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Buon compleanno Mr. Grape - What's Eating Gilbert Grape?

Regia:Lasse Hallstrom
Vietato:No
Video:Medusa Video
DVD:Panorama
Genere:Drammatico
Tipologia:Disagio giovanile, Le diversità
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo omonimo di Peter Hedges
Sceneggiatura:Peter Hedges
Fotografia:Sven Nykvist
Musiche:Bjorn Isfalt, Alan Parker
Montaggio:Andrew Mondshein
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Johnny Depp, Leonardo Di Caprio, Juliette Lewis, Mary Steenburgen, Darlene Cates, Laura Harrington, Mary Kate Schellhardt
Produzione:David Matalon, Meir Teper, Bertil Ohlsson
Distribuzione:Cecchi Gori
Origine:Usa
Anno:1994
Durata:

116'

Trama:

Dal romanzo omonimo di Peter Hedges che l'ha sceneggiato. A Endora (Iowa, 1091 abitanti) non succede mai niente, ma c'è gente interessante come i Grape: dopo il suicidio del padre, il primogenito Gilbert, commesso in un emporio, mantiene la madre (che pesa 250 kg e da sette anni non esce più di casa), due sorelle e un fratellino, ritardato mentale.

Critica 1:Curioso film sulla voglia di tenerezza e l'importanza della famiglia, che riscatta il tasso di saccarosio per delicatezza del tocco, cura dei particolari, colori del paesaggio (fotografia di Sven Nikvist). Al suo secondo film americano, lo svedese Hallstrom dimostra che sa come e che cosa guardare.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Probabilmente Buon compleanno Mr. Grape non è un film da scheda, almeno non nel senso cui si sono affezionati i lettori di “Cineforum” nel corso degli anni. Il film di Lasse Hallstrom, a cui uscita italiana è stata misteriosamente ritardata è infatti una piacevolissima immersione nei luoghi cinematografici già visti, e grazie alla calligrafia discreta di Sven Nykvist (i maligni direbbero anonima) e allo sguardo complice del regista finisce per emergere nettamente rispetto alla media delle pellicole proiettate nelle sale della penisola.
Già vista è la provincia americana dello Iowa (le riprese pero sono state realizzate nello stato del Texas) che non può non rimandare sentimentalmente (ma le analogie si fermano, più o meno, qui) a quella amata appassionatamente da Terrence Malick e Nestor Almendros (un altro sguardo alieno gettato sul paesaggio statunitense) che vive dolente nelle immagini di quel ca-polavoro dimenticato che è I giorni del cielo. La matrice esistenziale della solitudine che attraversa le vite di Gilbert e Arnie ci sembra es-sere infatti un aggiornamento di quel Weltschmerz della frontiera che permeava ogni singolo foto-gramma del film di Malick. Eviden-temente anche Hallstrom, come quasi tutti noi, si porta incisa nel cuore la sua America dei sogni e l'occasione di realizzare Buon compleanno Mr. Grape deve avergli fornito finalmente l'opportunità di confrontarsi compiutamente con essa. Ogni inquadratura ci suggerisce che il film, prima ancora che essere la storia dell'innamoramento di Gilbert e Becky, è il racconto del corteggiamento di Hallstrom nei confronti di un paesaggio che conserva intatta la propria dimensione mitologica (celebrata instancabilmente attraverso migliaia di film e romanzi) e, di conseguenza, il proprio potenziale mitopoietico. Di nuovo: tutto già visto, altrove. A fare la differenza in questo caso ci sembra essere la qualità immaginaria dell'innamoramento di Hallstrom nei confronti dei suoi materiali narrativi che sovente si produce attraverso uno sguardo ingenuo, il quale conferisce alle persone e alle cose una sospensione incantata pur riuscendo a conservare costantemente un forte atteggiamento antiretorico che impedisce al film di appesantirsi. Questo sentire lieve, impalpabile, si trasferisce, senza forzatura alcuna, sui personaggi, i quali diventano fragili figure perse in un paesaggio americano (figures in a landscape). Infatti le silhouette di Gilbert, Arnie e Becky sembrano come increspare la placida linea infinita dell'orizzonte del quale Hallstrom, senza affliggerci con inutili metafore (che invece sono preziose se usate bene, come ci suggerisce il postino Troisi), ci fa comprendere che cela la linea d'ombra di ognuno dei personaggi messi in campo. Dovendo dunque confrontarsi cinematograficamente con un mondo sul quale grava minacciosa l'ipoteca del già visto, Hallstrom adotta un linguaggio minimalista che funziona per scarti emozionali sulla percezione dello spettatore, privilegiando progressivamente toni fiabeschi che inevitabilmente finiscono per sedurre lo spettatore complice. Buon compleanno ... vive lungo la delicata linea di demarcazione che separa il melò adolescenziale dalle sue imitazioni alla melassa. Pur essendo il film un piccolo e provinciale melò di formazione, Hallstrom è come se lavorasse imperturbabilmente contro le attese che le situazioni da lui messe in scena sembrerebbero offrirgli, preferendo scrutare gli accadimenti piuttosto che parteciparvi e inquinare in questo modo la libertà di visione dello spettatore, lasciando dunque che le relazioni tra persone e cose abbiano tutte le possibilità drammaturgiche di svilupparsi secondo le proprie esigenze (narrative e non solo). Indicativa di tale atteggiamento è la scoperta della morte della madre da parte di Arnie. Quando questi affranto fugge dalla stanza dove giace immobile la donna, Hallstrom, con uno stacco netto di montaggio, distanzia, allontana la visione del dolore di Arnie, Gilbert e delle loro sorelle riprendendo in campo lunghissimo il cortile della loro casa, facendoci vedere solo delle piccole sagome silenziose che si agitano lontane. Una scelta di regia semplice eppure radicale, profondamente morale. Ci troviamo in questo caso di fronte non solo alla comprensione intima, profonda della natura del dolore e delle sue qualità che lo rendono bazinianamente inguardabile, immostrabile (Assayas è forse l'unico regista contemporaneo al quale è dato di varcare moralmente questa soglia; un motivo, tra i tanti, che ce lo rende prezioso), ma anche alla trasformazione di un sentimento di pudore necessario in cinema. E un momento unico nell'economia del film, ma che permette a Buon compleanno... di fare un salto di qualità ulteriore, difficilmente riscontrabile nel cinema commerciale contemporaneo.
Hallstrom quindi sa come e cosa guardare ed è per questo motivo che i sentimenti da lui messi in scena trovano la nostra adesione incondizionata. Avvertiamo infatti con sicurezza che con lui non corriamo il rischio di essere manipolati (cosa che invece adora fare Petersen, per restare in tema di nord-europei sbarcati a Hollywood). Hallstrom tiene costantemente a bada gli elementi ricattatori insiti in una materia così fragile. Basti pensare al modo in cui è raffigurato Arnie (Leonardo Di Caprio, con Harvey Keitel, è il più grande attore americano del momento: vedere per credere). Visto superficialmente il personaggio di Arnie potrebbe addirittura irritare. Ancora una volta un disabile viene ritratto come un essere angelicato, portatore di verità maiuscole e privo di qualsiasi contraddizione: quindi catalizzatore della buona coscienza dello spettatore. Ma Hallstrom non ha alcuna velleità sociologica: Arnie vive in un mondo di sogno e funziona soprattutto come doppio di Gilbert e dei suoi sentimenti congelati che questi non riesce ad esprimere e che nel fratello minore trovano invece un'esemplificazione serena e gioiosa. Là dove Gilbert è silenzioso, a tratti rancoroso, indolente, Arnie è una festa mobile. Vive seguendo il proprio principio di piacere, esplicitando i desideri più profondi del fratello. Come spiegare altrimenti la sua ossessione per la cisterna dell'acqua. Troppo scoperto, troppo didascalico? Può darsi. Ma, ancora una volta, è lo spazio che circonda Gilbert (e Arnie) a far sì che i piccoli sommovimenti del suo cuore risuonino di tonalità inedite. Perso in una vastità che è (già) stata testimone di avvenimenti di ben altra portata, Gilbert si ritrova a vivere una personalissima epopea minimalista, la quale non è altro che l'immagine della fine del mito dell'espansione western. Cosa rimane da scoprire, conquistare quando tutte le frontiere sono state aperte? Hallstrom, senza scomporsi, ci suggerisce che forse è il caso di iniziare a provare a varcare quelle frontiere interiori che ancora ci impediscono di comunicare a amare in maniera nuova, altra. Dunque, proprio come avviene nella più solida tradizione western, il paesaggio diventa lo specchio nel quale si riflette il sentire di Gilbert. Con la differenza però che questa volta non si tratta di "costruire una città", ma di fuggire altrove e abbandonare tutte le città possibili per ritrovare se stessi. In questo senso la figura dai tratti decisamente iniziatici di Arnie sembra essere (pur non muovendosi mai da Endora) un discendente, seppur lontano, degli angeli vagabondi in cerca di beatitudine di Van Sant che attraversano il territorio americano in My Own Private Idaho e Even Coowgirls Get the Blues. Anche Arnie, come Mike e Sissy, è un portatore di informazioni (la definizione è di Van Sant) che gli permettono di vedere e sentire diversamente dagli altri. Volendo forzare i termini di quest'analogia, potremmo dire che Arnie rappresenta il mito del moto perpetuo che non ha altro fine se non il movimento stesso (anche Forrest Gump ad un certo punto della sua vita si mette a correre inutilmente su e giù per gli Stati Uniti). Il problema di Arnie (e Gilbert) è che si ritrova imprigionato in un luogo nel quale tutte le linee di fuga si ripiegano su se stesse. Hallstrom sembra, seguendo quest'ipotesi di lettura del film, riallacciarsi ad una mitologia dello spazio e del movimento che in tempi recenti solo Van Sant ha saputo restituire ad una ritrovata complessità motivazionale. Buon compleanno... ha il merito di rimettere in campo il sentire di un mondo che sonnecchia nella memoria cinematografica di ognuno di noi (o quasi), avendo l'accortezza e la modestia di adottare una cifra espressiva leggera, familiare che ne restituisce completamente il carattere umbratile e denso di ricordi.
Senza voler necessariamente attribuire inflazionate patenti di genialità crediamo che la capacità di farci guardare alle cose in modo ingenuo, permettendoci di viverne il piacere e, al tempo stesso, attraverso la loro sconcertante semplicità vederne la dichiarata finzione all'opera, sia uno dei pregi maggiori di Hallstrom. In questo modo la storia d'amore di Gilbert e Becky, attraverso il gobetween Arnie (ma senza alcuna notazione tragica), diventa un tenero idillio da fiaba dove il lieto fine è strutturalmente necessario. Infatti tutto tende in direzione del happy-end e che questo giunga puntualmente come previsto da copione non inficia minimamente la commozione: anzi, semmai l'amplifica, perché conferma ciò che sappiamo sin dall'inizio: ossia per una volta, almeno nel film, tutto finirà bene. Appunto perché si tratta di un film già visto. Inoltre il finale replica l'incipit della pellicola, quasi a sottolineare che si tratta di storie che stiamo rivedendo. Infatti la carovana di camper che annuncia il ritorno di Becky e di sua nonna, portandosi via Gilbert e Arnie da Endora, interrompe il racconto, sottraendo le vite dei due ragazzi alla ripetizione (ballare senza musica, direbbe Gilbert). Quindi, come nella canzone dei Soul Asylum (eccezionale band fautrice di un suono americano già sentito), abbandoneremo il cinema con un po' di nostalgia di casa e degli amici che vi abbiamo conosciuto. Ma non è poi cosi grave, perché sappiamo che si tratta di posti che non sono mai esistiti e che non abbiamo mai posseduto. HalIstrom ci fa vivere in essi per un po' di tempo e ci fa credere che davvero esistano i Gilbert e le Becky. Ma se un regista lo fa in modo limpido come HalIstrom possiamo anche concederci, per una volta, il lusso di crederci. D'altronde perché rinunciare al piacere della commozione?
Autore critica:Giona A. Nazzaro
Fonte critica:Cineforum n.343
Data critica:

4/1995

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:What's Eating Gilbert Grape?
Autore libro:Hedges Peter

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