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Ultimo tango a Parigi -

Regia:Bernardo Bertolucci
Vietato:14
Video:RCS Milano, L'Unità Ricordi
DVD:Repubblica
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura:Franco Arcalli, Bernardo Bertolucci
Fotografia:Vittorio Storaro
Musiche:Gato Barbieri
Montaggio:Franco Arcalli, Roberto Perpignani
Scenografia:Ferdinando Scarfiotti
Costumi:Gitt Magrini
Effetti:
Interpreti:Marlon Brando (Paul), Maria Schneider (Jeanne), Maria Michi (Madre di Rosa), Giovanna Galletti (La prostituta), Gitt Magrini (Madre di Jeanne), Catherine Allégret (Catherine), Luce Marquand (Olimpia), Marie Hélène Breillat (Monique), Catherine Breillat (Mouchette), Jean-Pierre Léaud (Tom), Massimo Girotti (Marcel), Veronica Lazar (Rosa), Armand Ablanalp (Cliente prostituta), Rachel Kesterber (Christine), Darling Legitimus (La portinaia), Mimi Pinson (Presidente giuria)
Produzione:Coproduzione Pea (Roma) Artists Associes (Parigi)
Distribuzione:Istituto Luce - Cineteca dell’Aquila - Ricordi Video - Panarecord - L'Unità Video
Origine:Italia
Anno:1972
Durata:

132'

Trama:

In un appartamento da affittare, Paul incontra Jeanne e le impone il primo d'una lunga serie di violenti rapporti sessuali. Nonostante il patto, da lui voluto, di non dirsi nemmeno il nome, nei successivi incontri, i due, Paul soprattutto, tracciano di loro minuziosi ritratti di esseri disgregati, alla deriva. Paul, 43 anni, americano, figlio di alcoolizzati, reduce da fallite esperienze, era da cinque anni con Rosa (tenutaria d'un alberghetto equivoco), appena uccisasi. Jeanne, combattuta fra l'attrazione e il disgusto per il maturo amante e il fascino del coetaneo Tom, regista velleitario, fantasioso, ma sincero e affezionato, si dispone al matrimonio con quest'ultimo, senza pero' ribellarsi alle pretese piu' ripugnanti di Paul, che per di piu' le rovescia addosso una gragnuola di espressioni luridissime contro la donna, l'amore, la famiglia. Nei colloqui con la suocera, con Marcel, che è stato amante di Rosa, e vegliando il cadavere di questa, Paul passa repentinamente dalla calma dolorosa agli accessi di furore e alle crisi di pianto. Capitati in mezzo ad un concorso di ballo, Jeanne ripete il suo rifiuto a Paul, che la supplica di ricominciare e intanto si ubriacano. Jeanne, inseguita da Paul, fugge nella propria abitazione e lo uccide.

Critica 1:Un' "attrazione fatale" di quasi vent'anni fa. Il film fece scandalo per le sue scene di nudo e per il suo messaggio senza dubbio equivoco che emanava. Una splendida fotografia, interpreti magistrali e ritmi serrati ne fanno un ottimo film.
Autore critica:Francesco Mininni
Fonte criticaMagazine italiano TV
Data critica:



Critica 2:Un americano di mezza età, vedovo da poche ore, e una giovane parigina si rinchiudono per fare l'amore in un appartamento vuoto di Passy che è caverna primitiva, cella d'isolamento, zattera per naufraghi. Epilogo sanguinoso. Osannato o disprezzato (sequestrato, condannato "al rogo", liberato negli anni '80), questo film "scandaloso" suggerisce con violenza di prendere sul serio (sul tragico) la verità dell'erotismo. La luce di Storaro e le musiche di Gato Barbieri per un irripetibile Brando, guidato dal talento di un regista che con la musicale mobilità della cinepresa lega spazio, personaggi, oggetti e décor. E in assoluto il film italiano che ha più incassato sul mercato nazionale. Ebbe 14 milioni di spettatori, compresi quelli della riedizione Titanus del 1987. Messo in onda il 21-9-1988 su Canale 5, scorciato di circa 6 minuti e infiocchettato di spot pubblicitari. Le sue vicissitudini giudiziarie durarono un quindicennio fino alla sentenza di non oscenità del 9-2-1987 che non cancellò ma scavalcò la sentenza della Cassazione del 29-1-1976 con la cosiddetta condanna "al rogo". "A Ultimo tango è successo di tutto e ha fatto succedere tutto."
Autore critica:Tatti Sanguineti
Fonte critica:
Data critica:



Critica 3:“Pansessualismo fine a se stesso”: questa era l'accusa mossa dai giudici a Ultimo tango a Parigi. Cosa significa “Pansessualismo fine a se stesso”? Oggi, se ci si riflette solo un po’, non significa assolutamente nulla. Allora, invece, evocava un universo culturale preciso, riconoscibile. Lo stesso valeva per espressioni come “affamato di autenticità”, usata da qualche critico per Paul (Marion Brando). Per tutti noi quelle due parole avevano un significato preciso, anche se oggi ci appaiono fumose. Dopo la prima di New York, un critico italiano descrisse il film di Bertolucci come un prodotto “del cinema esistenzialistico che vuole esprimere la difficoltà di uscire dall'isolamento cui ci ha condotti la civiltà e di riacquistare la verità naturale”. Parole che oggi hanno tanto senso quanto “Pansessualismo fine a se stesso” e “affamato di autenticità”. Ma allora, esattamente come quelle, per tutti noi erano piene di significati impliciti, ovvi, non detti ma chiari. Ci dicevano cose familiari, le evocavano senza bisogno di argomentarle.
Rivedendo Ultimo tango, tutto questo torna alla mente. Ci torna come un fantasma di cui molti si erano dimenticati. Ricordate? Quindici anni fa c'era nell'aria una sorta di campo magnetico culturale, fatto di convinzioni profonde e quasi obbligate. Erano patrimonio di massa, ma anche le élite si compiacevano di condividere e di rilanciarle. Appena certe parole chiave venivano dette o scritte, quel campo magnetico ci dettava dentro immagini, opinioni, idee.
In questo clima uscì Ultimo tango. Subito catalizzò quell'ambiente saturo di conflittualità culturale e insieme di opposti conformismi. E fu proprio il film di Bertolucci a pagare per quella atmosfera, per quello “spirito del tempo”. Ma forse anche a trarne vantaggio, attenzione. E oggi? Cosa resta, oggi, della storia di Paul e Jeanne, di Tom e Jeanne, dell'appartamento di Passy e della disperata volontà di nulla? Cosa resta della grande emozione collettiva che fece incassare a Ultimo tango quasi otto miliardi in due settimane?
Negli anni Settanta, del film alcuni sottolinearono i luoghi poetici tipici del cinema di Bertolucci: approccio psicoanalitico, fantasma paterno (che più tardi, con La luna, avrebbe lasciato il posto a quello materno), ritorno all'infanzia, critica della famiglia, tema del “doppio”. Altri misero l'accento sugli elementi più strettamente cinematografici: ambivalenza nei confronti di Godard (anch'egli figura paterna) e riferimenti a Renoir, Rossellini, Vigo (L'Atalante) e Truffaut.
Il riferimento a Truffaut è quello più rivelatore. E anche quello più insistito, con il personaggio di Tom (Jean-Pierre Léaud). Si disse - e a ragione - che Tom era un'ironia garbata alla “Ieggerezza” del cinema della nouvelle vague, al suo modo di intendere il rapporto tra cinema e vita, al suo modo di intendere l'amore. E, per lo più, lo si disse con una nota di condanna per la “superficialità” di Tom.
Tanto altro ancora si disse e si scrisse su Ultimo tango. Ci fu chi spese righe e paragrafi affatican-dosi sul topo morto trovato nel letto da Jeanne. E in effetti quel topo aveva una indubbia “valenza simbolica”. Oggi possiamo dirla ridondante e an-che un po' comica, ma allora era perfettamente coerente con lo spirito del tempo. E uguale di-gnità di simbolo fu riconosciuta a elementi come i nomi delle strade (rue Jules Verne e rue del la Bohème) o come le vestaglie identiche di Paul e dell'amante della moglie.
Allora, infatti, un film d'autore - nel senso europeo e italiano del termine - era considerato territorio di scavo, zeppo di allusioni e significati nascosti. Ogni più piccolo particolare era preso terribilmente sul serio e tutti noi ci dedicavamo a voltar pietre per scoprire cosa ci fosse sotto. Era questo il nostro contributo specifico allo spirito del tempo, che era affamato di significati e di assoluti.
Una buona parte di ciò che allora vedemmo nel film a furia di rovesciar pietre, oggi non ha più forza. Può darsi che anche questi nostri anni siano dominati da un campo magnetico culturale. Ma, se c'è, questo campo è molto diverso da quello di allora. E il film di Bertolucci ne risente. Infondo, Ultimo tango fa l'impressione di un ergastolano uscito dopo lunghi anni di ingiusta galera. Oggi sono pochi quelli che alla leggerezza e alla superficialità del cinema davvero antepongono la pesantezza e la serietà della vita “vera”. Noi siamo cambiati, anche e soprattutto in questo. Abbiamo scoperto o forse riscoperto il valore profondo dei verosimile, del “come se” cinematografico. Il cinema è oggi invaso da nuovi barbari, grandi e creativi come sempre i barbari. E anche entusiasti e innamorati: entusiasti della specificità cinematografica, innamorati della sua leggera superficialità.
In generale, quello che oggi non ha più forza in Ultimo tango è tutto ciò che sta intorno all'amour fou di Paul e di Jeanne, il continuo riferirsi di Bertolucci al mondo che sta al di là delle pareti dell'appartamento di Passy, la sua preoccupazione di parlare la “lingua” di quegli anni. Insomma, è quello che allora abbiamo scavato sotto le pietre, che oggi appare superato, senza vita. E non importa che a voltarle, quelle pietre, ci avesse invitato proprio Bertolucci.
Quello che oggi resta vigoroso e suggestivo, invece, è la folle storia d'amore, la vertiginosa prospettiva sul nulla e sulla ricerca dell'autodistruzione. In fondo, qualcuno può anche pensare che resti forte e vigorosa la parte più originale e profonda della poetica di Bertolucci, al di là delle sue e delle nostre preoccupazioni di corrispondere allo spirito del tempo. Paul vuole morire, lo vuole dalle prime cupe inquadrature. Lo dicono, inequivocabili, le pareti assurdamente imbrattate del sangue della moglie. Questa sua volontà di morte trova in Jeanne un oggetto e, soprattutto, uno strumento. Con lei vive un eros funebre, mortifero come la “coazione a ripetere” che li obbliga a fissare e, appunto, ripetere il loro primo incontro con un'esistenza allucinata, astratta, separata dal mondo e dalla vita. Il loro sesso è quello della metafisica erotica di Georges Bataille (che Bertolucci leggeva all'epoca di Ultimo tango), con l'orgasmo paragonato a una “piccola morte”.
Paul è alla ricerca del nulla. Vuole distruggere se stesso attraverso Jeanne. Lei è lo specchio di un suicidio sognato, inseguito, sperato, e in qualche modo già realizzato nella decisione di nascondere il proprio nome e non conoscere quello dell'amante. E suicida è anche la finta volontà di vivere con Jeanne una vita normale. A un po' come se, così, Paul portasse a compimento la strategia iniziata con il sesso. Dietro quella volontà c'è un calcolo preciso: scoprirsi, svelarsi a Jeanne, e così costringerla a volgere contro di lui tutta la volontà di morte accumulata nel buio dell'appartamento di Passy. Questo è, oggi, il film di Bertolucci, il suo grande film: un apologo assoluto, astratto e astorico sulla volontà del nulla, sull'amore per la morte. E a questo grande film è essenziale l'apporto del mito-Brando, del suo volto, della sua storia, e anche l'apporto della grande fotografia di Storaro (“il principe delle tenebre”, secondo Bertolucci). Il resto, che pure c'è, è un suo piccolo film: ridondante, noioso, letterario, preoccupato dello spirito del tempo. Se preferite, il resto è un grande film di quindici anni fa. O meglio: un grande film, quindici anni fa.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte critica:Cineforum n. 262
Data critica:

3/1987

Libro da cui e' stato tratto il film
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