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Cul de sac - Cul de sac

Regia:Roman Polanski
Vietato:14
Video:Roadmovie
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Gerard Brach, Roman Polanski
Sceneggiatura:Gerard Brach, Roman Polanski
Fotografia:Gilbert Taylor
Musiche:Krzyszstof Komeda
Montaggio:
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Alastair MacIntyre, Françoise Dorleac (Teresa), Robert Dorning (Fairweather), William Franklyn (Cecil), Jack MacGowran (Albie), Donald Pleasence (George), Ian Quarrier (Christopher), Lionel Stander (Gangster Dick)
Produzione:Gene Gutowski
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Gran Bretagna
Anno:1966
Durata:

111’

Trama:

Giorgio, un industriale di mezza età, dopo il divorzio dalla moglie Agnese ha venduto la sua fabbrica e, acquistato un vecchio castello isolato, vi si è trasferito con la sua giovane seconda moglie Teresa. Giorgio gode della tranquillità del luogo, mentre Teresa trova sfogo alla sua noia intessendo furtivi amori con occasionali visitatori del castello. Un giorno giungono nel maniero due malviventi inseguiti dalla polizia: Alberto, che muore poco dopo in seguito alle ferite riportate in uno scontro a fuoco, e Riccardo, un brutale gigante che si istalla da padrone nella casa di Giorgio. Le reazioni dei due coniugi ai soprusi del bandito sono opposte: l'uomo cerca soltanto di salvare la pelle; la donna, invece, disgustata dal pavido atteggiamento del marito, sembra attratta dalla rozza vitalità di Riccardo. Allorchè il bandito decide di abbandonare il castello, Teresa, delusa dall'indifferenza dimostrata da questi nei suoi confronti, istiga Giorgio a ucciderlo. Il bandito cade sotto i colpi di fucile di Giorgio, il quale si illude di aver riconquistato con questo atto la sua dignità di uomo e l'amore di Teresa. Ma la donna fuggirà nella stessa giornata con un aitante play-boy, lasciando il povero Giorgio in una solitudine senza scampo.

Critica 1:In un castello periodicamente isolato dall'alta marea sono a confronto una coppia di nevrotici borghesi e una coppia di sgangherati criminali in un reciproco gioco di massacro. Uno dei migliori film di R. Polanski che l'ha scritto con Gérard Brach. Commedia nera: colpi di scena, grand-guignol e sprazzi di stridula malinconia, rivelatori delle diverse frustrazioni dei personaggi.(…). Orso d'oro al Festival di Berlino.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Camera fissa, campo lungo. Un punto emerge all'orizzonte: una macchina avanza lentamente su una lingua di terra assediata dal mare. Un uomo corpulento la spinge, mentre un mingherlino agonizza al volante senza piú ascoltare le imprecazioni e gli ordini dell'altro. Si apre cosí Cul de sac (1966), con una tragica postilla finale a Il grasso e il magro, con un'amara riflessione eidetica sulle suggestioni e i temi del cinema polanskiano.
Dal mare non sorgeranno piú armadi. All'orizzonte non spunteranno mai slitte. Sulla strada che si perde all'infinito un gangster ferito spinge mestamente il carro funebre su cui riposano le spoglie problematiche del primo Polanski. Ardono nella luce cimiteriale della memoria, omini a due dimensioni, rissosi mammiferi umani, grassoni sprofondati in poltrone, figurette macilente costrette a suonare violini. L'automobile targata Lodz è ormai in panne. Polanski si arrampica dietro al suo bandito fuggiasco, lungo i fili telefonici che portano al castello di Northumberland, a dissacrare i falsi riti notturni di un allucinante microcosmo, dove un uomo impotente e la moglie ninfomane vegetano in attesa del diluvio finale.
L'huligano di Il coltello nell'acqua, indurito e reso violento dalla società capitalista, è invecchiato in fretta: il suo nome è Dick. Ancora una volta il regista polacco affida al personaggio che si pone fuori dalla legge del conformismo, il compito di scuotere la coscienza critica negli altri sopita. Dick è però qualcosa di piú dell'involontario dissacratore di Il coltello nell'acqua, è qualcosa di diverso dalla folle assassina di Repulsion. Dick è un buffone. Buffone d'alto rango, buffone che smaschera la follia dei luoghi comuni a rapidi colpi di buon senso, che corrode le ipocrisie perbeniste della mentalità borghese, attraverso straordinari surrealismi barocchi di un linguaggio volgare e fantastico, infantile e filosofico, brutale ed ellittico. Buffone shakespeariano.
La definizione di Leszek Kolakowski calza perfettamente al personaggio di Dick: « Buffone è colui che pur frequentando la buona società non ne fa parte e le dice delle impertinenze, colui che mette in dubbio tutto ciò che passa per ovvio. Se appartenesse anche lui alla buona società non potrebbe farlo e sarebbe tutt'al piú uno scandalizzatore da salotto. Il buffone deve trovarsi al di fuori della buona società, deve guardarla dall'esterno per scoprire i lati non ovvi della sua ovvietà, e i lati non definiti della sua " definitività "; al tempo stesso deve frequentarla per conoscere i suoi mostri sacri e aver l'occasione di dir loro impertinenze... La filosofia dei buffoni è quella che in ogni epoca mette in dubbio ciò che è considerato intoccabile, che rivela le contraddizioni di ciò che sembra ovvio e incontrastato, che mette in ridicolo le evidenze dei luoghi comuni e scorge la ragione nell'assurdità ».
Attraverso i giudizi lapidari ed ironici di Dick il Buffone, George e Teresa, annoiati sovrani della contea di Northumberland, divengono consapevoli dell'assurdo dell'evidenza. Al cospetto della sua invadente presenza critica o al tocco magico della sua parola, i personaggi perdono le certezze bugiarde e le false ambizioni del mondo capovolto del castello, per prendere coscienza della loro ridicola contraddittorietà fino al punto di vedere le situazioni drammatiche trasformarsi in comiche. Come osserva Ionesco, « la comicità è l'intuizione dell'Assurdo ed è molto piú disperata della tragicità; la comicità non offre scampo dalle situazioni» («Nouvelle Revue Française», febbraio 1958).
La comicità svela l'equivocità di schemi rigidamente prefissati e rivela, nella contrazione della risata isterica, l'assurdo che in essi si annida. Il comico assai spesso prende spunto dal fraintendimento verbale. Il fraintendimento polanskiano non è corollario espressivo del non-sense di Beckett e Ionesco, ma costante strutturale che trova la sua matrice nella concezione pessimistica e anarchica dei rapporti umani, cara al regista.
In Ionesco è svanita, nella coscienza di un universo retto dall'Assurdo, la tensione del comunicare; spenta per sempre nel rito verbale, necessario e insensato come la vita stessa dell'uomo. In Polanski vibrano altre corde, niente affatto irrigidite dai dettami del Teatro dell'Assurdo, ma il cui suono appare non meno dolente. L'uomo visto dalla luna di Polanski è un pianeta che non conosce sistemi solari. Ruota malinconico sull'asse dei suoi sogni, trascina nell'orbita i satelliti che accettano le sue leggi di gravitazione esistenziale, deflagra tragicamente nell'impatto con un corpo vagante per poi perdersi alla deriva, ormai ridotto a polvere cosmica.
La solitudine, l'egoismo, l'incapacità di guardare agli altri con interesse sociale, il solipsismo problematico, l'insofferenza e la diffidenza per i rapporti umani, non spingono soltanto l'uomo a seguire il corso dei suoi pensieri ma a respingere le mani ipocritamente protese in suo aiuto. Gli amici di George sono mostriciattoli repellenti scesi a Northumberland per fare ampio approvvigionamento di malignità, di critiche, di scandali. I vicini, gli amici, i parenti rappresentano gli avversari piú infidi degli eroi polanskiani, assediati dalla morsa di false premure, di doni pacchiani, di complimenti ipocriti. George respinge da solo l'invasione con l'unica arma a sua disposizione, l'asocialità, elevata a modello di vita dallo splendido isolamento nel maniero. In George si riverberano le luci vivide e scontrose dell'anarchismo dell'uomo dietro la macchina da presa.
(…) George, naufragato dall'odissea nello spazio di una società lontana su un'isola, è prigioniero soprattutto di se stesso. Un'isola che non conosce echi né specchi crudeli che a lui rimandino la coscienza della sua anormalità e delle sue contraddizioni. Personaggio infantile ed eroe immaturo, bambino cresciuto troppo in fretta e marito troppo vecchio per essere efficente, erudito miope incapace di rinunciare ai pantaloni corti, romantico inacidito dagli anni e dalle delusioni, adolescente calvo abbarbicato con ridicola ostinazione ad aquiloni e sogni segreti, George riesce a stringere la sua identità nel pugno delle convenzioni borghesi passivamente subite. Nei silenzi allucinanti del castello, sulle spiagge desolate di uomini, l'impotente trova la serenità di un sicuro habitat psicologico. George è il fratello maggiore di Carol Ledoux: la stessa repulsione del sesso e della società li spinge a segregarsi nello spazio chiuso, di un appartamento o di un maniero il cui accesso è proibito agli uomini «normali», la stessa violenza omicida e irrazionale scatta in loro contro chi attenti alla pace annichilita del mondo privato, la stessa parabola discendente dall'impotenza alla follia. In Cul de sac però le interrelazioni sociali che saldano il personaggio agli altri attori del dramma, piú complesse e articolate che in Repulsion, conferiscono alla figura dell'uomo superiore statura tragica, tratti problematici piú nitidi, e sfumature sentimentali meno psicologistiche.
Il feticistico amore di George per la stanza del castello dove Walter Scott soggiornò per comporre le sue opere immortali, non necessità piú, come nel caso della stanza e del ritratto di famiglia di Carol, di ipotesi metaforicamente psicanalitiche. L'alba marcisce sulla spiaggia turbata dalle enfatiche declamazioni sentimentali di Dick e George che, nell'ebbrezza dell'alcool, slacciano le rigide armature dei loro ruoli per confessarsi amarezze e perplessità di una stessa umanità dolorante. George racconta all'incallito gangster la fiaba bella dello scrittore romantico che sfidava la storia e il tempo con romanzi di eroi lanciati nella lotta senza perplessità, di giustizieri invitti e coraggiosi. Walter Scott. Il romanticismo. (…)
Ogni immagine di Cul de sac è percorsa da un brivido di nostalgia struggente per quel romanticismo eroico, sepolto per sempre sulla spiaggia di Northumberland da due ubriachi in vena di rimpianti. Nostalgia della storia, divorata dalla coscienza della sua assurdità e costretta a fare il verso a se stessa. Nostalgia che non sa atteggiarsi a tragedia. Nostalgia grottesca.
Il fascino inquietante di Cul de sac nasce da questa tensione ideale irrisolta tra i rimpianti romantici dell'allievo di Lodz, giunto in ritardo all'appuntamento con la Scuola Polacca, e i sarcasmi critici del giovane regista dei Mammiferi, tutto «rigore e disciplina». Il castello di Northumberland non conosce slanci romantici ma neanche la gioia irriflessa di erotici baccanali moderni. Dick disintegra l'equilibrio statico cui George si afferra per resistere alla realtà esistente al di là del braccio di mare che difende Northumberland. Privato dei rassicuranti valori, borghesi e incapace di credere in una rivolta di segno positivo, l'impotente «senza qualità» di Polanski si spoglia malinconicamente delle vane fanfaronate e dei luoghi comuni per organizzare il cerimoniale della sua capitolazione in forma di follia. (...)
Autore critica:Stefano Rulli
Fonte critica:Roman Polanski, Il Castoro Cinema
Data critica:

3/1975

Critica 3:
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