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Fiamma del peccato (La) - Double Indemnity

Regia:Billy Wilder
Vietato:No
Video: Pantmedia
DVD:
Genere:Poliziesco
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:James M. Cain
Sceneggiatura:Raymond Chandler, Billy Wilder
Fotografia:John Seitz
Musiche:Miklos Rozsa
Montaggio:Doane Harrison
Scenografia:Hans Dreier, Hal Pereira
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Fred Macmurray Walter Neff, Barbara Stanwyck Phillis Dietrichson, Edward G. Robinson Barton Keyes, Porter Hall Mr. Jackson, Jean Heather Lola Dietrichson, Byron Barr Nino Zachette, Tom Powers Mr. Dietrichson
Produzione:J. Sistrom - Paramount
Distribuzione:non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1944
Durata:

106'

Trama:

Da una confessione registrata di un uomo ferito, parte la ricostruzione di una serie di crimini che coinvolgono un professionista di gradevole aspetto ma con pochi scrupoli e una donna, Phillys Dietrichson, tanto attraente quanto pericolosa. Tutto inizia con un incontro fatale tra i due a seguito della scadenza di una certa polizza assicurativa appartenente al marito della bella Phillys.

Critica 1:Dal romanzo (1936-44) di James M. Cain, sceneggiato da Raymond Chandler: un assicuratore diviene l'amante di una donna e suo complice nell'assassinio del marito per riscuoterne l'assicurazione sulla vita. Un ispettore suo collega lo smaschera dopo che ha ucciso, per difendersi, la donna. Uno degli archetipi del cinema nero degli anni '40 con una memorabile B. Stanwyck come dark lady in biondo (col braccialetto alla caviglia): un intreccio inestricabile dal forte chiaroscuro della fotografia di John Seitz, l'ossessiva colonna musicale di M. Rosza che sottolinea la fatalità della vicenda, un eccellente terzetto d'interpreti. Ebbe 6 nomination agli Oscar senza vincerne uno.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:“Ho ucciso Dietrichson - io, Walter Neff-assicuratore - trentacinque anni, scapolo, nessun segno particolare - fino a un po' di tempo fa, cioè... L'ho ucciso per i soldi - e per una donna - non ho avuto i soldi, e non ho avuto la donna... Tutto è cominciato nel maggio scorso...”.
L'ombra che irrompeva attraverso le porte chiuse del grattacielo notturno, strisciava lungo le vetrate, saliva con l'ascensore, oscillava per i corridoi e i ballatoi, nella lunga soggettiva in movimento che apriva il film, ha finalmente un volto, e un nome. Accasciato sulla poltrona, Walter Neff, di professione assicuratore, comincia a registrare al magnetofono le prime parole della sua confessione, aprendo con ciò lo spazio del flash-back. Non è ancora il morto che parla di Sunset Boulevard, voce talmente off da venire addirittura d'oltre-tomba, ma è comunque la voce d'un uomo ferito a morte, che parla a un registratore nel vuoto angoscioso d'una solitudine perfetta. La sua voce, dunque, potrà essere riascoltata, e sarà allora veramente quella, inascoltabile e a un tempo indifesa, d'un morto; già da ora, è segnata dall'orrore di questa alterità radicale, dalla premonizione della ripetizione coatta che l'apparato elettrico (o elettronico) sempre simboleggia in Wilder (cfr. la televisione in The Fortune Cookie).
Il flash-back introduce alla struttura perfetta della messa in scena, al gioco dei piani con cui si costruisce, e al gioco delle pulsioni che vi si mascherano. “Nel maggio scorso” tutto è cominciato, per caso: “per caso”, per questioni assicurative, Walter Neff si reca a casa del vecchio Dietrichson, e ne conosce la moglie, così come “per caso” il Joe Gillis di Sunset Boulevard capiterà con la sua macchina nel garage di Norma Desmond. La macchinazione e la fascinazione della messa in scena partono da questo “per caso”, che fa incontrare Neff (un Mac Murray forse leggermente troppo “maturo” per simile ruolo) con questa donna dalle immediate connotazioni di Madre/Vampiro, Madre fallica: “ In Double Indemnity la Stanwyck esibisce i suoi occhi socchiusi, perennemente sonnolenti su un naso potentemente indexicale, un naso che rinvia subito a delle carnose labbra-sesso, e se la bocca si apre, parla, la sua ambigua attività rende ragione delle palpebre socchiuse. È la donna-mantide, ma ancor prima, è la madre-mantide, di cui il giovane assicuratore è il figlio-vittima, vile e fragile, dal midollo risucchiato” (R. Tomasino).
Lo spazio dell’inquadratura mette in scena con immediatezza la drammatica del rapporto che si instaura tra i due Dietrichson e Neff, attraverso la profondità di campo della fotografia di John Seitz: la Stanwyck e Mac Murray, in primo piano, indugiano presso la porta, come se esitassero ad affrontare il momento d'una sia pur provvisoria separazione. Un rapporto di complicità corre già tra di loro. Sullo sfondo, ma altrettanto perfettamente a fuoco (…), il marito sale faticosamente la scala interna che porta al piano superiore, connotandosi per vecchiaia, antipatia, salute malferma, ed estraneità al rapporto nuovo che s'è stabilito tra i due agenti in primo piano.
A questo punto, per inciso, si può cercare di offrire una spiegazione (che non pretende di essere la sola) del fatto, riportato da Axel Madsen nel suo libro, che Chandler, co-sceneggiatore al posto del solito Brackett, “odiasse” questo film, e la sua collaborazione con Wilder. Ricordiamo che Chandler è l'inventore di Philip Marlowe, il “private eye” che ha talmente introiettato le censure del Padre, del Super-Io, da farsene motivo di distinzione rispetto ad una permissività sociale che in fondo si scandalizzerebbe ben poco se andasse (cfr. Il grande sonno) a letto con le figlie del suo datore di lavoro. Marlowe, invece, nonostante le tentazioni, non tocca le ragazze, per rispetto d'un Vecchio Padre Colonnello ormai conservato in serra come le orchidee (vedi pure la splendida trasposizione filmica che ne farà Howard Hawks nel '46). A petto dì Marlowe, Walter Neff appare non solo debole, non solo succube della Donna, ma anche imperdonabile trasgressore della Legge del Padre: non meraviglia, perciò, che questo moralismo, o fondo di moralismo, chandIeriano, sia entrato in collisione con il lucido cinismo di Wilder, producendo dissensi nello script, se non sul set, ma anche, comunque, uno dei più inquietanti e problematici prodotti del genere “nero” hollywoodiano.
Le cose, difatti, sono più complicate di quel che sembri. Non è che, come qualcuno ha scritto, alla storia d'un assassinio faccia da semplice contrappunto la storia d'un'amicizia distrutta (quella fra Neff e Barton Keyes / E. G. Robinson). Dietrichson è una figura scialba, vista sempre come sullo sfondo: il suo ruolo di marito è troppo debole per potersi dare carico di quello di Padre edipico. È vero che Neff ne prende il posto, in tutti i sensi: lo uccide, e si sostituisce a lui travestendosi, tramite, ancora, il “caso”, che aveva fatto rompere una gamba a Dietrichson, con conseguente ingessatura. Proprio la vistosità, l'evidenza, del segnale “gamba ingessata” (evidenza anche nel sistema simbolico in quanto sostituto della castrazione, preannunciante nella fabula una ben più radicale e definitiva ferita), permette a Neff, sul treno, di passare per l'altro, e di montare quindi, con l'aiuto di Phyllis, la messa in scena dell'incidente. Travestimento e sostituzione si confermano, dunque, motori della dinamica wilderiana; ma c'è un altro rapporto che diventa importantissimo delucidare bene. Il vero Padre, rispetto al quale effettivamente si opera la trasgressione, e che avrà la sua implacabile rivincita finale, è in realtà Barton, l'amico e collega più anziano di Neff, segugio dal fiuto infallibile, terrore dei truffatori di assicurazioni. Fin dall'inizio, sentiamo che Neff ammira Barton, gli è amico, ma ne ha anche paura. Nel delinearsi del progetto criminoso, ciò che soprattutto Neff e Phyllis temono, e cercano di neutralizzare “pensando a tutto”, non sono tanto le indagini della polizia, quanto quelle che, nella sua qualità di investigatore della Compagnia che dovrà sborsare i soldi dell'assicurazione, Barton inevitabilmente farà. Come ad ogni Padre/Super-Io che si rispetti (in termini più tradizionali, si potrebbe dire: come ad ogni “coscienza” che si rispetti) è a Barton che nulla sfugge, nell'onniscienza dello sguardo implacabile che fruga nel profondo. È di fronte e questo sguardo; che Neff trema. Barton, difatti, raccoglie la fine della confessione di Neff, e assiste alla sua morte. Il film termina col trionfo dell'istanza censoria, con la punizione del figlio/trasgressore; come dichiara pateticamente Neff, prendendo otto dei suo fallimento: “... non ho avuto i soldi e non ho avuto la donna...”. Con ciò, quasi enuncia esplicitamente i termini dell'economia politica che governa il cinema wilderiano. Nel circuito del capitale, nella produzione della merce/scambio, “denaro” è segno di tutto, sinonimo universale, quindi anche sinonimo di “donna”. È sempre il desiderio che lavora: ma desiderio di che? Nella pulsione profonda dell'economia libidica, “denaro” e “donna” sono forse scindibili? Ridotti a feticci, è naturale che, come tutti i feticci, risultino indistinguibili dall'accecamento del desiderio.
Lo spessore, la polivalenza, l'ambiguità stessa dei rapporti, di questo primo film “nero” wilderiano, ne formano, dunque, l'ossatura stessa della drammatica filmica. La messa in scena si basa su una profondità, anche fotografica, che non sarà proprio usuale in Wilder, ma che ritroveremo non a caso in Lost Week-End e in Sunset Boulevard, film girati con l'operatore John Seitz. La maestria di Wilder, nel taglio delle scene, nel ritmo, nei dialoghi (scritti, ripetiamo, con ChandIer) è già assoluta, come pure la capacità di scegliere e dirigere gli attori: qui soprattutto un'indimenticabile Barbara Stanwyck. Intensamente, furiosamente, quasi nel presentimento che nonostante tutto il cinema stia per cambiare, Wilder vive la sua stagione di “classico”.
Autore critica:Alessandro Cappabianca
Fonte critica:Billy Wilder, Il Castoro Cinema
Data critica:

6/1976

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Fiamma del peccato (La)
Autore libro:Cain James Mallahan

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