbe imboccato con più decisione la strada della modernità. Se l'essenza della modernità risiede nel nichilismo, quello di Olmi non vuole essere, tuttavia, un film anti-moderno, e quindi riconoscersi nei valori tradizionali in forma di negazione della negazione, elevando alla potenza di due l'essenza del nichilismo, che rappresenta una non-essenza. Esso sembra aspirare, invece, ad essere un film non-moderno, e cioè non omologabile al comune sentimento della modernità come destino ineluttabile o non rettificabile dell'esistenza umana.
Autore critica:Gianfranco Massetti
Fonte critica:actvitaly.it-immaginicinema
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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