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Uomo di marmo (L') - Czlowiek Z Marmuru

Regia:Andrzej Wajda
Vietato:No
Video:General Video, San Paolo Audiovisivi
DVD:
Genere:Drammatico - Sociale
Tipologia:Il lavoro
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Aleksander Scibor-Rylski
Sceneggiatura:Aleksander Scibor-Rylski, Andrzej Wajda
Fotografia:Edward Kosinski
Musiche:Andrzei Korzynski
Montaggio:Halina Pugarowa
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Piotr Cieslak (Michalak), Jacek domansi(tecnico del suono), Wieslaw Drzewicz (proprietario caffe'), Krystyna Janda (Agnieszka), Kazimiers Kaczor (il colonnello), Zdzislaw Kozien (padre di Agnieszka), Jacek Lomnicki (Burski giovane), Tadeusz Lomnicki (Burski adulto), Jerzy Radziwilowicz (Tadeusz Birkut), Michal Tarkowski (Witek), Wieslaw Woicik (Jodla), Magda Teresa Wojcik (Elena), Krystyna Zachwatowicz (Hanka Tomczyk), Leonard Zajaczkowski (l’operatore)
Produzione:Collettivo X Per Film Polski
Distribuzione:Cineteca del Friuli - Zari Film
Origine:Polonia
Anno:1976
Durata:

160’

Trama:

Agnieszka, una giovane cineasta polacca, per il suo primo lungometraggio da presentare come saggio di fine corso decide di elaborare una sorta di biografia, composta di spezzoni d'archivio e di interviste filmate. La aspirante regista lavora accompagnata da Leonard, un anziano operatore, e da Jacek, il tecnico del suono: per l'uso del materiale di repertorio trova una amica in Elena. Decisa a indagare su di un eroe del lavoro, la cineasta si interessa di Tadeusz Birkut, uno stakanovista in auge negli anni '50, in seguito messo in disparte, processato e condannato, in fine riabilitato. Per meglio conoscere i segreti di questi alti e bassi, Agnieszka intervista Burski, un regista affermato, e scopre che il famoso episodio in cui Birkut ha con la propria squadra messo in opera 30.509 mattoni, è stato una trovata dello stesso regista allora alla caccia di una propria affermazione. Poi da un funzionario politico viene a sapere delle tragiche vicende subite dal divo del lavoro a causa dell'amico traditore Witek. Da questi, ora riabilitato e capo di una gigantesca industria, viene a conoscere altri particolari. Gli ultimi incontri di Agnieszka sono con Hanka Tomczyk, ex moglie di Birkut, e con il figlio dello stesso che, operaio in un cantiere di Danzica, le dice che il padre è ormai morto.

Critica 1:Da una sceneggiatura di Aleksander Scibor-Rylski, A. Wajda ha tratto un grande, lucido, appassionato film realista, fondato sulla razionalità dell'analisi ma anche sull'onestà e la passionalità dell'approccio, ritmato sul passo della sua protagonista: svelto, energico, aggressivo, persino nevrotico. Animato da una forte dialettica critica tra passato e presente, paragonabile nell'impianto narrativo a Quarto potere di Welles, sapiente nella contaminazione dei materiali audiovisivi e nella mimesi del giornalismo televisivo, è uno dei rari film in cui il personaggio del narratore-investigatore diventa una presenza vitale. Il personaggio di Agnieszka (K. Janda) ha una vibrazione che s'irradia su tutto il film. Nonostante i tentativi di sabotarne la distribuzione, fu visto in Polonia da quasi 3 milioni di spettatori.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:L'invenzione del cinema ha comportato, nel corso del secolo XX, una progressiva e irreversibile mutazione nei modi di tramandare e di diffondere la conoscenza delle vicende storiche, e contemporaneamente ha contribuito a divulgare a livello di massa una «consistenza» visiva del fatto storico completamente diversa da quella, orale o scritta, dei secoli scorsi. (…) E in continuo ampliamento un immenso deposito di immagini in cui storia e cronaca si confondono, finendo col non riconoscersi più e col dare origine a una nuova configurazione: l'informazione, la ricostruzione per immagini come spettacolo. Mai prima d'ora i governi si erano trovati tra le mani un simile strumento di costruzione del consenso: l'illusione di realtà che dà l'immagine cinematografica ha un potere di convinzione e di identificazione che mille parole dello scrittore più abile non possono sviluppare. È necessario dunque, da parte di chi gestisce il potere, un controllo continuo su quanto sia da ufficializzare sottoponendolo alla visione del pubblico e quanto sia invece da scartare, da rimuovere e lasciare negli archivi: l'immagine di realtà che passa attraverso il tramite affascinante dell'informazione/spettacolo deve risultare il più possibile conforme a quella che le valutazioni di vertice ritengono adatta ad ottenere consenso attivo da parte dell'insieme dei cittadini nei confronti dei modelli di comportamento e della politica interna ed estera sviluppati dal sistema esistente. Wajda nel suo film, attraverso il personaggio di Agnieszka, prendendo atto di questa divisione tra storia ufficiale e storia rimossa, decide di interessarsi alla seconda, ritenendo giustamente che in questa si trovano gli elementi più adatti a comprendere cause e conseguenze di quel fenomeno che l'apparato dei media presenta come metafisici e indolori, sempre rivolti al bene della Nazione e del Popolo e quindi da accettare senza riserve. Come prima conseguenza di questa presa di posizione, Wajda decide di occuparsi, nel film, della classe operaia, ossia di quella parte della società che, a quan-to pare, nei paesi dell'Europa Orientale è stata considerata fino ad ora, paradossalmente, irrappresentabile: «L'uomo di marmo è uno dei rari film socialisti in cui il protagonista è un operaio; non è un personaggio amato dai nostri realizzatori. Di solito i protagonisti sono conti, re... Sì è la nostra specialità. Dei paesi socialisti.» (dall'intervista a A. Wajda, a cura di Davide Ferrario, su Cineforum n. 183). Wajda ha dunque voluto fare un film nel quale un operaio si dimostri protagonista consapevole della storia del proprio Paese; ma nella realizzazione di questo progetto occorreva scontrarsi con l'immagine dell'operaio santificata non nei film commerciali, a soggetto, ma nei film «documentari» realizzati secondo fini propagandistici nel periodo in cui l'appello alla piena utilizzazione della forza lavoro strettamente fisica era ancora assolutamente indispensabile. A questo livello della distinzione si rivela funzionale il personaggio della giovane regista Agnieszka, a cui non interessano film come Essi costruiscono la nostra felicità, ma piuttosto tutto quel materiale, scartato per motivi «tecnici», da cui con evidenza scaturisce l'immagine di una classe operaia consapevole del proprio ruolo e dei propri diritti; pronta a reagire ai soprusi del potere con la forza della ragione e dell'ironia, di fronte alle quali quello non può fare altro che rispondere con la repressione; pronta a dimostrare la propria presenza nei momenti ufficiali come quello delle elezioni, in dimostrazione che la propria lotta non è diretta al sabotaggio della costruzione del socialismo in atto, ma, al contrario, ad affermare la propria insostituibilità in ogni momento di questo processo storico. Birkut è il rappresentante esemplare di questa classe operaia, che Wajda ha scelto di mostrare; un campione del lavoro motivato non da desideri di arrivismo o di scalata sociale, ma dal desiderio di lavorare perchè «così tutti avranno una casa», una persona il cui entusiasmo non verrà abbattuto nè dall'attentato rivolto (verosimilmente da un muratore come lui) alla sua persona, nè dalla sempre maggiore consapevolezza di dovere fare i conti con una struttura di potere burocratica e accentratrice che finirà col rivolgere anche su di lui la propria repressione. Birkut è un operaio scomodo per il potere, proprio perchè consapevole di essere operaio e quindi di avere diritto di parola e di intervento critico all'interno di un sistema che si vuole socialista: non desidera «pietà o compassione», ma il riconoscimento della necessità della propria partecipazione, della responsabilità sua e della sua classe nel tentativo in corso. Quando la macchina dell'informazione/spettacolo prende possesso della sua persona, così come quando il meccanismo repressivo lo costringe alla segregazione e al silenzio, Birkut in realtà si contrappone in ambedue le occasioni a coloro che credono di averlo in pugno, perchè la coscienza della propria maturità storica ne fa sempre e comunque un antagonista irriducibile ad ogni strumento usato dal potere per consolidare lo status quo.
Ed è questa sua irriducibilità a fargli rifiutare, dopo la liberazione, la scalata ad una nuova carriera sociale ed economica che molti, anche i suoi compagni di lotta e di galera, si apprestano individualisticamente e con successo ad intraprendere, preferendo andare in cerca della propria compagna e rifondare un rapporto che le interferenze della ragion di stato avevano interrotto. Che è come affermare che il socialismo è innanzitutto una questione di relazioni rimodellate tra le persone, e che senza l'impegno di questo senso non vale a nulla battersi per un continuo miglioramento delle condizioni di vita. Infatti, di fronte al rifiuto di Hanka, Birkut sceglie la condizione di operaio, non più come luminoso esempio di impegno stakanovista, ma come rappresentante della propria classe in mezzo a tanti che, come lui, costituiscono l'unica forza capace di costruire la storia del Paese e del socialismo. Wajda non ci dice nulla delle vicende personali di Birkut nel corso degli anni Sessanta: ma con pochi tratti ci informa della sua morte, verosimilmente avvenuta nel corso della rivolta operaia di Danzica, ossia nell'ennesimo tentativo di riaffermare I'irrinunciabilità al contributo della presenza operaia nella storia della Polonia. Un risultato importante, che Agnieszka ottiene attraverso la propria ricerca, consiste nel mostrare non tanto la permanenza dello stalinismo come metodo di gestione nell'attuale sistema polacco, quanto un legame stretto tra stalinismo e qualunquismo, come modelli di comportamento che finiscono col regolare i rapporti politici e professionali solo perchè trovano spazio di crescita in un'etica individualistica basata su valori e leggi finalizzati al soddisfacimento del semplice interesse personale. Se Burski dà sostegno con la propria iniziativa all'ideologia stakanovista solamente per procurarsi una prima notorietà personale che gli permetta ulteriori passi avanti nella carriera a cui non vuole rinunciare, è facile supporre che anche il segretario di partito che appoggia la sua idea lo faccia nella speranza di buone conseguenze anche per il proprio ruolo politico. Lo stalinismo ire tutte le sue applicazioni sem-bra dunque rivelarsi un ottimo brodo di coltura per arrivismi e calcoli personali di origine squisitamente capitalistica. In questo senso si può parlare di stalinismo come fantasma strisciante che fa perdurare la propria influenza fin all'oggi, su persone che, a prima vista, dovrebbero essere troppo giovani per avervi consumato la propria educazione personale; parlo del giovane dirigente della Televisione e dell'impiegata del Museo, naturalmente, che si affidano ciecamente alla regola e alla consuetudine, intenzionati semplicemente a difendere la propria tranquillità personale e professionale, esattamente allo stesso modo di tanti altri loro colleghi occidentali.
Se si parla di eroismo per Birkut e Agnieszka, lo si deve fare allora non tanto in relazione allo stalinismo, inteso come deformazione ideologica e politica onnicomprensiva di una prassi socialita «pura» che si sia verificata all'interno di un delimitato sistema socio-economico, quanto a quella forma di comportamento ben più generale, e che interessa da vicino anche chi si metta ad analizzare quella particolare visione del mondo fiorente nella realtà capitalistica e rispondente alla defnizione
di qualunquismo e caratterizzata da apoliticità, cinismo, attenzione solamente al proprio tornaconto personale, amor di quiete, opportunismo.
È davvero il caso di parlare di ottimismo, a proposito di questo film di Wajda, quando vediamo che Agnieszka riesce alla fine a spuntarla contro un avversario così ostinato e radicato nella falsa coscienza dei propri contemporanei. Una scelta; calcolata, questa di Wajda, diretta a smuovere la staticità che egli afferma esistere nelle giovani generazioni polacche, incapaci di reagire in prima persona alla nevrosi generata dall'eredità storica lasciata loro dai propri padri protagonisti delle vicende degli anni Cinquanta. Ottimismo romantico, ricerca ostinata e lucida di un aggancio decisivo tra il proprio lavoro intellettuale e i bisogni del proprio popolo: rifiutando di ritenersi, e di farsi definire, un dissidente, Wajda combatte con la propria intelligenza una battaglia dalla quale anche in Occidente c'è molto da imparare.
Autore critica:Adriano Piccardi
Fonte critica:Cineforum n.186
Data critica:

8/1979

Critica 3:
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