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Across The Universe -

Regia:Julie Taymor
Vietato:No
Video:
DVD:Sony
Genere:Drammatico
Tipologia:Diventare grandi
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Julie Taymor, Dick Clement, Ian La Frenais
Sceneggiatura:Ian La Frenais, Dick Clement
Fotografia:Bruno Delbonnel
Musiche:Elliot Goldenthal
Montaggio:Françoise Bonnot
Scenografia:Mark Friedberg
Costumi:Albert Wolsky
Effetti:Eden Fx, Mokko Studio, FX Cartel, Emergency House Special Effects
Interpreti:Evan Rachel Wood (Lucy), Jim Sturgess (Jude), Joe Anderson (Max Carrigan), Dana Fuchs (Sadie), Martin Luther McCoy (JoJo), T.V. Carpio (Prudence), Spencer Liff (Daniel), Lisa Hogg (ragazza di Jude), Nicholas Lumley (Cyril), Michael Ryan (Phil), Angela Mounsey (Martha, madre di Jude), Robert Clohessy (padre di Jude), Ellen Hornberger (Julia, sorella di Lucy), Amanda Cole (Emily), Linda Emond (madre di Lucy), Timothy T. Mitchum (fratello di Jo-Jo), Elain Graham (madre di Jo-Jo), Joe Cocker (vagabondo/protettore/hippie), Bono Dottor (Robert), Eddie Izzard (Sig. Kite);
Produzione:Revolution Studios, Team Todd, Gross Entertainment
Distribuzione:Sony
Origine:Gran Bretagna-Usa
Anno:2007
Durata:

133

Trama:

Stati Uniti, anni '60. L'inglese Jude ha lasciato la natia Liverpool ed il suo lavoro al porto per andare oltreoceano a cercare suo padre. Nel corso delle sue ricerche, il ragazzo incontra Lucy, una studentessa americana, e se ne innamora, ricambiato. Tuttavia, in America sono gli anni dei tumulti per i diritti civili, della guerra in Vietnam, della controcultura hippy e per questo i due giovani, coinvolti nell'attivismo politico e antimilitarista, si ritrovano ben presto divisi l'uno dall'altra. Jude e Lucy dovranno così affrontare varie vicissitudini per cercare di ricongiungersi.

Critica 1:La nostalgia non è più quella di una volta»: torna in mente il titolo dell' autobiografia di Simone Signoret vedendo Across the Universe, elegia ballata e cantata dei mitici ' 60. Immersi come siamo nell' odierno grigiore, come si fa a non rimpiangere un passato tanto ricco di speranze? 40 anni fa c' era un Papa che apriva la finestra sul mondo, un Presidente Usa che vaticinava la Nuova Frontiera, una dirigenza sovietica orientata verso il dialogo e un' umanità pronta a sbarcare sulla Luna. Oggi abbiamo un Pontefice che rispolvera la messa in latino, Bush che spedisce la truppa al massacro, un leader russo cresciuto nel Kgb (…); e quanto alla conquista dell' Universo, se ne riparlerà chissà quando. A pesca nel melmoso arcipelago di Internet capita ogni tanto di scoprire una perla, come questa definizione dei Beatles firmata Carlo Levi. Dopo averli paragonati a Stravinsky per l' enorme impatto sulla musica del ' 900, lo scrittore rileva nelle incisioni del quartetto «un languore che non si sa se attribuire più a un' acerba giovinezza che a un senso mortale di stanchezza». È proprio l' ambiguo sentimento che pervade il film, una favola moderna strutturata come una cavalcata di canzoni: 33 su oltre 200, scelte e montate con la regista Julie Taymor dagli sceneggiatori Dick Clemens e Ian La Frenais quasi a comporre un «libretto dell' opera». Una storia d' amore dove Jude (Jim Sturgess) mollato il posto di operaio nei cantieri di Liverpool approda a New York, incontra Lucy (Evan Rachel Wood) e dietro a lei si abbandona all' onda del nascente movimento contro la guerra del Vietnam con tutte le implicazioni ribellistiche e psichedeliche e con le confusioni nate da un' ubriacatura di libertà. Reduci e patiti del decennio in cui divampò e si esaurì il fenomeno dei Beatles ritroveranno luoghi, nomi e figure fra la cronaca giovanottistica e la leggenda, dove le canzoni, più sussurrate che declamate, ogni tanto assumono la valenza di «inno generazionale». La vicenda si snoda in un contesto di strizzate d' occhio e ammiccamenti, fin dai nomi dei protagonisti presi da «Hey Jude» e «Lucy in the Sky with Diamonds», evocazioni di ambienti storici come il Cavern Club di Liverpool o di eventi come il «magical tour» sul bus di Neal Cassady fino al rifugio del santone Timothy Leary, il sound inconfondibile di Janis Joplin e Jimi Hendrix, la cartolina precetto bruciata e le rischiose simulazioni per venir scartati alla visita militare, il Nam delle imboscate con gli elicotteri ronzanti sopra la testa dei morituri, il tema arditamente sviluppato di Fragole e sangue che si riallaccia agli scontri di polizia contro studenti. E non a caso il finale, pur edulcorato, evoca l' ultimo concerto dei Beatles prima di sciogliersi. C' è perfino, in una sequenza mirabilmente sintetica, l' annuncio stoico e dolente delle sopravvenienti degenerazioni sfociate nella lotta armata. Across the Universe arriva come il «prossimamente» della valanga di celebrazioni del ' 68 che ci cadrà addosso fra poco, anticipata dalla cover-story di Newsweek (19 novembre) intitolata «L' anno che ci fece ciò che siamo». In un contesto di incantevole qualità stilistica, Julie Taymor mette a frutto nel film la sua preziosa esperienza di creatrice di spettacoli culminata con il trionfo di Il Re leone, ma non manca di ispirarsi ai classici del cinemusical moderno, da Stanley Donen a Bob Fosse, da Baz Luhrmann a Rob Marshall, senza dimenticare il Milos Forman di Hair; e circonda i bravi protagonisti di presenze incisive come Bono, Joe Cocker, Eddie Izzard e altri. Il tono del film, proprio nel senso individuato da Levi, è segnato da una recondita armonia melanconica che contrappunta entusiasmi e illusioni per ripetere ancora una volta, con le parole del buffone di Shakespeare, «la gioventù è roba che non dura».
Autore critica:Tullio Kezich
Fonte criticaIl Corriere della Sera
Data critica:

23/11/2007

Critica 2:Oggi è di moda essere stupidi», ha dichiarato Julie Taymor. Negli anni 60, invece, «era di moda essere svegli, informati ». Senza computer, senza blog, senza cellulari – spiega –, occorreva «mettersi insieme», e andare a protestare nelle strade. «Ma oggi i ragazzi hanno tutto. Non hanno bisogno di ribellarsi a niente. Possono ottenere quel che vogliono». Ha 54 anni, la regista di Across the Universe (Usa, 2007, 133'). E li dimostra, i suoi anni, o almeno li dimostra questa lode d'un paradiso lontano, e ormai perduto.
Ambientato negli anni 60, fra Liverpool e New York, il film racconta una storia che si può dire antica: quella di ragazzi e ragazze nati appena dopo la Seconda guerra mondiale, e ai quali tocca pagare il prezzo di un'altra guerra, che brucia vite e però insieme risveglia coscienze. Tutto questo – giovinezza, protesta, rivolta – è raccontato da Taymor, e dai suoi cosceneggiatori Dick Clement e Ian La Frenais, attraverso la musica e i testi dei Beatles,che sono anche l'occasione per coreografie "narranti".
Si chiama Jude, il personaggio su cui si apre il racconto. Viene appunto da Liverpool, dalla classe operaia di quella città piena di fumo. Per di più, il suo ruolo è affidato a Jim Sturgess, che ha una vaga rassomiglianza con il Paul McCartney d'allora. Si chiama poi Lucy (Rachel Wood) la ragazzina bionda che lo fa innamorare. Già così, da Ehy Jude (1968) a Lucy in the Sky with Diamonds (1967), allo spettatore (ahimé) maturo è rievocata e promessa la colonna sonora di quei lontani anni 60.
Abbandonata l'Inghilterra,la sceneggiatura comincia a muoversi nella ricca provincia americana, e nei suoi riti sociali tranquilli. E però, suggerisce subito il film, sotto la superficie di un perbenismo senza incrinature qualcosa si sta rompendo. Così, per esempio, accade che I Want to Hold Your Hand diventi il grido disperato di un amore allora considerato del tutto inaccettabile: quello della timida Prudence (T.V. Carpio) per una compagna di liceo. E la sorpresa è che questa "lettura" imprevista rende ancora più intensa e sensuale la splendida canzone scritta da McCartney e John Lennon nel 1963 (e proprio per il mercato americano).
Poi, seguendo i primi passi di una rivolta che arriverà presto nelle Università e nelle strade di tutto l'Occidente, Across the Universe si sposta a New York, nel Village. Qui, in un appartamento stracolmo di facce e di slogan ben noti a chi oggi ha fra i 50 e i 60 anni, di nuovo Prudence "cita" i Beatles. Ma ora lo fa per così dire materialmente, entrando dalla finestra del bagno (She Came in Through the Bathroom Window, 1969). Intanto, per le strade del Village si canta Come Together (1969). Travestito da barbone, è Joe Cocker che a Jude "spiega" il senso di quell'invito: «One thing I can tell you is you got to be free».
Tuttavia, contro ogni speranza di libertà, in Vietnam sempre più si uccide e sempre più si muore. Attorno a quella guerra, al suo rifiuto o anche solo alla sua paura, il film di Taymor "mette insieme" i propri molti personaggi, e tra essi Max (Joe Anderson). Ribelle in famiglia, studente fallito, Max deve partire per il Sudest asiatico. A niente valgono i suoi tentativi di sottrarsi: dall'alto delle pareti di un centro d'arruolamento enormi ritratti dello Zio Sam gli si rivolgono con l'indice puntato, e lo inchiodano con le parole inaspettatamente minacciose di I Want You ( 1969).
Quel che segue è la scoperta dell'altro lato di quegli anni, del loro lato oscuro e luttuoso. Su quel lato, appunto, Max viene mandato a uccidere e a morire, e tanti altri con lui. Nelle strade, intanto, molti si ribellano. Qualcuno invece intona Revolution (1968) con i timori e il disincanto con cui Jude mette sotto accusa l'impegno militante della sua Lucy. In ogni caso, a modo suo anche lui si ribella. Lo fa, ancora una volta, attraverso una grande canzone: Strawberry Fields Forever (1966). Solo che dalle sue fragole, inchiodate una per una contro la parete, cola il rosso del sangue.
Tutto questo, e molto altro ancora, seguiamo in platea. La nostra memoria fa come le parole di cui nel 1969 i Beatles cantavano in Across the Universe: scorre come pioggia senza fine dentro un bicchiere di carta. E forse siamo tentati di pensarla come Taymor. Ci sembrano svegli e informati, quei ragazzi e ragazze di 40 anni fa. Ci sembra che il loro – il nostro –fosse un tempo migliore. E ancora ci tenta lo slogan di All you Need is Love (1967). Per fortuna ci frena un sospetto, che è anche una speranza. Fra altri 40 anni, altri spettatori (ahiloro) maturi torneranno indietro con la memoria. E allora, avendo anch'essi attraversato l'universo, si convinceranno d'aver perduto il paradiso.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte critica:Il Sole-24 Ore
Data critica:

2/12/2007

Critica 3:
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