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Mio zio - Mon Oncle

Regia:Jacques Tati
Vietato:No
Video:Biblioteca DecentrataRosta Nuova, visionsbile solo in sede, in vendita distribuzione San Paolo Audiovisivi
DVD:
Genere:Commedia
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Jean L'Hote, Jacques Lagrange, Jacques Tati
Sceneggiatura:Jean L'Hote, Jacques Lagrange, Jacques Tati
Fotografia:Jean Bourgoin
Musiche:Frank Barcellini, Norbert Glanzberg, Alain Romans
Montaggio:Suzanne Baron
Scenografia:Henri Schmitt
Costumi:Jacques Cottin
Effetti:
Interpreti:Jacques Tati (M. Hulot), Jean Pierre Zola (Signor Arpel), Adrienne Servantie (Signora Arpel), Lucien Fregis (Pichard), Alain Becourt (Gerard Arpel), Jean Francois Martial (Walter)
Produzione:Film Del Centauro - Specta Films - Gray-Film - Alter Film
Distribuzione: Zari
Origine:Francia, Italia
Anno:1958
Durata:

120'

Trama:

Al centro di un quartiere moderno sorge la villa ultramoderna e imponente del signor Arpel, che vi abita con la moglie ed un figliolo. Il signor Arpel, ricco industriale, Presidente della società "Pastac" è il perfetto tipo del borghese, che la posizione e l'agiatezza rendono importante. La sua esistenza perfettamente ordinata sarebbe ammissibile se gli lasciasse la possibilità di abbandonare, almeno un istante, i problemi connessi con la sua attività d'industriale, per dedicarsi a quelli più semplici, creati dalla vitalità di Gèrard, il suo figliolo di nove anni. Anche la mamma, la signora Arpel, trascura il bambino perchè il suo tempo e le sue energie sono dedicati completamente al compito di mettere in ordine e pulire continuamente e perfettamente la casa. In questo ambiente di perfezione fa delle frequenti apparizioni il fratello della signora Arpel, lo zio Hulot, per il quale Gèrard mostra una predilezione, che desta la gelosia del signor Arpel. Lo zio Hulot è molto differente dai coniugi Arpel: egli vive con grande semplicità e quando viene a cercare Gèrard, il piccolo ne è felice, perchè sa che lo zio lo farà uscire dalla monotonia della sua vita, dove tutto è previsto e tutto si ripete automaticamente. Per sottrarre Gèrard all'influenza di questo zio così poco conformista, il signor Arpel dà a Hulot un posto nella sua industria, mentre la signora Arpel pensa di dargli in moglie una sua vicina. Ma questi tentativi non hanno il successo sperato. Il signor Arpel prende allora una decisione radicale: Hulot sarà un rappresentante della società all'estero. Così Hulot deve partire; tutta la famiglia lo accompagna alla stazione. Gli addii sono rapidi, ma uscendo dalla stazione il signor Arpel inconsciamente ritrova l'attitudine familiare di Hulot verso Gèrard. Egli ha compreso finalmente l'importanza dei sentimenti e dei gesti naturali e semplici, ha scoperto il segreto dello zio Hulot.

Critica 1:Gli Arpel vivono in una villa ultramoderna, dotata di tutti i conforti elettromagnetici. Il loro figlio Gérard di nove anni preferisce ai genitori M. Hulot, lo zio materno, scapolo spensierato che abita in un quartiere popolare. 3° lungometraggio di J. Tati e primo a colori, è fondato sulla contrapposizione di due mondi in cui l'autore riesce a conciliare il comico di osservazione con il burlesque attraverso una serie di invenzioni buffe che, pur sfiorando il surreale, hanno le radici in una plausibile quotidianità. "Per Tati soltanto il poeta e il bambino, grazie alla loro spontaneità, possono salvare la nostra società dalla disumanizzazione che nasce dalla standardizzazione" (Guy Bellinger). Se si tiene conto delle date, bisogna riconoscere che, anticipatore degli ecologisti, Tati diceva con garbo cose che non erano molto comuni alla fine degli anni '50. Oscar: per il miglior film straniero.
Autore critica:
Fonte criticaKataweb Cinema
Data critica:



Critica 2:A ben guardare, bisognerà convenire che, con Mon oncle, molte cose sono cambiate nel cinema del nostro autore. È cambiato, lo abbiamo detto, il sistema delle relazioni interne del film, divenute piú rigorose, pur senza farsi mai meccaniche. Non vi è nulla, nell'impianto di Mon oncle, che sia casuale; lo stesso intervento del caso è rigorosamente calcolato. È cambiata, in qualche modo, la qualità della materia filmica, compiendo un ulteriore passo nel senso della ricerca di realismo. Piú ancora che in Les vacances l'osservazione del mondo è precisa, ineccepibile. Una realtà quotidiana, quasi statistica, entra nell'universo del film. Il ritmo ricalca pressoché quello della vita reale, tenta di mettersi in comunicazione con lo scorrere del tempo e con il fenomeno. Contemporaneamente, si affinano le facoltà di decantazione che il regista esercita sulla propria materia. «Partito dal comico di osservazione, Tati raggiunge dunque il fantastico puro, e ciò senza ricorrere mai al trucco, né all'antropomorfismo» (C. Beylie, La pesanteur et la grate, «Cahiers du Cinéma» n. 84, giugno 1958). In qualche occasione, Mon oncle arriva addirittura ad una fissità fantastica, estatica (le finestre di casa Arpel come "occhi" illuminati nella notte). Accurata semplificazione dello schema, materia coordinata e unitaria, realismo, poteri di trasfigurazione a partire dal dato concreto partecipano alla creazione di un piacere di ordine intellettuale. Il risultato è notevolissimo e non vale a offuscarlo il lieve sospetto che il meccanismo sia un po' troppo a punto, l'episodica impressione che la materia sia stata elaborata un attimo oltre il necessario.
Subisce un'evoluzione anche la qualità del comico. Comico del quotidiano di un'obiettività quasi assoluta, quello di Mon oncle cresce sopra fatti assolutamente plausibili, che possono accadere a chiunque. La ricchezza del comico di osservazione è ormai inesauribile e assorbe in sé la nota insolita dei gags e di quel gag vivente che è il personaggio di Hulot. Il riso non muove mai dal paradosso, bensí dalla constatazione. In nessun caso si ride "contro". La stessa polemica nei confronti dei "modernisti" non è altro che insofferenza dei loro riflessi condizionati, libera scelta di un mondo di vecchi bambini (il quartiere di Hulot) e rifiuto di un mondo di robot (il quartiere nuovo). Quello di Mon oncle è un comico «leggero, dolce, poetico, un comico infinitamente piú vicino a Cechov che a Chaplin o a Feydeau» (Denis Vincent, «L'Express», 15 maggio 1958). Ogni discontinuità tra comico di osservazione e burlesque (se di burlesque si può ancora parlare) è ormai cancellata. Tati, infatti, non deforma nessuna delle situazioni che presenta allo spettatore, limitandosi a "sistemarle" in modo tale che sia possibile coglierle. Perduto ogni minimo indizio di iperbole, il gag è definitivamente umanizzato, rimuovendo finanche il ricordo del carattere ellittico e meccanico fattosi canone dopo Mack Sennett.
Delicato, allusivo, non di rado smorzato e lasciato sospeso, il gag diviene qualcosa di insolito, che può toccare i limiti del surreale. Si pensi al gag del canto del canarino. Quando Hulot muove la propria finestra, invariabilmente l'uccellino si mette a cinguettare. Il gag ha fin qui un carattere di nonsenso che lo inserisce, in qualche modo, nella categoria del burlesque. Ma quando Tati ci svela la relazione di causa-effetto tra l'azione di Hulot e il canto (il riflesso del sole che compare nel vetro della finestra e raggiunge il canarino in gabbia), il gag assume una fisionomia assolutamente inedita.
Di certo, ciò che interessa sempre piú Tati è la meccanica del gag, da li ritenuta ben piú importante del suo contenuto. Adottando un'espressione di Cauliez, diremo che l'attenzione del regista è occupata soprattutto dalla «messa in scena di un dispositivo comico». Con Mon oncle assume un'importanza del tutto privilegiata un modello di gag che vorremmo denominare «gag dilazionato» o «gag a piú tempi». Da siffatta struttura Tati intende ricavare il massimo dell'aderenza del gag al reale, quale esso si offre alla nostra normale esperienza. Tenta, in una parola, di determinare come una situazione semi-paradossale troverebbe svolgimento nella realtà. (…)
Al variare dell'organizzazione narrativa del film, che acquista maggiore fluidità e omogeneità, al rinnovarsi della qualità del comico, vieppiú realistico e, insieme, surreale, si accompagna una parallela evoluzione del personaggio Hulot. Per la verità, alcuni tratti di "carattere" riscontrati nel film precedente non fanno che precisarsi. Venuta a mancare la situazione privilegiata delle vacanze, Hulot rivela che lo "spirito dell'infanzia" non è per lui una piacevole evasione dal quotidiano, bensí uno stato assolutamente normale. Egli è un bambino cresciuto troppo in fretta, un eterno adolescente in bilico tra il gioco e la vie de bohème. Ciò spiega l'affinità che lo lega a Gérard. Sano fino alla stravaganza, Hulot non rispetta le convenienze per il semplice motivo che le ignora e si istituisce, ancora una volta, come polemica vivente nei confronti del mondo circostante. Ma queste non sono che conferme di quanto già sapevamo. Eppure, molto è cambiato anche in Hulot. Coerentemente con i propositi espressi da Tati, il personaggio va infatti cancellandosi sempre piú dal film. In Les vacances accadeva, talvolta, di vedere meno Hulot che non le tracce del suo passaggio. Con Mon oncle, quelli di Hulot sono semplici "interventi" in un universo che potrebbe vivere anche senza di lui. Perduta la nota di picaresco di Les vacances, lasciatosi dietro le spalle ogni tratto caricaturale, il simpatico Monsieur è diventato un uomo "vero", un po' stravagante, d'accordo, ma diversissimo dall'eroe negativo sintetico del vecchio cinema comico. La sua partecipazione non è strettamente necessaria perché i gags si producano. Le situazioni comiche nascono spesso senza il suo aiuto e non di rado in sua assenza. In Mon oncle non si ride piú ad opera di un personaggio catalizzatore, ma a causa di un microcosmo in cui tale personaggio gravita, primus inter pares, assieme ad altri. Al limite, l'eroe comico potrebbe sparire (il che accadrà, quasi totalmente, in Playtime), se l'autore non avesse ancora bisogno di lui come di un nucleo capace di far cristallizzare l'opera. L'intenzione della rinuncia alla sua presenza accentratrice è comunque tanto evidente da ingenerare, in qualche momento, il sospetto che l'Hulot di Mon oncle resti perfino troppo neutro, troppo abbozzato, quasi ridotto a un sottile arabesco. Egli non parla, non si mostra, non approfitta delle situazioni: è semplicemente presente. E tuttavia, ritto sul suo ciclomotore o personificazione del contrasto con il mondo tecnologico (nelle visite a casa Arpel), Hulot-Tari è ancora una silhouette sorprendente.
Autore critica:Roberto Nepoti
Fonte critica:Jacques Tati, Il Castoro Cinema
Data critica:

10/1978

Critica 3:
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