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Bambino col pigiama a righe (Il) - The boy in the striped pyjamas

Regia:Mark Herman
Vietato:No
Video:
DVD:Disney St. Home International
Genere:Drammatico
Tipologia:Conflitti sociali, Diritti umani - La politica e i diritti, Giovani in famiglia, La memoria del XX secolo, Letterature altre - 900, Razzismo e antirazzismo
Eta' consigliata:Scuole elementari; Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:dal romanzo omonimo di John Boyne
Sceneggiatura:Mark Herman
Fotografia:Benoît Delhomme
Musiche:James Corner
Montaggio:Michael Ellis
Scenografia:Martin Childs
Costumi:Natalie Ward
Effetti:Michael Bruce Ellis
Interpreti:: Asa Butterfield (Bruno), Jack Scanlon (Shmuel), Amber Beattie (Gretel), David Thewlis (padre),
Vera Farmiga (madre), Richard Johnson (nonno), Sheila Hancock (nonna), Rupert Friend (Tenente Kotler), David Hayman (Pavel), Jim Norton (Herr Liszt), Cara Horgan (Maria)
Produzione:Heyday Films-Miramax Films-Bbc Films
Distribuzione:Walt Disney Studios Motion Pictures, Italia
Origine:Gran Bretagna-Usa
Anno:2008
Durata:

100’

Trama:

Germania, anni '40. Bruno è un tranquillo bambino di otto anni che vive con la sua famiglia a Berlino. Quando suo padre, un ufficiale nazista molto apprezzato dai superiori, viene promosso con un nuovo incarico, Bruno, con suo grande disappunto, è costretto a trasferirsi con la famiglia in una desolata zona di campagna. Giunto nella nuova casa, il cambiamento per Bruno si rivela ancor più difficile del previsto. Solo e senza amici, ignorato anche dalla sorella Gretel, più interessata alla compagnia del giovane tenente Kotler, Bruno è sempre più triste e annoiato. Un giorno, spinto dalla curiosità e ignorando le indicazioni della madre che gli proibisce di esplorare il giardino dietro casa, Bruno si avvicina al recinto di filo spinato che divide la sua abitazione da una strana fattoria i cui residenti indossano un pigiama a righe. Lo stesso pigiama a righe che indossa Pavel, il cuoco di casa, che sembra essere l'unica persona in casa a prendersi cura di lui. Bruno entra così in contatto con Shmuel, un bambino che vive nella fattoria, con cui inizia ad incontrarsi frequentemente, in gran segreto. L'amicizia con Shmuel e una serie di avvenimenti e cambiamenti che matureranno nella sua casa, in sua sorella e nel rapporto tra i suoi genitori, porteranno Bruno verso la perdita dell'innocenza e a una maggiore consapevolezza del mondo degli adulti con drammatiche conseguenze.

Critica 1:Il bambino con il pigiama a righe racconta l'olocausto con gli occhi di un piccolo ariano, mimando i valori nazisti. E forse anche i nostri.
È una porta chiusa l'immagine su cui termina Il bambino con il pigiama a righe (…). Che cosa accada dall'altra parte, nell'inferno che sta al di là, è questione che riguarda l'immaginazione inorridita dello spettatore. Il cinema lo ha condotto fino a quel limite, e ora lo lascia solo con la sua coscienza. Tratto da un libro dell'irlandese John Boyne, il film scritto e girato dall'inglese Mark Herman racconta la più irraccontabile delle storie. I suoi protagonisti sono l'odio e l'obbedienza, la burocrazia e la macchina della morte, la razza e lo sterminio. In una parola, racconta la Shoah, e con essa racconta l'innocenza degli assassini, per usare l'ossimoro coniato quasi 60 anni fa da Albert Camus, nell'Uomo in rivolta.
Innocente è sicuro d'essere Walter (David Thewlis), il padre del piccolo Bruno (Asa Butterfield). Ufficiale delle SS, è promosso a un ruolo che il nazismo considera decisivo per il futuro della Germania: il comando di un lager. Quello cui è destinato non è un campo di sterminio – dove le vittime transitano per non più di qualche ora, ossia per il tempo tecnico della loro eliminazione –, ma un campo di lavoro. O meglio: un campo nel quale la morte di massa è "amministrata" mediante il lavoro, e non direttamente con le camere a gas. Ai suoi occhi, si tratta di un compito storico, che richiede coraggio morale e abnegazione adeguata. «Sovrumanamente inumani», così appunto in quei giorni ( attorno al '43) Heinrich Himmler esorta a essere i burocrati e gli aguzzini che si occupano della soluzione finale. Gli ebrei, meglio l'Ebreo è il veleno del mondo,il responsabile d'ogni crimine e d'ogni decadenza. Eliminarlo significa dunque salvarlo, il mondo.
Insomma, al pari di tanti che gli somigliano, Walter amministra la morte degli Untermenschen, dei sottouomini, non in nome di un Male assoluto, ma proprio di un Bene assoluto: il futuro dell'Uomo, cioè dell'Ariano. Anche la madre di Bruno coltiva questa visione del mondo. La donna (Vera Farmiga) non partecipa attivamente al "compito". Tuttavia, condivide la fede trionfante nella sua necessità storica. Perciò, affida se stessa e i due figli – Bruno e Gretel (Amber Beattie) – alle decisioni del marito, compresa quella di trasferirsi da Berlino in "campagna", nei pressi del lager.
Questa è l'innocenza degli assassini, questa certezza d'avere il diritto, e anzi il dovere di uccidere. (…) Di per sé, il Male assoluto è opaco. Si fa invece trasparente quando lo si indaga in "controcampo", come conseguenza od ombra di quello che il persecutore considera il Bene assoluto.
Così fa il film di Herman: capovolge il punto di vista più ovvio e, almeno all'inizio, guarda con gli occhi dei persecutori. E poi, dentro questo capovolgimento, ne attua ancora un altro. È di Bruno, non degli adulti, lo sguardo che smaschera l'orrore. Portato via da Berlino e dai suoi piccoli amici, il bambino osserva il mondo sconosciuto in cui dovrà vivere. Nella grande casa che sta vicino a quella che pensa sia una fattoria cerca di ritrovare un senso, una normalità. Dunque, lo esplora, quello strano mondo. E molti suoi particolari lo stupiscono. Perché Pavel (David Hayman) indossa in pieno giorno un pigiama a righe? Che cosa c'è al di là della finestra della sua camera? Perché il padre l'ha fatta oscurare? Perché, ancora, l'istitutore suo e della sorella li costringe a leggere libri noiosi che raccontano dell'Ebreo e dei suoi crimini? E poi, anche Pavel è ebreo. E che male ha potuto mai fare, per essere costretto a servire in cucina, lui che è medico?
È dall'interno della visione del mondo dominante che Bruno parte per la sua "esplorazione". E quel che scopre è doloroso. Forse, il padre non è l'ufficiale valoroso e buono che dice di essere. Forse, all'istitutore non si deve prestare fiducia. Forse, dietro la casa non c'è una fattoria. Ed è qui, dietro la casa, che Bruno incontra un nuovo piccolo amico: sta oltre una linea di filo spinato, e porta lo stesso pigiama di Pavel. Diventano amici, l'ariano e l'ebreo. Quel che poi accade lo lasciamo allo spettatore, e al suo sguardo pieno di sofferenza, proprio come il film fa con la porta su cui termina.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte criticaIl Sole-24 ore
Data critica:

4/1/2009

Critica 2:Ci sono molti motivi di originalità e interesse in questa fiaba tragica prodotta dalla in genere rassicurante casa Disney e tratta dall' omonimo best seller (Rizzoli) del dublinese John Boyne. La tragedia dell' Olocausto è vista con gli occhi increduli, innocenti, invano fiduciosi, di un bambino di 8 anni, figlio minore di un ottuso gerarca nazista, che si trasferisce con famiglia vicino a un lager con finestra sul cortile del campo con inceneritore. Senza intuire la mostruosità che sta dietro al filo spinato e di cui è dinasticamente responsabile il ragazzo fa amicizia col coetaneo Shmuel, ebreo prigioniero, fino a prendere anche lui il pigiama a righe che lo stupisce tanto. Conoscendo l' etica Disney si poteva pensare che finisse con l' arcobaleno della speranza... Macché. Non serve essere fiduciosi, al massimo s' accetta la fine come in una favola dark. Gli ultimi 20 minuti ribaltano le convenzioni di un film narrato e patinato con tanto bon ton: recitazione con due ragazzini veri e speciali, musica, scenografie, tutto a posto. Sospeso nel tempo, girato in inglese anche se son tutti tedeschi, Il bambino con il pigiama a righe mette la Shoah ad altezza di sguardo infantile, solo con utili didascalie. Non c' entra il Benigni de La Vita è bella, qui alla fine si fa una scelta diversa e l' andamento di commedia non produce mai ilarità ma se mai scava nella radici dell' umanità: commedia umana, alla Balzac, senza sconti. Se mai il riferimento è al dimenticato capolavoro di Losey Mr. Klein in cui Delon s' immola e parte per un lager anche se non ebreo, ma con la scelta consapevole di un adulto, mentre il piccolo Bruno è corazzato dalla sua ingenua fede nella bontà degli uomini, come Anna Frank, e non riesce a concepire una mostruosità simile. Inutile dire quanto utile possa essere un film così, al di là dei suoi onesti valori di cinema, alla buona tenuta narrativa assicurata dalla regia dell' inglese Mark Herman, che qui evita lo stile strappacore per addentrarsi in un mistero ancora più grande, insondabile e doloroso.
Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 2/1/2009
Autore critica:Maurizio Porro
Fonte critica:Il Corriere della Sera
Data critica:

2/1/2009

Critica 3:
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Data critica:



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