RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
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Vajont -

Regia:Renzo Martinelli
Vietato:No
Video:Dvd Distr. Dnc.
DVD:01 Home Entertainment
Genere:Drammatico - Politico
Tipologia:Il lavoro, Natura e ambiente
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Pietro Calderoni, Renzo Martinelli
Sceneggiatura:Pietro Calderoni, Renzo Martinelli
Fotografia:Blasco Giurato
Musiche:Francesco Sartori
Montaggio:Massimo Quaglia
Scenografia:Francesco Frigeri
Costumi:
Effetti:David Bush
Interpreti:Michel Serrault (Ing. Carlo Semenza), Daniel Auteuil (Nino Biadene), Laura Morante (Tina Merlin), Jorge Perugorria (Olmo Montaner), Anita Caprioli (Ancilla), Leo Gullotta (Mario Pancini), Philippe Leroy (Giorgio Dal Piaz), Jean-Christophe Bretigniere (Edoardo Semenza), Nicola Di Pinto (Francesco Penta), Eleonora Martinelli (Giannina), Federica Martinelli (Margherita), Claudio Giombi (Celeste), Massimo Vanni (Brig. Roncacci), Davide Dal Fiume (Battistini), Massimo Sarchielli (Don Carlo), Paco Reconti (Bertolissi), Maurizio Trombini (Ing. Desidera), Antonio Fabbri (Prof. Ghetti)
Produzione:Martinelli Film Company International - Rai Cinema Spa Coproduzione Sdp - Canal + - Comune di Vajont
Distribuzione:01 Distribution
Origine:Francia – Italia
Anno:2001
Durata:

115'

Trama:

Nella gola del Vajont si sta costruendo quella che sarà la diga più alta del mondo: 263 metri. Tutti sono convinti che la diga, che ha portato lavoro, darà in seguito turismo e soldi per la presenza del lago artificiale. Quando i dirigenti della società costruttrice scoprono sul fianco del monte Toc una terribile spaccatura, una massa enorme di terreno che potrebbe franare nel lago, decidono di non dire niente e andare avanti. Il geometra Olmo, entusiasta della costruzione, si è fidanzato con Ancilla, una giovane di Longarone e ora, terminata la diga, come tanti altri deve cambiare casa. Il 4 novembre 1960 un primo pezzo di montagna frana nel lago, sollevando un'onda tremenda. Seguono frenetici consulti tra la società e gli esperti, ma ancora una volta i risultati vengono tenuti segreti. Occorre infatti arrivare al collaudo per poter ottenere i contributi governativi e vendere la diga allo Stato. Invano la giornalista Tina Merlin denuncia che il monte Toc rischia di franare nel lago stesso, provocando una strage. Anche Ancilla, che ha sposato Olmo, cerca di convincerlo a lasciare Longarone. Tutto risulta inutile. Quando, nel settembre 1963, uno scossone provoca un terremoto, i dirigenti della società, impauriti, decidono di procedere allo svuotamento del lago. Troppo tardi. Il 9 ottobre 1963 milioni di metri cubi di montagna scivolano nell'acqua e sollevano un'onda alta 250 metri che devasta la valle e tutti i paesi fino a Longarone. Sono duemila le vittime accertate.

Critica 1:Come eravamo. Già, come eravamo? L'Italia dei lavori pubblici falliti nel dopoguerra ambizioso e clientelare in un caso emblematico: il disastro annunciato della diga del Vajont. Duemila morti e tre paesi spazzati via dalla faccia della terra per tener fede agli accordi tra lo stato e i costruttori, nonostante le prove di cedimento, le denunce, i dubbi e, poi, le certezze. Diranno in molti che il film voluto e diretto da Renzo Martinelli, che ha l'ambizione di diventare l'Oliver Stone italiano (dopo "Porzus" sulla strage tra partigiani), è enfatico, elefantiaco e incontinente nella misura epica (i paesani strapaesani, la stretta di mano tra la giornalista comunista e il prete ribelle, la reiterate riprese dal basso degli eroi e della diga). Vero, se pensiamo al risultato estetico, con quegli attori tutti bravissimi e sovradosati (da Gullotta e Auteuil, da Leroy a Laura Morante e Perugorria), schierati come un esercito per dimostrare la potenza artistica in rapporto alla potenza della tragedia raccontata. Ma la ricostruzione della verità di cronaca cade efficacemente sulla coscienza dello spettatore in un film d'impegno civile e denuncia storica in difetto per eccesso di solerzia narrativa. Da vedere comunque.
Autore critica:Silvio Danese
Fonte criticaIl Giorno
Data critica:

19/10/2001

Critica 2:Ritorniamo a bocce ferme su Vajont, il film di Renzo Martinelli sulla strage - non usiamo volutamente la parola tragedia: almeno questo, alle vittime, glielo dobbiamo - del 1963. Un film sul quale l'Unità è doppiamente coinvolta. Per un motivo specifico: il giornale é letteralmente un "personaggio" del film, perché la nostra cronistoria Tina Merlin fu l'unica a segnalare la pericolosità della diga già quattro anni prima che venisse inaugurata. E per un motivo, diciamo così, ideale: Vajont segna un ritorno del cinema civile e spettacolare, un genere che in Italia ha avuto una grande tradizione e che Martinelli aveva già preso robustamente di petto nel suo lavoro precedente, quel Porzus che tante polemiche suscitò ad una vecchia Mostra di Venezia. In quel caso, il regista ricostruiva un tremendo episodio della Resistenza - L'eccidio di partigiani cattolici, da parte di altri partigiani comunisti e filo - jugoslavi, alle malghe friulane di Porzus con un virulento stile alla Peckinpah, o alla spaghetti - western. Stavolta l'operazione é ancora più ambiziosa: Vaojnt é, al tempo stesso, un film-reportage e un melodramma sentimentale. Rievoca la costruzione della diga, gli inutili allarmi (di Tina Merlin e di pochi altri) sua pericolosità, i maneggi politici fra la Sade (Sigla che stava per Società Adriatica di Elettricità), L'Enel e i governi del tempo, fino alla frana annunciata del monte Toc che fece tracimare il lago artificiale distruggendo i paesini montani di Erto e Casso e la cittadina, a fondovalle, di Longarone. Lo fa con piglio cronachistico, intervallando però la ricostruzione con la storia d'amore fra Olmo, geometra che lavora alla diga, e Ancilla, telefonista in quel di Longarone. Con queste premesse, ci costa un dolore quasi fisico scrivere che Vajont non ci é piaciuto, anche se non ci ha provocato il dissenso pressoché totale che provammo di fronte a Porzus. É, ovviamente, un film con due anime. La storia d'amore è melodrammatica, alla Matarazzo, e improponibile: con una scena-culto, il bacio sulla diga fra Jorge Perugorria e Anita Caprioli al suono della canzone Stella di Filippa Giordano, che sembra un'involontaria parodia di Titanic (la scelta delle musiche é di un kitsch sfrenato: quando allo schermo tracima il pezzo Proteggimi di Andrea Bocelli, si vorrebbe esse altrove). La parte "civile" ha ritmo serrato, scene emozionanti, momenti di sincera e contagiosa indignazione, effetti speciali (soprattutto nella prima parte) di alto livello. Ma é condizionata da una sceneggiatura spesso scritta con l'accetta (non si può mostrare il cinico ingegner Biadene che, poche sere prima del disastro, va in chiesa colto da crisi mistica e mormora "non si sa più a che santo votarsi"), da un simbolismo troppo sottolineato (il Cristo ligneo che galleggia nel lago, la stretta di mano fra la giornalista comunista e il prete di Erto) e da una recitazione discontinua. Martinelli é un importante regista di spot pubblicitari, e ha una simbiosi quasi fisica con la macchina da presa, che si scatena in gru e carrelli audacissimi, ma non sembra interessato a dirigere gli attori: chi è bravo (come Leo Gullotta e i due francesi, Michel Serrault e Daniel Auteuil) se la cava da solo, gli altri si perdono. E fra i disperati, ahimè, c'è Laura Morante, che disegna una Tina Merlin tutta smorfiette, bronci e ripicchi. Preveniamo l'obiezione: il giudizio non dipende dalla frequentazione diretta di Tina. Per motivi banalmente anagrafici, non l'abbiamo conosciuto, anche se come tutti coloro che sono entrati all'Unità negli anni 70' - siamo un po’ cresciuti, giustamente, con il suo mito. Il problema è che, quando la Morante entra in scena, non si vede una giornalista all'opera, ma un'attrice che fa la giornalista secondo l'antico cliché cinematografico della cronista d'assalto. Vajont è comunque partito bene nel primo week-end di programmazione, e nelle zone del Veneto e del Friuli dove è uscito già da due settimane la gente fa la fila per vederlo. Pur non apprezzandolo, ne siamo felici: il Vajont è un orrore che non va dimenticato. Lo spettacolo teatrale di Marco Paolini aveva già dato un'immenso contributo alla memoria. Ben venga anche il film.
Autore critica:Alberto Crespi
Fonte critica:l'Unità
Data critica:

24/10/2001

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



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