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Interiors - Interiors

Regia:Woody Allen
Vietato:No
Video:Warner Home Video, Mgm Home Entertainment (Gli Scudi)
DVD:Mgm Home Entertainment
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Woody Allen
Sceneggiatura:Woody Allen
Fotografia:Gordon Willis
Musiche:Tommy Dorsey
Montaggio:Ralph Rosenblum
Scenografia:Mel Bourne
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Kristin Griffith (Flyn), Missy Hope (Joey da giovane), Mary Beth Hurt (Joey), Richard Jordan (Frederick), Diane Keaton (Renata), E.G. Marshall (Arthur), Roger Morden (Arthur da giovane), Geraldine Page (Eve), Maureen Stapheton (Pearl), Sam Waterston (Mike)
Produzione:Jack Rollins, Charles H. Joffe per la United Artists
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1978
Durata:

91’

Trama:

La distinta famiglia americana dell'industriale Arthur è composta dalla moglie Eva e dalle figlie Joey, Renata e Flyn. Joey, la preferita dal padre e la più attaccata alla madre, è perennemente incerta; convive con Mike ma non si decide a sposarlo, persino quando s'avvede d'essere incinta; inoltre passa da un impiego all'altro, sognando invano di esprimersi attraverso la fotografia artistica per emulare Renata. Questa, infatti, è scrittrice affermata sino a dare fastidi al marito Frederick, a sua volta scrittore; i due hanno una figlioletta, Corey. Flyn, la più giovane delle tre figlie di Eva e Arthur, sembra la più distaccata poiché, attrice a Hollywood, compare fugacemente in famiglia e non risente dell'atmosfera che diviene sempre più pesante. La signora Eva, infatti, da sempre ipertesa, portata dalla sua sensibilità di arredatrice all'ipercritica e alla pignoleria, cade in uno stato di forte esaurimento nervoso e inizia il suo peregrinare dalla famiglia alle cliniche. In un momento in cui Eva sembrerebbe tranquilla e le figlie ormai autonome e sistemate, Arthur chiede una separazione sperimentale. Eva reagisce tentando il suicidio con il gas. Riordinate le cose, Arthur chiede il divorzio e sposa l'insignificante Pearl. Eva, raggiunta inopinatamente la casa dove i suoi hanno festeggiato l'avvenimento, nella notte trova la morte nell'oceano. Joey, l'unica che ha intuito il suicidio e ha tentato di salvare la mamma, viene a stento salvata da Pearl e Mike.

Critica 1:Una ricca famiglia entra in crisi quando il babbo annuncia la sua decisione di andarsene di casa. La separazione provvisoria diventa poi una fuga (con matrimonio) provocando la depressione della moglie e il dolore delle tre figlie. È un film sulla deformazione delle emozioni, su persone incapaci di avere un contatto sano con i propri sentimenti. Un dramma psicologico (i cui numi tutelari sono Bergman e Cechov) con attrici eccelse, tra cui spicca M. Stapleton, nominata agli Oscar con G. Page e W. Allen (sceneggiatura, regia).
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) Se si potesse riassumere con una parola la complessità di significati ed emozioni che un film porta in sé, la parola giusta per Interiors sarebbe forse «rarefazione»; o meglio, sarebbe la parola che più di altre congloba la nitidissima corrispondenza che nel film esiste tra il narrato e lo stile: da una parte una storia di tante sconfitte, insoddisfazioni e incapacità esistenziali la quale, nonostante la sua oggettiva drammaticità, non sfocia mai nell'esplosione tragica. Anche il suicidio è una dignitosa e sterile dichiarazione di impotenza. Dall'altra, uno stile che, anche nei momenti delle confessioni intime davanti allo specchio, si contiene con rigorosa autodeterminazione, mantenendosi sempre al di sotto di qualsiasi esplosione tonale. Non ci sono pianti, lacerazioni intime, scatti isterici ai quali venga concessa una scansione narrativa capace di trascinare nella propria spirale sentimentale lo spettatore. Specchio dei personaggi, il film cela e controlla le proprie emozioni.
Da qui ad accusare il film di non essere altro che una fredda e ingenua esercitazione su immagini bergamiane il passo è breve. Che Bergman c'entri, e tanto, nella composizione figurativa è evidente e dichiarato apertamente, inquadratura dopo inquadratura, dall'autore stesso. Di Bergman manca la passionalità straziante e sopra le righe che, almeno da Sussurri e grida in poi, ha lacerato il suo rigore analitico. E spesso freddezza è una brutta parola di valenza negativa che si sovrappone ad altre quali pudore, timidezza, dignità, o anche incapacità o impossibilità a trascinare gli altri in un universo di desolazione che è tutto interiore.
Sopra la crisi della famiglia e della coppia borghese, sopra la sterilità del ruolo dell'intellettuale, sopra l'incapacità, non solo a realizzarsi, ma a scoprire i modi della propria autorealizzazione, per Woody Allen, il comico, c'è la solitudine totale e non comunicante dell'individuo. Allen ha semplicemente espresso qui in termini razionalizzati (e quindi necessariamente drammatici) l'inevitabile conclusione cui giungono tutti gli altri suoi film: tra Allan Felix che confusamente intuisce di poter contare solo sull'amicizia di Bogart, Boris Grusenko razionale e critico ma non al punto di non farsi ingannare dall'ultimo mito, Alvy Singer e Annie Hall che accettano consapevolmente di non potersi aiutare, e tutti i personaggi di Interiors esiste un'unica differenza. In questo film tutto è già successo, e, per questo, probabilmente, esso ha preso forma drammatica in tutti gli altri film conoscevamo anche la successione dei momenti felici, l'incontro, l'euforia, gli sforzi a far rientrare le tensioni; qui siamo posti subito dinanzi a precisi dati di dissoluzione, agli stati d'animo di persone che hanno già capito, nonostante formalmente riproducano lo stanco cliché del vivere in coppia, di essere sole con le proprie irrealizzazioni e i propri fantasmi. E la solitudine si traduce nell'andamento monologante del film, dove, accanto ai lunghi a solo davanti alla macchina da presa (un artificio narrante che Allen ha sempre utilizzato in prima persona nelle opere comiche), gli interminabili dialoghi sono, più che scambi, constatazioni di impotenza comunicativa. Ognuno racconta a se stesso le proprie angosce e rimane solo nel proprio scorcio di paesaggio o di interno.
La freddezza si svela quindi come lucidissima adesione alla fragilità della materia narrata, come costante controllo affinchè non venga snaturato in senso melodrammatico o patetico uno stato emozionale per propria essenza meditativo. Davanti a tale dichiarazione di sconforto totale diventa abbastanza superfluo anche sul significato da attribuire alla figura e alla vitalità di Pearl; Pearl è «altro», ce lo dice, più delle sue parole, il rosso che indossa, ma ciò non significa che necessariamente debba essere spontaneità di vita contrapposta a una classe morente; chiassosa come le molte madri ebree di Allen, Pearl è una scelta diversa, probabilmente non felice, certamente niente affatto ingenua e spontaneistica, come possiamo «leggere» nella intensissima e (anche questa) controllatissima interpretazione di Maureen Stapleton. Sul suo personaggio il film all'apparenza si distende, ricreando le atmosfere di commedia tipiche di Allen; ma solo all'apparenza, dal momento che Pearl ha insita la carica tragica del diverso coinvolto in interazioni ostili o comunque critiche. Insieme a Joey è la proiezione più palese di alcuni dei tratti caratterizzanti il personaggio ricorrentemente impersonato dallo stesso Allen, ed è anche il personaggio del film che meglio dimostra come non esista soluzione di continuità tra comicità e dramma (e in questo senso è indicativo il progressivo inasprimento di tono che un montaggio esemplare imprime alla sequenza del ricevimento di nozze): il comico non è niente altro che la raffigurazione più esasperatamente autocritica e razionale del tema della solitudine.
Autore critica:Emanuela Martini
Fonte critica:Cineforum n. 186
Data critica:

8/1979

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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