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Mariti e mogli - Husbands and Wives

Regia:Woody Allen
Vietato:No
Video:Columbia Tristar Home Video
DVD:
Genere:Commedia
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Woody Allen
Sceneggiatura:Woody Allen
Fotografia:Carlo Di Palma
Musiche:
Montaggio:Susan E. Morse
Scenografia:Santo Loquasto
Costumi:Jeffrey Kurland
Effetti:
Interpreti:Woody Allen (Gabe Roth), Mia Farrow (Judy Roth), Sydney Pollack (Jack), Judy Davis (Sally), Liam Neeson (Michael), Juliette Lewis (Rain), Lysette Anthony (Sam)
Produzione:Tristar Pictures
Distribuzione:Columbia Tristar Films
Origine:Usa
Anno:1992
Durata:

108’

Trama:

Gabe Roth, professore di letteratura, e sua moglie Judy, che lavora in una rivista d'arte, sono sposati da 10 anni, e apparentemente sono felici. Il loro matrimonio entra in crisi la sera in cui i loro migliori amici, Jack e Sally, annunciano con disinvoltura di aver deciso di separarsi. A tale notizia Judy reagisce istericamente, mentre Gabe è costernato. I Roth esaminano la propria unione, interrogandosi sulla frigidità di Judy e sulla fedeltà di Gabe, il quale, pur non avendo mai tradito veramente la moglie, ha un flirt con una allieva ventunenne, Rain, entusiasta di lui. Mentre Jack va a vivere con Sam, una giovanissima insegnante di aerobica, Sally è abbattuta e i Roth cercano di confortarla, finchè Judy la spinge fra le braccia di un suo affascinante collega, Michael, col quale la donna inizia un rapporto sessuale, più che altro per ripicca. Intanto anche i Roth sono in crisi, e decidono di separarsi, dopo che Judy ha rifiutato di avere dal marito quel figlio che prima era lui a rifiutare. Ora è Judy a far leggere a Michael, di cui si sta innamorando, le sue poesie, che non aveva mai mostrato al marito. Poi Rain dimentica in un taxi l'unica copia del manoscritto del romanzo di Gabe, che viene ritrovato, ma intanto la ragazza ha fatto al suo maestro acide critiche sull'opera, deludendolo, e inoltre egli ha scoperto che Rain ha avuto legami con altri uomini maturi, perfino con un amico di suo padre, pur avendo però un "ragazzo". Gabe non ha mai spinto i loro rapporti oltre un bacio appassionato nel giorno del 21º compleanno della ragazza, accompagnandolo col romantico dono di un carillon. Intanto Jack e Sally tornano a vivere insieme, la donna respinge Michael, che viene consolato da Judy, ormai innamorata di lui. I Roth si separano, e Judy e Michael si sposano. Sally e Jack sembrano soddisfatti anche se i loro problemi sessuali non sono risolti: l'importante è invecchiare insieme. Gabe è rimasto solo: il matrimonio con Judy è finito, il legame con Rain è sciolto. Egli si rende conto di aver sciupato tutto; vive solo e lavora: non vuole più soffrire e far soffrire. Sta scrivendo un altro romanzo, meno confessione del precedente, ma più politico.

Critica 1:Questo amaro film di Woody Allen presenta temi già da lui più volte trattati: i problemi e le crisi di coppia; l'amore, il sesso, gli scambi di partner, l'atmosfera aberrante delle grandi città moderne; la mancanza di assoluta di veri sentimenti fra i personaggi. Ma, se altre volte questo autore aveva creato dei capolavori sugli stessi argomenti, stavolta egli appare ripetitivo e monocorde: sembra che egli manovri dei pupazzi vuoti, dei mostri di egoismo, che parlano o tacciono, ma restano burattini. Si può notare che la evidente e costante scontentezza dei personaggi è un chiaro sintomo del loro fallimento, dei loro errori, ma è un elencare solo indiretto. Infatti per il resto è inaccettabile. Apprezzabile la fotografia di Carlo Di Palma coi suoi toni dorati, aderenti ai personaggi sono tutti gli attori: Mia Farrow (Judy), Sally Davis (Sally), lo stesso Allen (Gabe), e il regista Sydney Pollack, che interpreta il ruolo di Jack.
Autore critica:
Fonte criticaSegnalazioni Cinematografiche
Data critica:



Critica 2:Un televisore con vecchie immagini di Albert Einstein, intanto una voce fuori campo ricorda la sua frase celeberrima «Dio non gioca a dadi con l'universo»: così inizia Mariti e mogli. L'inquadratura è poco accurata, tremolante. Ha l'aria d'esser casuale. «Forse non a dadi - commenta Gabe, su cui si sposta la macchina da presa con un breve movimento verso destra -, ma certo Dio gioca almeno a rimpiattino.» Subito, imprevedibile e nervoso, l'obiettivo si mette a rincorrere Gabe e Judy: li cerca da un capo all'altro di una stanza, evita pareti e colonne, li rintraccia in un corridoio, dietro una porta. Arrivato su un volto, ci si sofferma ansimante e curioso, lo "tiene", lo scruta. Ma non può evitare d'essere fulmineamente attratto dall'altro, dalla sua voce, dalla sua presenza. E allora di nuovo parte l'affanno della ricerca. Sul set, dietro l'operatore, stava Carlo Di Palma, direttore della fotografia: lo guidava, ne dirigeva lo sguardo. Nessuna (apparente) preoccupazione tecnica. Nessun controllo della stabilità della ripresa. Anzi, quel che si voleva ottenere era una parvenza di improvvisazione, di contemporaneità ingenua e amatoriale tra vicenda e scelta di inquadratura. Il risultato? La macchina da presa è essa stessa un personaggio di Mariti e mogli: soffre le emozioni degli altri personaggi, se ne lascia sopraffare, si rivolge a loro per interrogarli con primi piani incombenti. La sua soggettività e la sua emotività ci si rivelano attraverso la voluta, insistita inadeguatezza tecnica.
Qualcuno ha parlato di stile documentaristico e oggettivo, come per Zelig (1984): non dategli proprio retta. Come da tempo accade nei suoi film Woody Allen stempera i contorni e il ruolo del proprio personaggio, della propria maschera. Le sue nevrosi restano, ma perdono centralità narrativa. Ne viene così una comicità più attenuata, talvolta addirittura marginale, ma in compenso più sottile. «Perché non scrive più quelle storielle così divertenti?», si fa chiedere Gabe-Woody dalla madre di Rain. Un modo indiretto per prendersi gioco di chi, da lui, si aspetta più conferme che novità. Il centro di Mariti e mogli, dunque, è disperso e plurale. Gabe non è protagonista in misura maggiore di Judy, né Judy di Sally o Jack, di Rain o Michael. Se un centro comunque si vuole indicare nel film, quel centro è proprio l'occhio della macchina da presa, la sua soggettività, la sua emotività messa a confronto con quelle di Gabe, Judy, Sally, Jack, Rain Michael.
Il cinema di Allen è morale. Lo è non tanto per i suoi contenuti. Sarebbe moralistico, in questo caso. Lo è invece per la sua ricerca di un punto di vista esterno ai fatti, da cui appunto valutarli moralmente. Dopo Crimini e misfatti (1989), è in Mariti e mogli che questo riesce al meglio: il punto di vista morale (non moralistico) è conquistato proprio dall'occhio del cinema divenuto personaggio, ed è tenuto saldamente. Lo sguardo soggettivo della macchina da presa è triste e insieme dolce, come la luce dorata e calda della New York fotografata da Di Palma. Quello sguardo segue, anzi insegue gli altri personaggi: non per giudicarli, non per colpevolizzarli. Non esiste - non esiste più da tempo, nel cinema di Allen - la possibilità stessa di una oggettiva attribuzione di colpa. Gli uomini vivono in un universo indifferente(Crimini e misfatti, ancora). Il giudizio morale non è "fondato", non è assoluto. Non è moralistico, appunto. È invece un prodotto, molto umano, della partecipazione al dolore degli individui: è suscitato e reso legittimo da una sofferta comprensione della loro fragilità, della loro precarietà indifesa. Sally, frigida, fa e si fa del male con una specie di coazione distruttiva. Il marito Jack, in cerca di gratificazioni erotiche, s'illude di fuggire rifugiandosi in un amore riposante e stupido. Tornano insieme quando riconoscono l'inevitabilità del loro rapporto: accettano che ín esso la passione resti sconfitta, si rassegnano al grigio rassicurante della vita. Judy, apparentemente indifesa, "costruisce" la sua storia erotica e sentimentale. Un divorzio dopo l'altro, un matrimonio dopo l'altro, non lascia scampo ai suoi partner. Gabe, cinquantenne, vorrebbe tornare a sentire quel che non sente più. Ci prova con Rain, ventunenne e per questo ancora spavaldamente irrequieta, ma poi rimpiange la quieta dolcezza dell'amore perduto di Judy. Michael cerca il sentimento assoluto, definitivo, ma si lascia condurre per mano da un grande amore provvisorio all'altro. Chi è vittima e chi colpevole, in questo inconsapevole ferire e ferirsi? Inutile cercare la risposta nelle parole dei personaggi. Il film ne è pieno, ma su di esse prevale la compassione morale dell'occhio cinematografico, la sua passione con “Gabe”, Judy, Sally, Jack, Rain, Michael, come può condannarli quell'occhio, sapendo che anche con loro Dio gioca a rimpiattino?
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte critica:Il Sole-24 Ore
Data critica:



Critica 3:Judy Roth (Mia Farrow) è redattrice di moda, Gabe (Woody Allen) professore di letteratura e romanziere alle prime armi. Sposati da dieci anni, ricevono una sera la visita dei due loro migliori amici, Jack e Sally. Questi, con apparente disinvoltura, annunciano di volersi divorziare. La notizia, più che i diretti interessati, sembra mettere in crisi Judy e Gabe: nella forma di una serie di interviste dei vari personaggi, davanti all'occhio della cinepresa di un analista (spettatore) Mariti e mogli può allora incominciare.
Ed è come stappare una bottiglia: di spumante, più agro che dolce. La storia, che è tutta detta, i personaggi con le loro psicologie, i luoghi ed i tempi volano in mille pezzi. Come sezionati dal bisturi di un dissecatore, disintegrati in una proliferazione incontrollabile (in una delle tante intuizione espressive, come in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso, infiniti spermatozoi osservati al microscopio impazziscono attorno ad un ovulo), rivoltati da un pennello post-cubista individui, sentimenti, sfondi ed epoche diverse s'intrecciano e si organizzano magistralmente quanto faticosamente.
Situazioni, frasi, reazioni di un dramma minimalista e quotidiano com'è quello della crisi coniugale sono un argomento ben più banale di quelli affrontati dagli ultimi film di Woody Allen, Crimini e misfatti e Ombre e nebbia. Ma ecco che quella mancanza di cronologia degli avvenimenti, quel rifiuto di farne una storia ma piuttosto un campionario di comportamenti, fa si che quel mosaico d'istanti insignificanti si faccia subito esemplare. Universale: e non soltanto perché, nella sua banalità, ognuno di noi l'ha intravisto attraverso la porta socchiusa del vicino, se non proprio vissuto di persona.
Immediata, straordinaria, formidabile libertà di un linguaggio che sembra nascere all'istante, cogliendo all'improvviso i personaggi, seguendo d'istinto dove si svolge il dramma (o piuttosto la satira), senza preoccupazioni di sorta che non siano quelle di riferire, di capire, di soffrire come di divertire. La cinepresa è quella dell'intimo, come in certi super otto familiari, portati e spalla e ballonzolanti, con i personaggi inseguiti per i corridoi semi oscuri che ogni tanto si rivolgono alla cinepresa in un vagamente consapevole cinema-verità.
Ad un istante particolare della sua vita (e parliamo soltanto di quella artistica, per carità), Allen sembra far sua la lezione di Cassavetes e di Godard: "Ho sempre pensato che si perdesse un mucchio di tempo a costruire una specie di bellezza cinematografica. E mi sono detto: perché non realizzare un film nel quale il solo contenuto importasse? Si prende la cinepresa, si dimentica la dolly, si tiene la camera a spalla, e si filma come si può. Per farlo, occorre una certa dose d'esperienza, di fiducia in sé stesso. Quando realizzavo i miei primi film tendevo a proteggermi al massimo, ad evitare rischi ed errori. Con il tempo si può arrischiare di più, lasciarsi andare al proprio istinto."
Con una sola nota discordante (l'apparente disordine del film è in effetti una magistrale, possente impalcatura formale senza la quale sarebbe impossibile costruire quello che il regista chiama "il solo contenuto importante"...) le dichiarazioni di Woody Allen coincidono miracolosamente con le immagini di questo suo ultimo film, una volta ancora nuovo; e spalancato verso un futuro che indoviniamo eccitante (il passato sul quale si basa, essendo invece quello della costruzione corale di Hannah e le sue sorelle, più la libertà nelle riprese di Zelig).
Tutto ciò non sarebbe che fredda teoria: senza il tono, il tocco inimitabile di Woody. Non solo la freddezza, quasi cinica, che permette la battuta. Non solo la lucidità di una direzione d'attori assolutamente perfetta ("per me, Judy Davis è attualmente la più grande attrice al mondo"). O la leggerezza, quasi fatata dell'umorismo che permette di non scadere nel moralismo. Ma la complicità, l'intimità e l'affetto commovente per i suoi personaggi. E l'amarezza: che fa di questi suo personaggi, una volta ancora in preda alle loro turbe sentimentali e sessuali non soltanto degli oggetti di delicata, garbata ironia parodistica.
Disincantato e crudele, spassoso ed amaro, umile ed ambizioso, formidabilmente libero e innovativo nella carriera di un cineasta che pur ha sempre saputo voltar pagina come pochi,, Mariti e mogli è uno dei film più belli che Woody Allen abbia mai fatto.
Autore critica:Fabio Fumagalli
Fonte critica:rtsi.ch/filmselezione
Data critica:

15/12/1992

Libro da cui e' stato tratto il film
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