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Hannah e le sue sorelle - Hannah and her Sisters

Regia:Woody Allen
Vietato:No
Video:Columbia Tristar Home Video, L'unita' Video (Winners)
DVD:
Genere:Commedia
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Woody Allen
Sceneggiatura:Woody Allen
Fotografia:Carlo di Palma
Musiche:Autori Vari
Montaggio:Susan E. Morse
Scenografia:Stuart Wurtzel
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Woody Allen Mickey, Michael Caine Elliott, Mia Farrow Hannah, Carrie Fisher April, Barbara Hershey Lee, Lloyd Nolan Evan, Maureen O'sullivan Norma, Daniel Stern Dusty, Max Von Sydow Frederick, Dianne Wiest Holly
Produzione:Jack Rollins Charles H Joffe
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1986
Durata:

103'

Trama:

Le tre sorelle Hannah, Holly e Lee vivono a New York. La prima è la simpatica moglie di Elliott, un consulente fiscale e, qualche anno prima, è stata la moglie di Mickey, un ipocondriaco ed irrequieto creatore di script televisivi, che l'ha lasciata perchè il medico gli aveva diagnosticato l'incapacità di generare. Hannah (che ora di bambini ne ha quattro) è però rimasta in eccellenti rapporti con il suo ex e sarebbe lieta che egli si sposasse con la sorella Holly, insoddisfatta come donna e come cantante e velleitaria scrittrice. La terza sorella è la giovane Lee, che convive con Frederick, un pittore più anziano di lei e piuttosto scontroso. Accade che di Lee si innamora il cognato Elliot e, poichè la ragazza finisce con il cedere, ne nasce una storia appassionata, quanto imbarazzante, anche se gli altri sembrano ignorarla (solo qualche lieve sospetto di Holly). Intanto Mickey tenta una difficile intesa con Holly, ma il suo pensiero ed ogni sua iniziativa in ogni campo sono come paralizzati: ora si è messo in testa di avere un tumore al cervello e passa da un radiologo all'altro e da una crisi esistenziale all'altra, non ultima quella religiosa (Mickey appartiene ad una famiglia ebrea ed il cattolicesimo sembra per qualche tempo affascinarlo). Ma poi Mickey si riprende mentre Elliott non trova il coraggio di parlare con la moglie, né tanto meno di lasciarla ed allora Lee lo lascia e si innamora di un compagno di Università. Mentre Holly riesce finalmente a scrivere un buon soggetto, sperando di piazzarlo anche per gli incoraggiamenti di Mickey, questi si scopre innamorato della sua ex-cognata. Così, per la Festa del ringraziamento che tradizionalmente riunisce ogni anno figli ed invitati attorno ai genitori Evan e Norma (due vecchi artisti dello spettacolo) - tutti sembrano in conclusione, felici: Elliott con la sua Hannah, ritrovata dopo la sbandata, Lee con l'universitario, nonchè Holly e Mickey da poco sposati. E Mickey è felice perchè Holly gli dichiara di essere in stato interessante, a dispetto delle negative diagnosi che, in un tempo ormai lontano, angosciavano il consorte.

Critica 1:Quello che colpisce nei film di Woody Allen è l'intelligenza, lo scoppiettio inesauribile dell'humor, l'assoluta carenza della banalità. Il film annovera interpreti prestigiosi, smaliziati e tutti bravi per misura, scioltezza ed eleganza. La colonna sonora è un collage spiritoso, ma ben cucito, che spazia da Bach a Puccini ed a jazz vecchia maniera.
Autore critica:
Fonte criticaSegnalazioni Cinematografiche
Data critica:



Critica 2:(…)Hannah e le sue sorelle accorcia le distanze tra il cinema e la vita. I personaggi alleniani escono dagli universi separati delle ultime esperienze (la campagna fatata di Commedia sexy, la Brooklyn da film noir e la Broadway dei teatranti di Broadway Danny Rose, la sala cinematografica di La rosa purpurea del Cairo), e, sfumando i contorni tra attore e personaggio, assomigliando, cioè, sempre più a se stessi, ripropongono la loro antica storia, ma in forma di cinema, o addirittura (molto più marcatamente che in Manhattan e Annie Hall) di “cinema di genere”. E già stato sottolineato che gli ultimi film di Allen si differenziano dalla produzione precedente, anche da quella più comica, tra l'altro per il lieto fine. A eccezione di La rosa purpurea del Cairo (che tuttavia, alla sua maniera, ha un lieto fine, confermato dal seguito “naturale” offerto dal Mickey di Hannah), tutti gli altri, più o meno quietamente (Zelig), amaramente (Broadway Danny Rose) o ironicamente (Commedia sexy), ricompongono la o le coppie in un supposto, anche se non certo, “vissero felici e contenti”. Un'operazione che Allen non aveva mai osato sottoscrivere nelle storie di ambientazione contemporanea, legato alla propria lucida consapevolezza della relatività dei rapporti sentimentali. Ora, staccandosi appunto da quella sorta di “realismo” autobiografico che faceva coincidere ogni film a una precisa tappa esistenziale, capace finalmente di astrarre dall'esperienza la narrazione, può anche rispettare la convenzione cinematografica che assegna alla commedia il lieto fine, pur strizzando l'occhio, come solo i grandi commedianti sanno fare, all'imprevedibile “fuori campo” che modificherà la compattezza della storia. Anche se, oltre l'accattivante finale, le variazioni della vita riprenderanno il sopravvento, lasciamo al film la sua intatta capacità di realizzare la perfezione. La maturazione “teorica” di Allen (visto che alla compiuta maturità formale è arrivato da circa un decennio), quella che fa sì che Hannah non sia uguale a tutti gli altri suoi film, né migliore, ma semplicemente diverso, consiste proprio nell'acquisita capacità di materializzare compiutamente la sfera del desiderio. Non ci sono più puntini di sospensione o finali aperti; Hannah e le sue sorelle è diventato “La rosa purpurea del Cairo”, senza rinunciare alla contemporaneità.
Sotto le pieghe della “storia”, dei tratti stilistici abituali e consolidati (fluidi carrelli che accompagnano lateralmente lo spostamento dei personaggi, lunghi primi piani del volti, campi e controcampi di classica scuola), di volti e battute sempre uguali, si percepisce un'accuratezza speciale nella strutturazione degli elementi compositivi. I personaggi, come già accennato, si spezzano in sfaccettature caleidoscopiche: Elliot (Michael Caine) è una delle tante possibili variazioni del personaggio di Woody Allen, adultero imbranato e incerto che regala volumi di poesia e, negli incontri pomeridiani clandestini, balla nella camera d'albergo con la sua ragazza. Le frasi esitanti, gli incontri casuali accuratamente programmati, la disastrosa finta disinvoltura, che, attribuiti a Allen, avrebbero semplicemente riconfermato la timida nevrosi del suo personaggio, acquistano un valore e una profondità nuovi nella figura imponente e “lucidata” di Michael Caine, innamorato timido con gli abiti di taglio inglese, il cappotto di montone e l'orologio d'oro al polso. Non è il deuteragonista/amico che Allen mette quasi sempre in scena, con le sembianze di Tony Roberts o Michael Murphy, similissimi giovanotti americani di successo (e qui, infatti, Tony Roberts si intravvede nel ruolo che era stato suo in Provaci ancora, Sam, Annie Hall e Commedia sexy e di Michael Murphy in Manhattan); è la goffaggine tenera di Allen chiusa in un corpo e, soprattutto, in una fisionomia cinematografica insolita, nell'infingardo spleen di Alfie e Tony Palmer, nella maschera infida di un attore che ha fatto della propria ambigua e scostante corposità un'arte. Il personaggio di Caine, sul piano dell'innovazione e della misura (dell'autore e dell’attore), riscatterebbe da solo un intero film. Il suo casting è una sfida perfettamente riuscita alle convenzioni fisionomiche cinematografiche e, contemporaneamente, un rifiuto di Allen di abbandonarsi a modelli ormai confermati. Gli altri sono personaggi già noti, sui quali il regista lavora soprattutto contenendone, attraverso lo spezzettamento, la centralità. Le tre donne, nei film di Allen, si rincorrono, da Interiors, a Manhattan, a Commedia sexy. Qui, sembrano unirsi in un omaggio ammirato a un ideale femminile: la maturità paurosa di Mia Farrow, la bellezza eternamente adolescenziale di Barbara Hershey, la stravaganza geniale di Dianne Wiest. Dalla dispersione di un carattere esemplare e onnicomprensivo, vengono fuori caratteri nuovi, perfettamente compiuti, cui corrispondono precise tipologie fisiche e comportamentali. Si tratta, ancora, di piccoli scarti, particolari dell’abbigliamento, della gestualità, modulazioni della voce (perdute purtroppo nell'edizione italiana, dove le tre sorelle hanno tutte un leggero tono di bamboleggiamento isterico), la cui levità dimostra il lavoro di limatura compiuto in questi anni da Allen, che in Interiors scandiva molto marcatamente le differenze tra sorelle. È il passaggio dal tipo al personaggio, più elaborato interiormente e più sottile. L'unico “tipo” di Hannah e le sue sorelle rimane in fondo proprio il Mickey di Woody Allen, preda delle sue solite ossessioni e della propria agitazione gestuale. Ma anche lui è riscattato da una sorta di finale a sorpresa, da una scena di tenerezza pacificata non oppressa dall’ombra di Bogart, nella quale, in termini assolutamente insoliti, è proprio lui a chiudere definitivamente il cerchio della vicenda. “Il cuore è un muscoletto davvero elastico”, ma, per quanto riguarda questo film, ha riequilibrato le proprie pulsioni.
Nel passaggio dal caos all'equilibrio definitivo, risultano determinanti due elementi, che appaiono studiati con particolare intenzione da Allen: lo spazio, inteso come “spazio scenico”, e il tempo. Il primo è sempre stato un punto di forza del cinema di Allen: la scena come immagine del personaggio, lo spazio (anche quello reale) come scenografia, il senso dei limiti territoriali (Manhattan, Brooklyn, Long Island, un appartamento, una sala cinematografica) come confini fisici della vicenda, le quinte che, anche in esterni, chiudono costantemente l'inquadratura. Qui, Manhattan funziona, in tutta la sua suggestione, come palcoscenico accuratamente predisposto. L'innovazione è se mai fornita dalla fotografia di Carlo Di Palma, voluminosa e “realistica” rispetto a quella astratta e nettissima di Gordon Willis. Dove i volumi di Willis erano talmente magniloquenti da trasformarsi in puri contorni, idee di oggetti, lucidissime superfici del reale, i contorni di Di Palma sfumano fino ad offrire il senso della corposità sottostante alle immagini, secondo quella che è la percezione cinematografica della realtà, in perfetta coincidenza con lo spirito narrativo di questo film. Il tempo, invece, non è più il flusso continuo e impreciso (fosse chiuso in un giorno o espanso negli anni) lungo il quale si dipanavano le vicende degli altri film. È chiuso con accentuata determinazione in un arco di due anni, tra tre feste del Ringraziamento, che sottolineano le modificazioni attraverso l’identità della situazione e la compresenza di tutti i personaggi. Non è un pezzo di vita (come erano quelli descritti in Annie Hall e Manhattan), ma una vera vita da cinema, che ci consente nell'ultima scena di accommiatarci definitivamente dai personaggi.
Quello che Allen è riuscito a realizzare in Hannah e le sue sorelle è la conciliazione tra il proprio abituale senso dell'imprecisione del tempo e la temporalità rigida del racconto cinematografico, nel quale tutto deve avere un senso narrativo e, soprattutto, un principio e una fine. In questa ottica (e tralasciando la “coda” fornita da Mickey e Holly), il film finisce con precisione matematica esattamente dove era iniziato: con Elliot che, appoggiato allo stipite, osserva con aria sognante la bellezza di Lee. Più che Hannah che con le sue sorelle dà il titolo al film, il filo conduttore è probabilmente proprio l'incasinato Elliot, che rende omaggio, insieme a Mickey e agli altri protagonisti maschili, all'universo imprevedibile e misterioso delle sorelle. Il suo sguardo incantato è quello del regista, che può solo rappresentare ma non risolvere il mistero, tentando quindi di rendere con le immagini l'inafferrabilità incantata di quel verso, tutto da “vedere”: “Nessuno, neanche la pioggia, ha le mani così piccole”. È esattamente la sensazione che si prova per tutto il film davanti a Hannah, Lee, Holly e la loro mamma.
Autore critica:Emanuela Martini
Fonte critica:Cineforum n. 256
Data critica:

8/1986

Critica 3:
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Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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