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Fuga da Alcatraz - Escape from Alcatraz

Regia:Don Siegel
Vietato:No
Video:Paramount
DVD:Paramount
Genere:Drammatico - Thriller
Tipologia:Diritti umani - Esclusione sociale
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:tratto dal romanzo di J. Campbell Bruce
Sceneggiatura:Richard Tuggle
Fotografia:Bruce Surtees
Musiche:Jerry Fielding
Montaggio:Ferris Webster
Scenografia:Allen Smith
Costumi:Glenn Wright
Effetti:Chuck Gaspar
Interpreti:Clint Eastwood (Frank Morris), Patrick Mcgoohan (Warden), Roberts Blossom (Doc), Jack Thibeau (Clearence Anglin), Fred Ward (John Anglin), Madison Arnold (Zimmerman), Bob Balhatchet (medico), Paul Benjamin (English), Stephen Bradley (guardia), Blair Burrows (guardia), David Cryer (Wagner), Bruce M. Fischer (Wolf), Ray K. Goman (Capitano), Larry Hankin (Charley Butte), Matthew J. Locricchio (guardia), Don Michaelian (Beck), Frank Ronzio (Litmus), Don Siegel (Dottore), Fred Stuthman (Johnson), Ron Vernan (Stone)
Produzione:The Malpaso Company, Paramount Pictures
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1979
Durata:

112’

Trama:

Frank Morris, reo di molte fughe dalle carceri statunitensi, viene trasferito al penitenziario di Alcatraz, denominato "The Rock" e famoso per le condizioni che vi rendevano impossibile le evasioni. Benchè di carattere chiuso, Morris fa alcune amicizie: Doc, il pittore timido che si taglia le dita di una mano quando gli tolgono il permesso di pitturare; Litmus, un italiano che si fa chiamare "Al Capone"; il negro English che apprezza il nuovo arrivato e lo protegge, Clarley, l'indeciso che non giungerà all'appuntamento della fuga. Frank, inoltre, ben presto dovrà rilevare la durezza del carcere speciale e la disumanità del suo direttore. Quando al penitenziario pervengono i fratelli Clearence e John Anglin, già conosciuti altrove, Morris si decide e propone un piano di fuga che viene minuziosamente realizzato. Quando la fuga dei tre viene scoperta, scatta il dispositivo di ricerca che non approda a nulla. Il direttore, che preferisce sostenere l'annegamento nella baia dei fuggitivi, viene richiamato a Washington e la prigione, smantellata, diviene un curioso centro di attrazione turistica.

Critica 1:L'ultima collaborazione tra Don Siegel e Clint Eastwood. Ambienti curati, personaggi ben definiti, tensione crescente e una buona dose di ironia cui anche Eastwood si adegua volentieri.
Autore critica:Francesco Mininni
Fonte criticaMagazine italiano tv
Data critica:



Critica 2:Siegel riscatta gli stereotipi prosciugandoli con lo stile. Fa economia di tutto, perfino di violenza, con una tensione che arriva alla suspence ma senza cercarne gli effetti. E' un film da scuola di cinema. Eastwood in gran forma.
Autore critica:Laura e Morando Morandini
Fonte critica:Telesette
Data critica:



Critica 3:(…) Siegel ripercorre i passaggi obbligati del filone carcerario, con cui si era già confrontato 25 anni prima. A suo tempo, Rivolta al blocco 11 fu certamente un film con un suo spessore anche di denuncia sociale, con un riferimento preciso alla realtà extra-filmica (Siegel metteva bene in luce il suo passato di documentarista) e fu per certi aspetti una riflessione profonda sulla violenza legalizzata dell'istituzione. Fuga da Alcatraz non tematizza esplicitamente la disumanità dell'istituzione totale, dandola per scontata, per acquisita. Nonostante ciò, il film allinea il repertorio completo dei sottotemi di genere (evidenziati da situazioni e personaggi estremamente codificati): lo sradicamento dagli affetti famigliari (visita della moglie a Puzzo e della figlia a English), l'amore per gli animali (Tornasole ed il suo topolino), la passione per i fiori (i crisantemi coltivati da Tornasole e da Doc), la dignità e la libertà non sopite dietro le sbarre (la serenità di Doc e la sua dedizione alla pittura), i conflitti razziali (il settore di cortile riservato ai neri), le gerarchie «sociali» (il capo carismatico English), il sadismo del direttore, la stupida brutalità di certi secordini, l'omosessualità più o meno latente. Ma Siegel impone a questi materiali, che sembrano prelevati direttamente dalla tradizione, una precisa funzionalità drammaturgica. Non vi sono tesi precostituite da dimostrare (chi si ricorda L'uomo di Alcatraz - The bird man of Alcatraz, '62 - di John Frankenheimer?), non conta l'analisi interna di un «universo concentrazionario» (cfr. l'interessante Esecuzione al braccio 3 - Short eyes, '77 - di Robert Young), ognuno degli elementi elencati, calibrato con secchezza ed efficacia, viene integrato e superato all'interno di una compatta progressione narrativa, che ha il suo culmine drammatico nella preparazione e nell'esecuzione della fuga. Fin dalla sequenza su cui scorrono i titoli di testa, un avviso mette in guardia chiunque dall'aiutare i detenuti ad evadere; e ancora: il direttore elenca con dovizia di particolari a Morris, detenuto particolarmente propenso all'evasione, le modalità di fallimento dei diversi tentativi effettuati ad Alcatraz (ed è proprio mentre il direttore parla che Frank gli sottrae il tagliaunghie, strumento che gli sarà essenziale in seguito); English mette al corrente Frank di tutte le difficoltà che si oppongono alla fuga (sbarre d'acciaio entro cui sono fuse altre sei sbarre, una guardia ogni tre detenuti, i controlli continui ed ossessivi, le gelide acque della baia, attraversate da correnti fortissime); Tornasole gli suggerisce, scherzando, la via del condotto di ventilazione; infine, l'insetto che entra ed esce dalla griglia del condotto stesso, dà l'avvio alla fase culminante del film.
La vicenda ha parecchi punti in comune con quella di Un condannato a morte è fuggito (Un condamné a mort s' est echappé, '56) di Robert Bresson. Entrambi i film concentrano l'attenzione sul lavoro paziente ed ingegnoso del detenuto in cella (anche Fontaine si serve di un cucchiaio) utilizzando strumenti di fortuna. E se Bresson costruisce un suo linguaggio rigoroso ed astratto, fatto di piccoli gesti, di suoni e rumori lontani, di sguardi intensi e di lunghi monologhi, Siegel, pur lavorando sul versante hollywoodiano, organizza perfettamente i materiali figurativi (grazie all'apporto di Bruce Surtees) e ritmici, creando una scansione quasi-astratta di entrate e uscite, luci ed ombre, tensioni e ironia. Ma quella di Fontaine è un'avventura interiore, pregnante di significato, di un personaggio connotato positivamente. Morris appartiene invece a quella linea di «eroi» siegeliani che percorrono itinerari di sparizione, di occultamento, come Varrick, o il maggiore Grigori Borzov di Telefon.
Di lui sappiamo poco: non ha famiglia, né parenti, ha avuto un'infanzia breve (così dirà a Puzzo), parla pochissimo, è un rapinatore forse neppur troppo abile (non è certamente un grande criminale), ha un ingegno notevole e parecchio autocontrollo, ma anche molta fortuna e, alla fine, scompare senza lasciar traccia. Siegel sa, da tempo, che gli eroi della tradizione sono morti (ed ha messo in scena la morte di un'epoca «mitica» del cinema nello splendido Il pistolero); la sua visione lucidamente pessimistica attraversata da un'amara ironia ci restituisce un mondo in cui non vi sono più certezze né utopie e la scissione tra professionalità ed eticità è ormai definitiva. Al contrario dei personaggi di Peckinpah, eroi al crepuscolo, travolti da una riorganizzazione sociale che ha dimenticato gli antichi valori, «perdenti» destinati ad emergere anche nella sconfitta, quelli di Siegel non hanno nulla da perdere, lottano per se stessi, per la sopravvivenza, destinati a scomparire, a nascondersi, rientrare nell'anonimato, mascherarsi. AI contrario dei grigi antieroi di Altman, protagonisti di un'epopea letta «a rovescio» (si pensi soprattutto a McCabe o a Bowie Bowers), Tarrant e Borzov, Varrick e Morris sono abili e possono anche riuscire, ma la loro abilità ed il loro successo non sono segni né conseguenze di una superiorità morale; essi vivono di vita puramente cinematografica, «maschere» destinate a svanire con la fine del film. La sequenza in cui Morris esce lungo il condotto di ventilazione e la guardia passa e ripassa nel corridoio mette bene in evidenza l'importanza della maschera, dello sdoppiamento, della «recitazione» (nella seconda parte della sequenza, quando il «mastino» lascia cadere lo sfollagente, lo spettatore «crede» che nel letto ci sia ancora la testa finta).
Non da questa sequenza soltanto appare chiaramente che Siegel fa del montaggio (pratica significante con cui ha notevole dimestichezza) il principio costruttivo del suo cinema; con le sole immagini sa creare la tensione, suscitare un'emozione, sintetizzare una situazione, tratteggiare un personaggio, riducendo al minimo i dialoghi e rinunciando totalmente allo psicologismo.
Autore critica:Angelo Conforti
Fonte critica:Cineforum n. 192
Data critica:

3/1980

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
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