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Fiammiferaia (La) - Tulikkutehtaan tytto

Regia:Aki Kaurismäki
Vietato:No
Video:Columbia Tri Star Home Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Disagio giovanile, Il lavoro
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Aki Kaurismäki
Sceneggiatura:Aki Kaurismäki
Fotografia:Timo Salminen
Musiche:Aki Kaurismäki
Montaggio:Aki Kaurismäki
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Klaus Heydemann, Ismo Keinanen, Outi Maenpaa, Esko Nikkari, Kati Outinen, Marja Packalen, Elisa Salo, Silu Seppala
Produzione:Villaealfa Filproductions Oy - The Swedish Film Institute, Finnkino Oy
Distribuzione:Lucky Red
Origine:Finlandia
Anno:1989
Durata:

79'

Trama:

In Finlandia, Iris, giovane popolana residente in uno squallido appartamento di periferia, conduce una vita arida, monotona, senza ideali, senza affetti, senza la minima gratificazione. In famiglia, la gelida madre vive alle sue spalle, trattenendole lo stipendio e accollandole i lavori più gravosi, dopo la già pesante giornata alla catena di montaggio di una fabbrica di fiammiferi; e il torvo patrigno la umilia senza pietà. Nella stessa fabbrica viene maltrattata dal caporeparto e freddamente ignorata dalle compagne di lavoro. Si consola come può, leggendo romanzi sentimentali e concedendosi di soppiatto qualche golosità. Quando cerca distrazione, recandosi di sera in balera, nessuno la invita, e ne esce delusa e sola, per riprendere l'indomani la sua deprimente routine. Finale a sorpresa.

Critica 1:Terza parte di una trilogia proletaria, è il ritratto di Iris che passa la vita tra la fabbrica di fiammiferi dove lavora, genitori incolori e taciturni, disinganni nei rapporti amorosi (un amore finito, un aborto). (...) Dialoghi ridotti al minimo, assenza di psicologia, attori gelidi, è un film sotto il segno di una radicale antiretorica e di un ascetismo figurativo che ricorda Bresson. Cinema disperato della sottrazione.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:La fiammiferaia è l'ultimo e conclusivo film di quella che il regista stesso ha definito “trilogia dei perdenti”. A questo proposito, Kaurismäki ha affermato: “La trilogia appartiene alla mia parte realista, gli altri no. Io giro due tipi di film, perché sono uno schizofrenico non voglio che nessuno dei miei due caratteri prevalga”. (...)
La fiammiferaia è l'atto conclusivo di un gruppo di film che interpretano spietatamente la crudeltà e l'alienazione disumana di una società priva di “sociale”. Con questo film si chiude, nel modo più radicale possibile, l'assurdità di una qualsiasi speranza nell'angosciante appartenenza ad un mondo alienato e indifferente. Dove quest'ultima può, al massimo, trasformarsi in ostilità (ostilità “istintiva”, e, ormai, connaturata). Forse per questo (oltre che per il fatto di essere stato distribuito successivamente a Leningrad cowboys e Ho affittato un killer) dà la forte impressione di essere il più recente: perché raggiunge un livello oltre il quale è difficile andare, perché è di una ferocia e di una limpidezza interne a una unità stilistica tale che si comprende bene come, alla base, ci sia una concezione del fare cinema di cui Kaurismäki sa dare prova non solo dal punto di vista registico .Un cinema, il suo, realizzato con pochi mezzi, con budget ridottissimi, ma con idee e capacità stilistiche che, una volta tanto, sono lì a indicarci quanto possa essere più produttivo e interessante di quella capacità tecnica (vera o presunta) dietro la quale troppo spesso sì nasconde la scarsa qualità di un film. Per dirla ancora con Bresson: lo stile “è tutto ciò che non è la tecnica” .
Per il rigore stilistico di quest'opera, per la sua “purezza”, La fiammiferaia non può che situarsi su un livello estremo, difficilmente raggiungibile. È giusto e sensato, allora, che chiuda un “ciclo”. D'altra parte, questa trilogia “proletaria”, di cui il film fa parte, è un progetto che ha trovato forma e motivazioni nel suo farsi. Si è, per così dire, realizzato e “istituito” durante la realizzazione del film centrale, Ariel.
Perché mai a La fiammiferaia è stato abbinato Toby Dammit (1967) di Federico Fellini, che, con toni spettacolari e ridondanti venati di un forte onirismo, è quanto di più distante dall'opera, e, più in generale, dallo stile di Kaurismäki? Non c'è spiegazione. A meno che non vogliamo ritenere tale quella oscenità di considerare il film troppo “corto” rispetto al “normale”, tanto da sopperirvi con un filmato purchessia, e lo dico a ragione, perché, nonostante Fellini, questo non può essere considerato né un accostamento riuscito, né un omaggio, né altro, solo una mancanza di rispetto nei confronti di entrambi i registi, e, infine, anche per il pubblico. Fellini è usato come pretesto autoriale immotivato. Sfruttato allo stesso modo in cui si usano i cinegiornali o gli spot pubblicitari (o i documentari mezzi tagliuzzati affinché non eccedano gli orari stabiliti per la proiezione del lungometraggio di turno), senonché lo statuto è diverso.
Forse che solo gli spettatori se ne rendono conto?
Autore critica:Fabio Matteuzzi
Fonte critica:Cineforum n. 305
Data critica:

10/1991

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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Autore libro:

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