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Angelo alla mia tavola (Un) - Angel at My Table (An)

Regia:Jane Campion
Vietato:No
Video:Empire Video, General Video, San Paolo Audiovisivi
DVD:General Video Recording
Genere:Drammatico
Tipologia:La condizione femminile, Le diversità, Letterature altre - 900
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal libro autobiografico di Janet Frame
Sceneggiatura:Laura Jones
Fotografia:Stuart Dryburgh
Musiche:Don Meglashan
Montaggio:Veronika Haussler
Scenografia:Grant Major
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Glynis Angell, Melina Bernecker, Edith Campion, Iris Churn, Karen Fergusson, Kerry Fox, Alexia Keogh
Produzione:Bridget Kin e John Maynard per Hibiscus Film
Distribuzione:Mikado
Origine:Nuova Zelanda
Anno:1990
Durata:

159'

Trama:

Janet Frame, appartenente ad una numerosa e povera famiglia di contadini della Nuova Zelanda, è una bambina grassa, sgraziata e timida che non riesce a socializzare. Janet sa raccontare belle storie e scrivere poesie: è questo il suo solo piacere, mentre la famiglia soffre per le crisi di epilessia del figlio Bruddie, e lei con le sue tre sorelle dormono strette in un solo letto. Timida, solitaria ed insicura, Janet s'informa curiosa sui misteri della vita: amore e sesso. Mentre alcune sue poesie vengono pubblicate, la giovane studia moltissimo, per raggiungere i corsi superiori. Dopo la tragica morte della sorella Myrtle, Janet e la sorella Isabel vanno a vivere in casa di una zia; qui soffrono la fame, e successivamente vengono scacciate per aver rubato dei cioccolatini. Per ricevere il titolo di maestra Janet deve subire un'ispezione, ma, messa davanti alla lavagna, si paralizza e fugge piangendo. Va allora a lavorare come sguattera, ma continua a studiare psicologia all'università, dove il suo professore, John Forrest, loda con entusiasmo i suoi scritti. Dopo un maldestro tentativo di suicidio, Janet viene ricoverata per "riposare" in ospedale, e finisce poi rinchiusa in manicomio, dove, dichiarata schizofrenica, resta otto anni durante i quali viene sottoposta a moltissimi elettroshock. La pubblicazione di un suo libro le procura un premio letterario e la salva dalla lobotomia, cui stava per essere sottoposta. La scrittrice esce così dal manicomio, andando a vivere con la sorella June, sposata e madre di alcuni bambini.

Critica 1:Basata sull'autobiografia (1983-85) in tre parti (Nella tua terra, Un angelo alla mia tavola, L'inviato di Mirror City), nell'adattamento di Laura Jones, è un'opera che, dopo Sweetie (1988) e prima dell'acclamato Lezioni di piano (1993), fa di J. Campion uno dei cineasti emergenti degli anni '90. Film sulla letteratura, ma non letterario, notevole per la forte fisicità della scrittura, l'acume psicologico senza concessioni allo psicologismo, l'arte del suggerire soltanto i passaggi esplicativi, la capacità di mostrare i grandi spazi, il rifiuto del binomio romantico di genio e follia. Leone d'argento a Venezia 1990 dove, secondo molti, avrebbe meritato l'oro.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:A partire dall'infanzia Janet Frame appare come segnata da una sottile quanto decisiva inconciliabilità con le persone con cui convive; grassoccia e goffa, con la sua matassa di capelli rossi e ribelli, si distingue irrimediabilmente dalle sorelle, con le quali peraltro vive un rapporto di amicizia e di intimità profonde; nei confronti del gruppo scolatico la sua marginalità è sottolineata dalla trasandatezza e dalla scarsa pulizia, che le compagne non mancano di rilevare, ma anche da uno spirito d'iniziativa improntato alla generosità, al piacere di donare, il cui carattere eccessivo invece di creare intorno a lei solidarietà da parte dei compagni la lascia esposta senza scampo alla punizione (cfr. l'episodio dei chewing gum comprati con i soldi sottratti alle tasche paterne). La maldestra attitudine ad una immediatezza inconsapevole dei pericoli connessi all'inosservanza delle convenzioni e dei divieti la porta del resto anche in famiglia a provocare situazioni di frattura che, naturalmente, non è in grado dì controllare, e che, con la violenza della conseguente punizione, non fanno che sancire la sua segreta inaffidabilità: l'episodio dell'involontaria spiata sui commerci sessuali della sorella maggiore è esemplare, e introduce contemporaneamente l'elemento erotico, destinato per lunghi anni a scatenare nella giovane Janet più ansia e frustrazione che disponibilità al piacere. Quest'ultimo viene invece subito trovato nella lettura e nella scrittura; il quadro è chiaro per Janet, ma non per chi le vive accanto, che travisando le sue capacità vede in lei solo la futura maestra e non la possibile scrittrice. Janet stessa, del resto, finisce per sentire la propria vocazione come qualcosa di abnorme, non commisurato all'ambiente da cui esce e alle aspettative che le vengono imposte. Il passaggio attraverso le scuole superiori, anziché condurla a una maturazione della sua vera identità, la incastra in una condizione di incompletezza cronica e apparentemente senza sbocchi; la conseguente incapacità di fronteggiare normali situazioni di controllo da parte dell'autorità e la resa incondizionata al panico e al desiderio di fuga finiranno per marcarla come individuo prima di tutto bisognoso di ricovero e di cure psichiatriche. Il momento in cui Janet, costretta a confrontarsi con la presenza dell'ispettore nella classe dove insegna, sente le forze mancarle fino a una paralisi della volontà e della ragione e non può fare altro che sottrarsi, sconvolta in egual misura dal proprio gesto e dalla situazione che ne è all'origine, raccoglie le tenebre sulla sua esistenza. Il precipitare ulteriore attraverso l'inferno della medicalizzazione forzata, degli elettroshock e della miseria spirituale istituzionalizzata non ne è che la conseguenza bruta, inevitabile in un'organizzazione sociale che alla categoria dell'utile deve sacrificare qualsiasi tentazione a una vera comprensione della complessità delle persone che ne fanno parte. Nel costruire l'itinerario esistenziale di questo personaggio, la Campion ha scelto di trasmetterne l'eccezionalità per mezzo di un procedere narrativo più aggiuntivo che consequenziale; i “quadri” corrispondenti ai singoli avvenimenti si succedono, individuati prima di tutto in base all'importanza delle esperienze o degli elementi che ne emergono, e si dispongono più per attrazione che per concatenamento logico-temporale; il senso che ne deriva ruota naturalmente più intorno all'intenzione di raffigurare l'idea di “individuo portatore di poesia”, che non al progetto biografico tout-court. Che si possa annunciare a Janet, ricoverata da tempo nella clinica psichiatrica, la pubblicazione del suo primo libro, senza che nulla venga fatto sapere allo spettatore sul come questo avvenimento così decisivo si sia potuto realizzare, è da vedere allora non come un'approssimazione di sceneggiatura, ma piuttosto come la convinzione della stessa Campion circa l'impossibilità di impedire l'autoaffermazione del fare artistico anche nelle circostanze più proibitive e disperate: siamo di fronte a un evento esemplare, non ad un accadimento concreto da raccontare nel suo svolgimento.
La pubblicazione di quel libro, e il premio che gli viene conferito, segnano la demarcazione tra la morte virtuale (minacciata nell'eventualità della lobotomia) e la nuova vita che attende Janet. Vale la pena di sottolineare qui come siano alcune figure maschili a determinare con il loro intervento le aperture decisive che punteggiano provvidenzialmente l'esistenza di Janet, impedendo ogni volta la perdizione definitiva; a partire dal maestro che coglie nella bambina le capacità espressive, per passare attraverso la figura dell'anziano dottore che risparmia alla giovane paziente la lobotomia e le annuncia la libertà; e, ancora, Frank, lo scrittore che la ospita e la esorta a intraprendere il viaggio in Europa; per concludere con lo psichiatra londinese che dissolverà definitivamente i dubbi circa la sua malattia mentale e le darà finalmente quella fiducia in se stessa e nelle proprie scelte che, nonostante tutto, non era ancora riuscita a conquistare. Si tratta, come si vede, di figure che uniscono in sé per un verso o per l'altro la funzione paterna a quella sapienziale e di guaritore; ricomposte in insieme costituiscono il risarcimento dell'inadeguatezza del vero padre (incolpevole, del resto, a modo suo affettuoso e orgoglioso della figlia, e perciò da lei comunque amato). E quando alla figura maschile si unisce l'attrazione fisica che si pongono le premesse, piacevoli, per la caduta, è il professore di cui si sente segretamente innamorata, e a cui concede la sua fiducia, che finisce per farla internare, così come è il giovane americano con velleità d'artista che, dopo averla iniziata ai piaceri della sessualità finalmente realizzata, se ne va lasciandola incinta, nuovamente alle prese con una solitudine e una nevrosi irrisolte. Se all'ambiguità, per definizione inquietante, di cui è portatore il polo maschile così tratteggiato aggiungiamo l'incomprensione che, complessivamente, le proviene dalle persone del suo stesso sesso, incapaci (a parte l'unica sorella sopravvissuta) di comprendere l'importanza che la scrittura riveste per lei, sentiamo come all'inconciliabilità di Janet rispetto alla realtà ne corrisponda, da parte di quest'ultima, una reciproca e permanente nei suoi confronti. L'esperienza artistica come prodotto non solo di una necessaria contiguità fra l'artista e il mondo, ma anche di una irriducibile aspirazione del primo alla più integrale armonia con il secondo, non può dar luogo, infine, ai propri risultati se non in una solitudine consapevolmente acquisita e serenamente accettata. Qui il senso del ritorno in Nuova Zelanda, alle soglie di una possibile carriera editoriale inglese, e di quel movimento avvolgente della m.d.p. intorno alla roulotte in cui Janet scrive, mentre il mondo accanto a lei si accinge al sonno notturno.
In questa serenità nutrita dalla cognizione del dolore necessario si specchia la scelta stilistica operata dalla Campion; scelta forse più conforme in questa occasione che non in passato alle “buone regole” della messa in scena tradizionale, tuttavia attraversata di quando in quando da qualche lampo livido: l'impressione generale è quella dell'instabilità, appena sottolineata, di un equilibrio compositivo gelato un attimo prima della sua dissoluzione. Inoltre, nel contesto di un'apparente “buona educazione” registica, la produzione del disagio viene affidata soprattutto ad elementi concreti dell'immagine: i corpi che si muovono nell'ospedale psichiatrico, i denti guasti di Janet, le contrazioni dell'aborto, l'esposizione cimiteriale delle scatole di cioccolatini in casa della zia, i pannolini sporchi di sangue, l'evidenza della miseria nella casa paterna, la fame sfogata scompostamente sugli avanzi altrui ... : inquieto, anche in quei momenti che sembrano rivelare un calo di tensione compositiva, Un angelo alla mia tavola non è per nulla quel “ritorno alla ragione”, che qualche critico di casa nostra ha voluto frettolosamente sentenziare, più a conferma della propria ostilità al precedente Sweetie che non a conclusione di una consequenziale analisi di questo.
Autore critica:Adriano Piccardi
Fonte critica:Cineforum n. 302
Data critica:

3/1991

Critica 3:Il film racconta il disagio psichico di Janet Frame, la storia della sua sofferenza personale, della formazione dell’insicurezza e del dolore che la portano a passare otto terribili anni in istituto psichiatrico, e insieme la scoperta del fascino del racconto, la passione per la poesia e la letteratura, “uniche avventure” a cui si abbandona, rimedio alla profonda solitudine, fino a trovare una via per la realizzazione di sé nella scrittura e nel riconoscimento del suo talento da parte di critici e di pubblico.
Fin da bambina Janet non è come le altre. Ha i capelli rossi e ricci, è goffa e grassa: il suo corpo ha caratteristiche che subito la pongono come diversa. Ha un fratello epilettico, deriso dai compagni, e tre sorelle. In famiglia non le mancano l’affetto e i giochi, a scuola esperienze gratificanti, come il recitare la sua poesia in braccio al maestro ed essere applaudita e premiata, compensano tante altre esperienze umilianti, come quella di essere sgridata alla visita medica per le orecchie sudicie, o di essere isolata con la faccia alla lavagna e poi insultata come “ladra” da compagne e compagni a cui aveva regalato caramelle acquistate con i soldi sottratti dalla tasca del padre. L’amicizia con una coetanea le fa scoprire la ricchezza contenuta nei libri. La fiaba delle dodici principesse ballerine sarà da lei ripetutamente letta alle sorelle e rappresentata con loro nel bosco.

Adolescente, frequenta la scuola con successo, sempre più affascinata dalla poesia e dalla letteratura; ma è malinconica, insicura, turbata dallo sviluppo del corpo e dalla scoperta della sessualità; progressivamente aumentano in lei il timore degli altri e la fuga nella solitudine. Non socializza nemmeno all’università, dove ha il primo timido e segreto innamoramento per l’insegnante di psicologia; la scelta dell’insegnamento le si rivela presto sbagliata e fa precipitare il suo disagio, fino a farle accettare il ricovero in ospedale psichiatrico.
L’esperienza della separazione e della morte accompagna la crescita di Janet: la sua gemella muore dopo poche settimane di vita; da bambina le viene imposta la separazione dall’amica che le ha fatto scoprire, insieme al fascino del racconto, la sessualità degli adulti; da adolescente perde la sorella maggiore Myrtle che incarna la spensieratezza e la gioia seducente del corpo; dopo il primo periodo di internamento in ospedale perde anche Isabel, la sorella con cui aveva abitato durante l’università e condiviso trasgressioni come quella di vuotare tutte le scatole di cioccolatini, trofei della zia che le ospitava. Janet stessa si avvicina alla morte tentando il suicidio dopo aver lasciato l’insegnamento, e una seconda volta il pensiero della morte le si ripresenta ma, un po’ più forte dopo i viaggi in Europa, lo affronta entrando come paziente volontaria nell’ospedale di Londra dove scopre il tragico errore della diagnosi che l’ha portata vicino alla lobotomia. La sua diversità, la sua incapacità di integrarsi, la sua sensibilità che fin dall’infanzia l’ha resa più fragile, sono state con estrema superficialità interpretate per schizofrenia e curate negli anni Quaranta con ripetute serie di elettroshock, duecento in otto anni: “ognuno equivaleva alla paura di un’esecuzione”.
Nella terza parte il film racconta i viaggi di Janet, ormai donna, attraverso l’Europa, il suo successo pieno sul piano letterario e la sua maggiore capacità di relazione: a Ibiza vive la sua prima esperienza amorosa che finisce nell’abbandono e in un aborto spontaneo, a Londra verifica la possibilità di affrontare le angosce che riaffiorano, cerca una risposta alle domande sulla sua storia e la trova nell’erronea diagnosi di malata mentale. Subito la verità le sembra più terrificante della bugia: “come potevo chiedere aiuto se non ero malata?” Ma Janet ha ormai intrapreso il suo percorso verso la fiducia e l’accettazione di sé, nel disperato tentativo di dare un senso alla sua vita.
Autore critica:Carla Colombelli
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Angelo alla mia tavola (Un)
Autore libro:Frame Janet

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