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Alza la Testa - Alza la Testa

Regia:Alessandro Angelici
Vietato:No
Video:
DVD:01 distribution
Genere:Drammatico
Tipologia:Giovani in famiglia, Padri e Figli
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Angelo Carbone, Alessandro Angelici
Sceneggiatura:Alessandro Angelini, Angelo Carbone, Francesca Marciano
Fotografia:Arnaldo Catinari
Musiche:Luca Tozzi
Montaggio:Massimo Fiocchi
Scenografia:Alessandro Marrazzo
Costumi:Daniela Ciancio
Effetti:
Interpreti:Sergio Castellitto, Gabriele Campanelli, Giorgio Colangeli, Anita Kravos, Augusto Fornari, Duccio Camerini, Pia Lanciotti, Gabriel Spahiu, Laura Ilie
Produzione:Bianca Film
Distribuzione:01 Distribution
Origine:Italia
Anno:2009
Durata:

86'

Trama:

Mero, operaio specializzato in un cantiere nautico, è un padre single. Lorenzo, il figlio nato da una relazione con una ragazza albanese, è la sua unica ragione di vita e il sogno dell'uomo è che il ragazzo diventi un campione di boxe, riscattando così la sua anonima carriera da dilettante. Per questo lo allena duramente, insegnandogli giorno dopo giorno a tirar pugni e a proteggersi dai colpi bassi della vita. L'equilibrio di questo rapporto è sconvolto dal ritorno di Denisa, la madre di Lorenzo, e dall'incontro tra il figlio e la giovane Ana. Le prove per Mero non sono finite e dovrà confrontarsi con il dolore, con i propri pregiudizi e ocn la lontananza del nostro Nord Est.

Critica 1:Gira che rigira siamo sempre lì. Il soggetto intorno a cui ruota gran parte del nostro cinema più ambizioso, è l’incontro con l’Altro, quasi sempre uno straniero o un immigrato: l’emblema del “diverso” più problematico. Nel secondo film di Alessandro Angelini, Alza la testa, il tema incrocia la scorza di un personaggio che fra sé stesso e il resto del mondo ha eretto un muro. Il Mero disegnato da Castellitto con molta sottigliezza (e una punta di simpatia di troppo), difatti, usa suo figlio Lorenzo come uno scudo. Là fuori ci sono gli altri. Qua siamo solo noi due. Senza nemmeno la madre in mezzo, perché da quando se n’è andata, in casa non entra più, e se il figlio vuole vederla deve farlo di nascosto.
È lo stesso schema di partenza di Come Dio comanda, curiosamente, il film di Salvatores da Ammaniti. È facile dire che è lo schema difensivo di un paranoico impegnato a negare la realtà. In questi casi puntualmente la realtà si prende una dolorosa rivincita. Infatti il padre-allenatore, colui che insegnava al figlio i trucchi della boxe, un padre-padrone più strisciante e insidioso di un tiranno dichiarato, prima strappa al figlio la prima cosa tutta e solo sua (l’amore per una ragazza, romena guardacaso). Quindi affronta la massima tragedia che possa colpire un padre, perdendo di colpo quel figlio unico e adorato. Per poi vedere il suo cuore trasmigrare nel corpo della persona più diversa e meno “degna”, ai suoi occhi, di riceverlo.
È la seconda parte del film, la più azzardata e interessante, proprio perché mette a nudo i meccanismi difensivi di quel padre. Anche se poi non segue fino in fondo la pista che ha aperto con quell’incontro così improbabile; e malgrado l’interpretazione da brivido di Anita Kravos lascia questi due personaggi un po’ a metà del guado.
È il limite più evidente di un film forse troppo “scritto”, come tanto cinema italiano di questi anni, che per calcolare troppo da vicino l’evoluzione di eventi e sentimenti, soffoca la sorpresa e la libertà dei personaggi che ha creato. Come se i conti dovessero tornare per forza, puliti, senza resti, mentre il fascino di una storia spesso sta proprio nel suo alone di mistero. Così il film è più forte in certi momenti isolati (Castellitto che picchietta sulla mano del figlio in coma, la zuffa con Anita Kravos) che nel disegno d’insieme. Come se da racconto dovesse farsi per forza parabola. Perdendo però in intensità e verità.
Autore critica:
Fonte criticaIl Messaggero
Data critica:

19 ottobre 2009

Critica 2:Un capocantiere navale, Mero, vive attraverso il giovane figlio Lorenzo il sogno del suo riscatto. Lo allena nei ritagli di tempo dal lavoro perché diventi quel pugile di prima categoria che lui non è diventato mai. Periferia romana, cantieri navali di Fiumara, romani bonari e immigrati lavoratori, l'inizio di Alza la testa di Alessandro Angelini (di fatto, suo secondo lungometraggio dopo la buona sorpresa dell'esordio L'aria salata ) ha i requisiti di una struttura classica ben trattata. Tutto maschile, tutto sudore e cameratismo, la prima parte del film promette un lavoro ben fatto, in cui finalmente si vede una sana società "dal basso" dove le differenze geografiche fanno parte del grande scherzo della vita e poco più. Poi, il primo colpo di scena, imprevisto e mal giocato come nelle sceneggiature di serie b americane. Al quale ne seguono una serie di altri che creano fastidio e sconcerto crescente, come se al momento della scrittura Angelini e i suoi collaboratori (Angelo Carbone e Francesca Marciano) avessero deciso di sorprendere il povero spettatore con effetti speciali non richiesti. L'enormità delle scelte fa catapultare anche gli attori in situazioni paradossali. Uscito di trama il giovane e bravissimo Gabriele Campanelli (Lorenzo), la scena rimane tutta per lui, un Sergio Castellitto istrione in crescendo che si impossessa del racconto e dello schermo per farne parossistica palestra emotiva. La Festa del Cinema di Roma lo ha premiato come miglior attore della rassegna, tradendo una propensione per l'arte più guitta del cinema italiano. Si sa che le seconde opere degli artisti sono sempre le più complicate, soprattutto quando le prime hanno ricevuto unanimi consensi. Speriamo che i dubbi espressi da buona parte della critica per questo secondo titolo riporti Angelini a più miti consigli. L'arte di un cinema intimo come quello di Angelini non è fatta di colpi di scena, ma di percorsi sinuosi in cui incontrare il silenzio e non certo la risata bruscamente risolutoria di Castellitto.
Autore critica:
Fonte critica:Liberazione
Data critica:

6 Novembre 2009

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
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