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Morte e la fanciulla (La) - Death and the maiden (The)

Regia:Roman Polanski
Vietato:14
Video:Cecchi Gori Home Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:letteratura drammatica
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal lavoro teatrale di Ariel Dorfman
Sceneggiatura:Ariel Dorfman, Rafael Yglesias
Fotografia:Tonino Delli Colli
Musiche:Wojciech Kilar
Montaggio:Herve' De Luze
Scenografia:Pierre Guffroy
Costumi:
Effetti:Gibert Pierri
Interpreti:Sigourney Weaver (Paulina Escobar), Stuart Wilson (Gerardo Escobar), Ben Kingsley (Roberto Miranda), Krystia Mova (moglie del Dr. Miranda), Jonathan Vega (figlio del Dr. Miranda), Rodolphe Vega (figlio del Dr. Miranda)
Produzione:Thom Mount, Josh Kramer
Distribuzione:Cecchi Gori
Origine:Gran Bretagna
Anno:1994
Durata:

107’

Trama:

Paulina Escobar abita col marito avvocato Gerardo in una casa sul mare, isolata, a picco su una scogliera, in prossimità di un faro, in un paese dell'America Latina. Gerardo è stato convocato nella capitale per un incarico di estrema fiducia: dirigere una commissione che dovrà indagare sulla violazione dei diritti umani, più volte verificatasi negli anni della recente dittatura, durante i quali Paulina ha subito tremende torture. La donna ha ascoltato alla radio la notizia di quell'incarico, (di cui il marito non le aveva fatto parola), poco prima che un violento temporale facesse saltare la corrente all'imbrunire mentre era in attesa del suo ritorno. è quindi sorpresa ed atterrita quando ode avvicinarsi un'automobile che dal rumore avverte non esser quella del marito: è uno sconosciuto che ha dato un passaggio a Gerardo rimasto in "panne". Paulina è contrariata per quell'incarico ma dopo un acceso diverbio con il marito, sembra rasserenarsi. Si preparano ad andare a dormire, quando di nuovo si ode il rumore di un'automobile: è di nuovo lo sconosciuto di prima, di ritorno perché ha dimenticato di consegnare la ruota di scorta rimasta sulla strada. Questa volta Gerardo fa entrare il cortese ospite: è il dottor Roberto Miranda, lo fa accomodare e gli offre da bere. Pauline rimane in camera sconvolta. Ha riconosciuto la voce dell'ospite e non ha dubbi: è uno dei suoi torturatori di quindici anni prima. Mentre i due chiacchierano e bevono (abbondantemente) Pauline va macchinando un processo-vendetta ai danni del suo presunto torturatore. Mentre ambedue dormono pesantemente, la donna lega ed imbavaglia l'ospite sospetto dopo averlo stordito con un forte colpo sul capo, e dopo aver inserito nel registratore il nastro de "La morte e la Fanciulla" di Schubert, che ricordava accompagnare atrocemente gli indimenticabili momenti delle torture subite. Da quel momento la notte è d'incubo: Paulina istericamente convinta di essere davanti all più cinico dei suoi torturatore d'un tempo; Roberto Miranda che - pur terrorizzato - continua a negare d'averla mai conosciuta; Gerardo che pur sconvolto sotto la minaccia della pistola di lei, trova quel procedere assurdo e segno di follia, e cerca di farla ragionare.

Critica 1:Tratto da un testo teatrale di Ariel Dorfman (che partecipa all'adattamento cinematografico), Polanski si attiene fedelmente al testo, apportando però delle interessanti modifiche. Mentre sul palcoscenico la pièce si incentrava sul valore politico della vicenda, sottolineando il valore della memoria, il bisogno di superare le tragedie del passato per avviare nel paese (tra l'altro non viene specificato quale) un percorso democratico; il regista polacco incentra tutto sull'umanità. La telecamera si sofferma su lunghi e claustrofobici primi piani (come l'interminabile confessione di Kingsley, ripresa senza controcampo) dando maggior risalto ai sentimenti che animano da una parte e dall'altra i protagonisti. Una tragedia sconvolgente, una discesa negli inferi dell'essere umano dove si vede chiaramente la presa di posizione del regista, apertamente schierato dalla parte di Paulina, quest'ultima tormentata dal desiderio di dissetare la propria vendetta per le violenze subite e un forte senso di giustizia per un paese e un popolo che prova a rinascere. Gli sguardi e la gestualità della vittima (Weaver) e del carnefice (Kingsley) dialogano in un silenzio che è manifesto delle contraddizioni emotive dell'uomo, dove bene e male spesso seguono percorsi paralleli. Un cinema da camera che privilegia la teatralità del testo e che si avvale di un trio di attori superlativo.
Autore critica:Tania Esposito
Fonte criticaFilmChips
Data critica:



Critica 2:Polanski parte da un testo teatrale per lavorarlo nelle occasioni che esso offre all'invenzione visiva, alle risorse dell'inquadratura, all'implicazione sonora: in breve, alla messa in scena squisitamente cinematografica. È dalla costante tensione in cui viene mantenuto questo intreccio che deriva per lo spettatore l'impossibilità di adagiarsi su impressioni e opinioni che per un momento ha creduto acquisite. E la concretezza di questa tessitura che permette al film di riscattarsi dal rischio dell'astrattezza e, diciamolo pure, dell’accademia" a cui era esposto dalla tipologia dei suoi personaggi e dei temi generali messi in
gioco.
Il più importante di questi temi ci sembra essere non tanto quello del rapporto infido che inevitabilmente si stabilisce tra persone, istituzioni, pubblico e privato nel trapasso paludoso dalla dittatura alla democrazia, quanto quello del rapporto tra verità e menzogna. Paulina si dibatte ancora nel buio di quel cappuccio a cui fu costretta durante l’esperienza atroce della violenza. Da quell'oscurità quale realtà può prendere corpo? Immersa ancora, dopo tanti anni, in quella notte lontana, Paulina è improvvisamente convinta di aver dato un volto e un corpo al suo misterioso aguzzino: sorta di dio minore, che ha bisogno delle sue stesse creature affinché queste possano ricevere pienamente il loro statuto d'esistenza. Una collaborazione che può finire per nascondere in sé i tratti malsani della complicità, dal momento che la prospettiva della morte si inserisce come possibile esito del confronto, qualora i risultati non si adeguino a quelli previsti e desiderati.
La realtà è da cercarsi nella verità o nella menzogna? O non è forse prima ancora di esse, condizione medesima della loro esistenza, madre dubbiosa di ambedue? Il mondo che prende forma nella narrazione finale di Miranda è quello costituito dai fatti che lui ci viene narrando oppure quello del semplice atto del narrare, così come ci si svolge davanti agli occhi? Polanski ha chiesto a Ben Kingsley di interpretare il dottore "come se” fosse innocente, all'insaputa di Weaver e Wilson; ma se sulla scena la realtà è l'interpretazione, allora Miranda è innocente e la verità che alla fine ci racconta è davvero menzogna. Anche per questo motivo, sarebbe davvero troppo pretendere da lui i segni del pentimento, che infatti - fortunatamente - restano assenti. Tutto si tiene, o almeno pare. Chiuso il cerchio con tanta precisione, alla "macchina cinema" non resta che la scelta di buttarsi dalla scogliera, nella vertigine buia da cui tutto ha avuto inizio e da cui tutto potrà ricominciare: esaltazione o disperazione? Comunque, una decisione incontestabile, nonché un geniale colpo di cinema.
Pienamente organico a questa dialettica verità-menzogna è il tema erotico-amoroso, che si dispiega a sua volta nel film. Alcune immagini: Paulina che, dopo aver legato Miranda alla sedia, lo annusa dichiarando di ricordarsi il suo odore; il dettaglio della mano di lei che si allunga ad aprire i pantaloni del dottore, per aiutare quest'ultimo a pisciare; lo sguardo di Miranda, implorante e trionfante al contempo, durante la ricostruzione conclusiva degli stupri; l'incrociarsi finale degli sguardi, che sancisce tra marito e moglie la presenza, ormai definitivamente acquisita, non soltanto di un ricordo ma di un volto e di un corpo identificabili, in cui fisicamente si mescolano minaccia, legittimo orrore e straziata complicità. Un'indagine condotta sull'ambiguità che caratterizza le pulsioni legate alla sfera sessuale intercorrenti tra una vittima e il suo aguzzino non brilla per novità. Ciò che la rende particolarmente interessante in questa occasione è il fatto che La morte e la fanciulla forma il terzo movimento di un discorso che il cinema più recente di Polanski va sviluppando intorno al matrimonio. Qui si fa esplicito il collegamento anche con il tema del potere: non meraviglia che quest'ultimo, che fissa quotidianamente nel patto coniugale la necessità dell'ingerenza sociale anche nella sfera dei sentimenti e degli atti più intimi esistenti tra due individui, possa arrogarsi il diritto di devastare quella sfera nei modi atroci, quando ciò sia funzionale alla propria sopravvivenza; è certo meno piacevo dover riconoscere che una simile devastazione può lasciare dietro di sé anche le tracce inquietanti di un ulteriore riconoscimento, suggellato contro ogni apparenza e addirittura capace di presentarsi sotto le spoglie di una potenziale, continua e sconvolgente tentazione. Naturalmente, sarebbe vano cercare tutto ciò ben in vista sul piatto d'argento di un film a tesi; Polanski preferisce giocare, come d'abitudine, con lo spettatore, trascinandoselo dietro lungo un percorso costellato di trabocchetti e di tagliole e costringendolo, in un certo senso, a negarli ogni forma di consenso o soltanto di accondiscendenza. E se in questo modo il regista conferma un'idea di cinema che gli appartiene da sempre, l'occasione fornitagli dall'incontro con il lavoro di Dorfman ci consente invece di riconoscere nel brano schubertiano eponimo una sorta di faro che la illumina retrospettivamente e ce la restituisce arricchita di ulteriore consapevolezza.
Autore critica:Adriano Piccardi
Fonte critica:Cineforum n. 344
Data critica:

5/1995

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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