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Paul, Mick e gli altri - Navigators (The)

Regia:Ken Loach
Vietato:No
Video:Bim
DVD:Bim
Genere:Drammatico
Tipologia:Il lavoro
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Rob Dawber
Sceneggiatura:Rob Dawber
Fotografia:Barry Ackroyd, Mike Eley
Musiche:George Fenton
Montaggio:Jonathan Morris
Scenografia:Martin Johnson
Costumi:Theresa Hughes
Effetti:
Interpreti:Joe Duttine (Paul), Steve Huison (Jim), Tom Craig (Mick), Dean Andrews (John), Venn Tracey (Gerry),
Sean Glenn (Harpic), Andy Swallow (Len)
Produzione:Parallax Pictures - Road Movies - Tornasol/Alta Films Coproduzione Channel 4 Tv - Diaphana - Bim - Cineart
Distribuzione:Bim
Origine:Gran Bretagna
Anno:2001
Durata:

92'

Trama:

Inghilterra, 1995: in uno scalo ferroviario nel sud dello Yorkshire. Un giorno Harpic, il capo scalo, comunica a Paul, a Mick e al resto del gruppo che è stato deciso un cambiamento di proprietà: l'attività che loro svolgono esce dalle ferrovie dello Stato e passa sotto un'azienda privata con la formulazione di una nuova 'missione' operativa. Lo sbandamento é forte: si prospetta una situazione con paga a prestazione, ferie non retribuite e cure sanitarie non garantite. L'alternativa è dare le dimissioni, incassare subito l'indennità speciale prevista e diventare lavoratori occasionali al servizio di agenzie private. Dopo molte discussioni, Paul e John firmano per le dimissioni. Gli altri tre restano, ma vengono licenziati quando il reparto chiude. Restando tra loro in contatto, gli operai riescono ad essere ingaggiati per altri lavori: ma sempre si pone il problema dell'orario, del tipo di intervento richiesto, delle condizioni di sicurezza. Così, mentre sono intenti ad una operazione notturna tra la strada e la ferrovia, Jim si infortuna gravemente. L'infortunio però non può essere denunciato, e allora gli amici decidono di dire che é stato investito da una macchina. Qualche tempo dopo Jim muore. I compagni ne danno notizia a Gerry, che si era sistemato presso un'altra compagnia e poi in silenzio si allontanano. Critica Dalle note di regia: "Il passaggio da un posto fisso a una situazione di prestazione occasionale mette i lavoratori in condizione di competere l'uno con l'altro e in questo modo si distrugge la solidarietà. Ormai, in Europa, sta succedendo in tutti i settori. E' questo che mi interessa in modo particolare."

Critica 1:I disagi e i quotidiani affanni di un gruppo di ferrovieri inglesi, travolti dalla privatizzazione (siamo verso la metà dei Novanta) e dalla flessibilità. È bravo, il rosso Ken Loach, quando non si perde in terre lontane e gioca in casa. Le passioni e le lotte dell'Inghilterra lui le conosce a fondo e, se è in forma, sa narrarle senza retorica, con arrabbiata ironia. Ma anche l'indomato Ken sa che le cose cambiano (in peggio) e che il mondo non si ferma. Dietro l'apparente fedeltà alla formula Riff-Raff, il suo nuovo film, Paul, Mick e gli altri ha un tono più dolente e perplesso. La classe operaia non spera più non solo nel paradiso, ma neppure nel posto sicuro. Più soli, si può diventare più indifesi ed egoisti. Come nel finale di una partita a scacchi, qualsiasi mossa tu faccia, hai perso la partita.
Autore critica:Claudio Carabba
Fonte criticaSette
Data critica:

13/9/2001

Critica 2:Sheffield, 1995. Un gruppo di operai delle ferrovie inglesi, assegnati ad un deposito per la manutenzione nello Yorkshire meridionale, deve fronteggiare un nuovo nemico: la privatizzazione delle British Rail. Da un giorno all’altro, la società per cui lavorano cambia nome e le nuove regole dettate dal libero mercato e dalla concorrenza all’inizio sembrano poco più di uno scherzo: lo stipendio proporzionato alla produttività, la competizione con chi fino a ieri era un collega, l’impegno a mantenere le morti sul lavoro "entro limiti accettabili". Ben presto, però, Paul, Mick, Len, Jerry e gli altri operai si rendono conto della realtà. E la realtà è che tutti sono spinti a licenziarsi grazie ad una subdola "indennità speciale", ma solo per poi tornare alle stesse mansioni per conto di agenzie di lavoro temporaneo. L’offerta sembra allettante, per operai costretti ad una vita di straordinari per mettere da parte un po’ di soldi: l’indennità, e una paga apparentemente doppia, spingono molti a compiere il grande passo. Salvo poi accorgersi che il nuovo datore di lavoro non gli garantisce più niente, a parte lo stipendio: niente più ferie retribuite, assegni di malattia, contribuiti pensionistici e assicurazione sanitaria. Senza contare la mancata applicazione delle più elementari norme di sicurezza sul lavoro. Ma, soprattutto, gli operai di Sheffield, entrando in competizione l’uno con l’altro secondo le implacabili leggi del libero mercato, perdono la coesione e lo spirito di gruppo che li aiutava ad andare avanti. Così al deposito rimane il solo Jerry, ormai inutile orpello di una società che sta chiudendo perché non più competitiva: triste e inutile, Jerry, vecchio rappresentante sindacale, si ostina a rifiutare un mondo dove le regole sono tutte cambiate, o forse non esistono proprio più. Dove, come dice verso la fine, ci si trova in una situazione da scacco matto: "qualunque mossa fai, hai perso".
Dopo la parentesi "americana" di Bread and roses, Ken Loach torna nel suo ambiente naturale: l’Inghilterra e i suoi operai nell’era dello smantellamento dello stato sociale. Stavolta nel mirino del più militante tra i registi europei c’è l’ultima grande privatizzazione statale, quella delle ferrovie, attuata nel 1993 dal governo conservatore di John Major, a completamento delle politiche ultraliberiste della Thatcher. La scelta, quindi, cade su un argomento di attualità, almeno in Gran Bretagna, dove l’incredibile aumento di incidenti ferroviari degli ultimi anni ha mostrato a tutti gli effetti nefasti della dittatura del libero mercato, quando l’obbligo della competitività impone che anche la sicurezza diventi una voce di spesa, possibilmente da ridurre così come il costo del lavoro. Non è un caso che gli operai del film si occupino di manutenzione dei binari e della segnaletica, attività che evidentemente non produce profitti e quindi si può appaltare e subappaltare al miglior offerente. La vera e propria urgenza sociale del film è dimostrata anche nell’inedita forma di distribuzione in patria: solo due o tre settimane di uscita nelle sale, per lo zoccolo duro dei fan di Loach, e poi il passaggio televisivo su Channel 4, per raggiungere nel tempo più breve possibile il pubblico più ampio possibile e inserirsi così subito nel dibattito politico e sociale.
La messa in scena è quella tipica del cinema di Loach: denunce e grandi tematiche raccontate attraverso le piccole storie di uomini che non si curano dei grandi cambiamenti in atto, ma solo degli effetti che hanno sulle loro vite. Film corale, dove Paul e Mick del titolo italiano non hanno poi così tanto spazio in più rispetto agli altri, The navigators (questo il titolo originale, che si riferisce all’antico nome dei ferrovieri britannici) è costruito come una commedia amara, con la Storia solo sullo sfondo. Loach è andato a pescare i suoi protagonisti tutti a Sheffield, creando un gruppo affiatato costituito da veri ferrovieri, attori e comici locali, lasciando ampi spazi all’improvvisazione. Questo sia per dare credibilità al suo stile quasi documentaristico, di chi è come capitato lì per caso con una macchina da presa, sia per dar voce al "personaggio nascosto" del film, ovvero l’accento e lo humour tipici dello Yorkshire meridionale (ancora più nascosti, naturalmente, grazie al doppiaggio italiano). Sempre in bilico tra commedia e tragedie piccole e grandi, Paul, Mick e gli altri non è forse il miglior film di Loach, ma è un film importante, in grado di spiegare i mutamenti epocali in atto nel mondo del lavoro senza rischiare di essere didascalico né noioso. E Loach ha anche il coraggio di proporre un rimedio: recuperare la solidarietà e l’unità perduta dei lavoratori, e soprattutto essere consapevoli dei cambiamenti in atto.
Autore critica:Andrea Nobile
Fonte critica:tempimoderni.com
Data critica:



Critica 3:La classe operaia non va più in Paradiso. Non può permettersi nemmeno di andare in treno. E' morta. Una morte bianca causata dalla flessibilità, dagli scivoli, dal lavoro interinale, dai subappalti, dalla fine della cultura del posto fisso, dagli incentivi, dallo sgretolarsi di garanzie e statuti dei lavoratori. Ken Loach, dopo la trasferta tra gli immigrati addetti alla pulizia degli uffici di Los Angeles, torna in Inghilterra con l'aiuto della sceneggiatura scritta da Rob Dawner, un ex ferroviere, morto nel febbraio di quest'anno di un cancro contratto a causa dell'amianto, si sposta in uno scalo ferroviario, in un deposito dello Yorkshire nell'anno in cui le Ferrovie Britanniche sono state privatizzate. Il regista ragiona rispetto ai propri film come si fa con un "genere" che ha superato molti tagliandi per la manutenzione ed è abbastanza rigido. Protagonista collettivo, orizzontalità della trama, sobrietà nel descrivere ali affetti e le emozioni, capacità di fissare una fase di transizione psicologica e sociale dei suoi personaggi, fedeltà agli interni privati e pubblici (pub e friggitorie), a certi scorci di periferia, recitazione intonata con alcune parentesi lievi. I suoi film non stupiscono più, ma non dispiacciono. Con le loro belle facce smarrite o arrabbiate. Un universo di moduli, colloqui, trattative, sussidi, amori precari. Opere non addomesticate. Sit-drammi ex proletari. Il risultato, questa volta, è affievolito dall'assenza di attori più incisivi.
Autore critica:Enrico Magrelli
Fonte critica:Film TV
Data critica:

18/9/2001

Libro da cui e' stato tratto il film
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