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Jesus Christ Superstar - Jesus Christ Superstar

Regia:Norman Jewison
Vietato:No
Video:Cic Video, San Paolo Audiovisivi
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:La musica
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Andrew Lloyd Webber, Tim RiceRock, dall' opera "Jesus Christ Superstar" di Tim Rice E Andrew Lloyd Webber
Sceneggiatura:Melvyn Bragg, Norman Jewison
Fotografia:Douglas Slocombe
Musiche:Andrew Lloyd Webber, Andre' Previn
Montaggio:Antony Gibbs
Scenografia:John Clark, Richard MacDonald
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Carl Anderson (Giuda), Bob Bringham (Caifa), Barry Dennen (Ponzio Pilato), Yvonne Elliman (Maria Maddalena), Larry T. Marshall (Simone), Joshua Mostel (Erode), Ted Neely (Gesu'), Philip Toubus (Pietro), Kurt Yaghjan (Anna)
Produzione:Jewison Stigwood
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:USA
Anno:1973
Durata:

105'

Trama:

Il film narrativamente si basa sugli episodi evangelici della Passione di Cristo, introdotti dal risentimento di Giuda per il presunto sperpero operato dalla Maddalena che profonde nardo prezioso su Gesu'. I principali sono: l'entrata trionfale in Gerusalemme, la cacciata dei profanatori dal tempio, la congiura dei Sommi Sacerdoti, l'ultima cena, il tradimento di Giuda, lo spergiuro di Pietro, il Signore giudicato presso il Sinedrio e Pilato condotto davanti a Erode, la crocifissione.

Critica 1:Dramma musicale di Broadway che ha avuto molto successo. E ispirato alla vita di Gesù, rievocata da giovani turisti in Israele: l'ingresso a Gerusalemme, il processo, la condanna a morte e la crocifissione. Tratto dall'opera rock di Tim Price e Andrew Lloyd Webber, ha scandalizzato molti per i modi irriverenti della sacra rappresentazione. Efficace, energico, spettacolare. Attori bravissimi.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Il primo successo risale a circa tre anni fa con l'entrata in commercio del famoso l.p. che trovò subito una rispondenza emotiva nei giovani registi teatrali di Broadway, amanti dell'istinto creativo musicale.
L'opera nacque e prosperò tra critiche sempre positive anche se oscurate dai soliti dubbi tendenziosi creati dalle fasce mentali sempre meno elastiche e piú conservatrici. Dunque un po' di perplessità accompagnò le prime rappresentazioni americane e benché animato da genuine produzioni di ritmi e musiche frenetiche, il lavoro fece il suo tempo.
In America, in quel periodo, si era rispolverato il mito di Cristo, che cullava i bambini e le vecchie privi di dimestichezza con la vita, emarginava l'impotenza e l'angoscia in nome dell'indefinito indefinibile, masticava i desideri per condurli nell'etera consistenza dell'astratto, limitava «liberamente» le singole volontà. Logica vuole che in un mondo del genere, infatuato da futili convinzioni, intriso di problemi di natura eterogenea, qualcuno - la regia americana non si smentisce mai - sfruttasse la politicizzazione dell'ambiente a vantaggio d'una qualsivoglia utilità. Ed è uscito un film di raro calibro. Un film che sa poco di cinema, tanto è dolcemente accattivante. La problematica è vecchia come l'uomo, forse di piú, parte dai primordi della «bestia pensante» e dal mito, il passo per arrivare alla competitività è brevissimo.
Affiora la discordia. Caino e Abele ne sono i paradigmi, entrambi. C'è bisogno di qualcosa di stabile, sicuro, immerso nella certezza, una specie di padre eterno, giovane e sano governatore d'un mondo puro e incontaminato: spunta Cristo. E nel suo Olimpo la resa psicologica all'evidenza della situazione terrestre lo divora e lo conduce sul nostro mondo. Il film ingigantisce ogni problema. Da una parte, musica, gioventú, bellezza contrapposte, dall'altra, alla marcia prostituzione narcisistica della realtà.
Un gruppo di ragazzi, presi sullo stretto reticolato dei marciapiedi, ossessionati dalla vita, animano il film, lo vivono con le loro presenze simboliche, le immagini delle loro idee, e - chiudendo la porta alle volontà inibitrici - sciolgono le necessità di un panorama di stupende beltà, dai tramonti ai parchi. Non manca nulla: la musica - nobile arte stimolatrice - che da sempre è corsa al passo dei tempi, e ama i giovani, è la vera protagonista.
La storia è la vita di Cristo nel suo ultimo periodo. Cronologicamente non manca nulla, la presenza di Erode, Pilato e soprattutto Giuda: si vedono e si sentono nei loro tormenti. I motivi incanalati nella mente dello spettatore si accavallano, pieni di contrasti e di contraddittorietà proprie delle menti confuse.
Un Cristo strano, diverso, combattuto, che si pone il problema del motivo dei «perché» prima e del «perché» poi. Un Cristo vincitore sugli altri, ma vinto in se stesso da Dio, dal vento della notte, dal freddo crepuscolare che bagna i suoi piedi scalzi, da Giuda. Il problema si allarga, non solo la marginale etichetta religiosa si snoda tra le pieghe del film, bensì la te-matica esistenziale che - sebbene non risolta - appare evidente.
Cristo e Giuda, il bianco e il nero, lo stridore acuto dell'insicurezza (Cristo) e la calma baritonalità (Giuda), l'io che vuole e l'io che deve: entrambi vorrebbero essere diversi ma non lo possono. E se Giuda, con canti ingannanti si chiede il perché del suo destino sconfitto, il perché della sua giansenistica predestinazione a quella fine con dolcissime emozioni visive, Cristo teso anche lui dalla corda del destino, s'accorge delle difficoltà terrestri e preferirebbe tornare nell'inconsistenza. Ma combatte e marcia fino alla morte della sua parola. Giuda, invece, dannato dal suo io, rimane sconsolato e deluso per ciò che «ha» dovuto fare nella sua nevrotica condanna e ordina a se stesso le squisite fatture d'un passato lontano.
Lotta e vita che s'aiutano, la lotta per la sopravvivenza che si plasma anche su indumenti femminili (in questo caso, Maddalena che ama il Cristo bianco, e anche se nutre una predilezione per il Cristo nero - e negro - non lo manifesta apertamente). La tinta dei colori è sempre accesa, il sottobosco di questi personaggi è estremamente rappresentativo: l'uomo in tutte le sue apparizioni. Un Erode quasi istrionesco combattuto anche lui dalla sua condizione inferiore di fronte al Cristo nobile e bello e «di gentile aspetto»; un Pilato dubbioso ed enigmatico, che simboleggia una normalità squadrata nella vuotezza del pensiero. Su questo panorama di colori e di emozioni, che fuoriescono dalle immagini, alita la freschezza. I problemi ci sono, e sono tanti, ma il regista con quei canti corali, con le mosse propiziatrici dei balletti, sembra quasi che ne assottigli la consistenza, per identificare le tematiche in immagini stereotipe. Norman Jewison ha messo troppa carne al fuoco, a un fuoco che probabilmente era spento e che - durante il processo - una folata di vento ha ravvivato, rendendolo incandescente per qualche attimo. L'attimo però dura e durerà finché ci sarà bisogno della patria potestà generalizzata a luogo co mune, finché l'uomo veramente consapevole delle sue possibilità non troverà il vero linguaggio per esprimersi. Allora, solo allora, non serviranno piú né cristi, né numi tutelari di qualunque genere e il bambino-adulto si troverà ad essere ciò che veramente è. Sarà forse un primo avvio alla lenta maturazione della morte, ma chissà forse tutto è propedeutico per qualcosa.
Autore critica:Andrea Enrile
Fonte critica:Cinema Sessanta
Data critica:

1-2/1974

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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