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Vampyr - Vampyr

Regia:Carl Theodor Dreyer
Vietato:No
Video:Prisma entertainment, Fox Video
DVD:
Genere:Thriller
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Joseph Sheridan da romanzo "In a glass darkly" di Sheridan le Fanu
Sceneggiatura:Carl Theodor Dreyer, Christen Jul
Fotografia:Rudolph Maté, Louis Nee
Musiche:Wolfgang Zeller
Montaggio:Paul Falkenberg
Scenografia:Hans Bittman, Cesare Silvagni
Costumi:
Effetti:Julian West (David Gray), Henriette Gérard (Marguerite Chopin, il vampiro), Jan Hieronimko (il dottore), Mauricee Schutz (il castellano) Sybille Schmitz (Léone, sua figlia maggiore), Rena Mandel (Giséle, sua figlia minore), N. Babanini (sua moglie), Albert Bras (un domestico), Jane Mora (L'infermiera)
Interpreti:
Produzione:Tobis Klangfilm
Distribuzione:Cineteca Griffith - Collettivo dell’Immagine
Origine:Francia, Germania
Anno:1932
Durata:

70'

Trama:

In un paese senza nome. Preso alloggio in una locanda, il giovane David Gray riceve nottetempo la visita di un vecchio sconosciuto, che gli consegna un plico con la scritta «da aprirsi dopo la mia morte». In preda alla fascinazione, David si aggira per la campagna. Giunto a una casa apparentemente abbandonata, vede l’ombra di un guardiacaccia separata dal corpo che dovrebbe proiettarla e un uomo nell’atto di porgere una fiala a una vecchia megera. Il giovane giunge al castello del personaggio incontrato nella locanda, assiste alla sua morte e ne conosce le figlie: la giovane Gisèle e Léone afflitta da una malattia che la consuma. David apre il plico e vi trova un antico libro sui vampiri, dove apprende di una vecchia non-morta, Marguerite Chopin che succhia il sangue dalle fanciulle. Léone è vittima di un tale maleficio. Dopo aver riconosciuto nel medico del castello l’uomo che dava la fiala alla vampira, David decide di agire con l’aiuto del domestico. Supera un incubo in cui si vede sepolto vivo, quindi scava nel cimitero e trova il corpo della vecchia. Le trafigge il cuore con un paletto. Il corpo si polverizza e Léone guarisce. Vengono poi annientati i due servi della vampira: mentre il guardiacaccia cade morto, il dottore si rifugia in un mulino e resta soffocato dalla farina. David libera Gisèle, imprigionata dai mostri, e si avvia con lei verso un’alba luminosa.

Critica 1:Liberamente ispirato a "Carmilla" e altre novelle di "In the Glass Darkly" (1872) dell'olandese Joseph Sheridan Le Fanu. Aiutata da un medico e da due servi, una donna vampiro succhia il sangue alle due giovani figlie di un castellano. Una delle due è liberata dall'incubo per opera di David Gray, giovane viaggiatore di passaggio. Horror onirico, girato in ambienti naturali, affida il suo fascino all'atmosfera (fotografia di Rudolph Maté) e a inquietanti suggestioni più che agli effetti di spavento. Dialoghi ridotti al minimo, efficace mix di rumori. Celebre la sequenza della sepoltura di David Gray (interpretato, sotto lo pseudonimo di J. West, da uno dei produttori, il barone Nicolas de Gunzburg), in soggettiva dalla bara. "... per la sua portata e la sua selvaggia poesia, è un'opera degna di succedere al Nosferatu di Murnau ..." (L. Eisner). Girato muto e poi postsincronizzato in 3 versioni parlate in francese, tedesco e inglese i cui negativi immagine e suono sono andati perduti. Con le copie incomplete della versione tedesca e francese nel 1998, a cura della Stiftung Deutsche Kinamathek e della Cineteca di Bologna, fu realizzata un'edizione tedesca il cui sottotitolo è Der Traum des Allan Grey.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Il prestigio che Dreyer s'era guadagnato con La passion de Jeanne d'Arc non fu così grande da vincere la diffidenza dell'industria, né la renitenza del pubblico verso un cinema “difficile”, alieno dalle seduzioni spettacolari. Fu solo l'intervento di un mecenate (il giovane barone Nicolas de Gunzburg) che permise di mettere in cantiere, nella economia più stretta, il film successivo. Dreyer e Christen Jul si ispirarono ai racconti di uno scrittore irlandese dell'Ottocento, Sheridan Le Fanu (1814-1873). Occultismo e demonologia fornirono le suggestioni necessarie per disegnare un affresco “interiore” nella tradizione “notturna” del romanticismo tedesco e anglosassone. Il film (poco meno di 2000 metri) sarà presentato a Berlino il 6 maggio 1932.
Più il regista si immergeva nelle zone oscure della coscienza, più veniva in luce non soltanto la natura del suo cinema ma anche il fondo ideologico di una cultura che da un lato risaliva ai “tremori” kierkegaardiani (la vita come instabilità e angoscia: “ciò che io sono è un nulla” e dall'altra accoglieva le esperienze esoteriche di scrittori come Ernst T. A. Hoffmann ed Edgar Poe. Quella di Dreyer si stava delineando come una ricerca dell'identità, che rimbalzava da film a film, sempre irrisolta. Con la realtà sociale il conflitto è aperto, non si intravede alcuna possibilità di conciliazione, o di compromesso. All'individuo non può non toccare in sorte la solitudine.
Il tema del vampiro può sembrare un pretesto. L'inquietudine che serpeggia nel film ha poche analogie con le tensioni di Nosferatu, anche se i punti di contatto non mancano. Semmai appaiono più pertinenti i richiami al legame che, in Das Kabinett des Dr. Caligari, unisce il medico pazzo al suo succube Cesare: la forza del Male che soggioga una coscienza debole la ritroviamo qui nella sottomissione del dottore al vampiro. Tuttavia, assai piú interessante è la circostanza che, qui, il vampiro sia una donna, una vecchia cieca morta nell'Ottocento e sepolta nel cimitero del villaggio. E più interessante ancora è il fatto che, se il dottore è il “braccio” brutale attraverso cui agisce il vampiro, il vero succube (il vero alleato del male) non è lui ma un'altra donna, Léone, la figlia del castellano. Il dottore si presenta come la minaccia effettiva (le trame malefiche del vampiro sono tessute da lui), ma Léone è la minaccia latente e più insidiosa, quella che non si conosce (per un attimo intuiamo che la donna malata è divenuta a sua volta un vampiro, quando ha la tentazione di aggredire la sorella Gisèle, ma solo alla fine scopriremo la sua vera condizione di succube e alleata dell'orrenda vecchia sepolta nel cimitero).
L'ossessione dreyeriana acquista, in Vampyr, una evidenza più netta che nella Passion, dove pure l'ambivalenza santa-strega traspariva da ogni episodio. Più netto è, inoltre, il quadro entro cui l'ossessione si manifesta. Il film oscilla fra sogno e realtà, e può essere veduto sia come una vicenda di orrori reali (tutto quel che accade, accade effettivamente) sia come l'incubo del protagonista David Gray, capitato per caso in un villaggio sulle rive di un fiume avvolto dalla nebbia (a differenza dell'Hutter di Nosferatu che nella tana del vampiro è stato inviato per eseguire un incarico). Niente impedisce (anzi, tutto consente) di ritenere che David sia una proiezione dell'autore, e che come tale sia contemporaneamente il riflesso di un'attrazione e il segno di una paura che vuole esorcizzare la realtà (della donna).
Vampyr è fatto di immagini sfocate e alonate (l'operatore ha ottenuto il flou mettendo una garza nera davanti all'obiettivo), di ombre che danzano sui muri, di una ricchissima gamma di grigi, di controluci perlacei, di bianchi puri (il nulla, per Dreyer, è la luce accecante di una verità inattingibile), di suoni fuori campo (echi di misteri inconoscibili), di coincidenze inspiegabili. Una realtà che è un sogno, e viceversa.
David Gray è interpretato, sotto lo pseudonimo di Julian West, dallo stesso produttore Gunzburg. Arriva alla locanda. Una ragazzina lo accompagna in camera. Nel sonno ha l'impressione che un uomo sia entrato, come a chiedere aiuto. Si sveglia, scende per strada, vede ombre che si aggirano misteriosamente. Trova una fabbrica abbandonata, scorge una vecchia cieca passare. Continua la sua ricerca. Si introduce in una casa che sembra deserta. Sente urla provenire dalla cantina. Incontra un uomo che si muove imperiosamente. Viene cacciato. Al castello, David vede una donna a letto, sfinita. È Léone, assistita dal padre (forse è colui che s'è introdotto nella sua camera). Si ode un urlo, si scopre che lo hanno assassinato. Prima di morire egli raccomanda a David l'altra sua figlia, Gisèle. Léone, intanto, si alza dal letto, attratta da un richiamo irresistibile. David vede su di lei la vecchia che le succhia il sangue. Arriva il dottore, David riconosce l'uomo che ha incontrato nella casa deserta. Léone, tornata a letto, è in fin di vita. Occorre una trasfusione, il malefico dottore guarda David. Nel frattempo il domestico ha letto un libro rivelatore (una “storia dei vampiri” che è un elemento ricorrente del genere: c'è anche in Nosferatu). Si arma di un paletto di ferro e va al cimitero. David esce dal castello, ha una allucinazione. Si sdoppia, il suo io profondo si materializza, si avvicina a una bara e scopre che contiene il suo cadavere. Lo vengono a prendere e lui vede, attraverso il vetro della cassa, il proprio funerale (è la sequenza più celebre e “impressionante” del film). Si risveglia al cimitero. Il domestico ha scavato la tomba di Marguerite Chopin, ha scoperchiato la cassa: dentro, la vecchia cieca, il vampiro. Con il paletto le trafiggono il cuore. Muore il vampiro e, in quello stesso momento, muore Léone. Il medico non ha più alcun potere. Fugge, si nasconde in un mulino: la macina comincia a girare, la farina cade su di lui, lo soffoca (l'episodio comunica un senso quasi palpabile di angoscia: il bianco, in questa simbologia capovolta, è sinonimo di morte). David libera la dolce Gisèle, che era stata legata al letto, e se ne va con lei, su una barca attraverso il fiume nebbioso. È l'alba.
Autore critica:Fernaldo Di Giammatteo
Fonte critica:100 film da salvare, Mondadori
Data critica:



Critica 3:Nonostante il giudizio distaccato e negativo che Dreyer ebbe a dare molti anni dopo (“Oggi non prendo più sul serio Il vampiro, tranne che come un esperimento stilistico interessante e istruttivo”) questo suo primo film sonoro riassume aspetti significativi della poetica del regista danese. Tutta la struttura tradizionale del genere di film o romanzo di suspanse è volta a evocare un mondo in cui l’irrazionalismo, scena dopo scena, diventa la dimensione assoluta di vita e Il vampiro si configura, nel complesso, come rispecchiamento di un processo di alienazione; sin dall’inizio, il protagonista è presentato come lo “straniero” e la sua avventura è quella del singolo “gettato” nel mondo esterno, dell’uomo normale che precipita in una vicenda assurda. È presente il tema dell’impotenza e della fallacia della scienza e si mette a fuoco una condizione umana non “protetta” da Dio e che affronta l’ignoto disarmata. Per tutta la prima parte del film David Gray accumula indizi inquietanti nella sua anima ma mantiene con l’esterno un tranquillo formalismo. Poi l’apparenza di serenità di quella vita borghese si squarcia, per rivelare stregonerie, fantasmi, pericoli di perdizione eterna. In mezzo a inganni e senza alcuna certezza, il protagonista cerca di salvare l’anima e lotta contro i “rappresentanti” della morte. In questo senso il film è un testo “classico” sull’angoscia esistenziale e sul disarmo della ragione di fronte agli interrogativi assoluti ed eterni. In un mondo che sempre più si rivela come una trappola, l’irrazionalismo di David Gray è proteso contro una razionalità che è lontana e contro l’uomo. Le certezze non possono più riposare nelle scienze positive che, prive di spiritualità, sono facilmente preda dei demoni. David Gray vive l’angoscia fino a sdoppiarsi tra corpo e ombra, fino a vedersi già morto in una bara. Lo “straniero” nel regno delle tenebre e della morte non può ritrovare la strada della salvezza nell’esterno ma solo nella propria singolarità. La didascalia iniziale avverte appunto: “Ci sono esseri predestinati la cui vita sembra collegata con fili invisibili al mondo sovrannaturale. Essi amano la solitudine [...] la loro immaginazione si sviluppa a tal punto che essi vedono davvero più lontano degli altri. [...] La personalità di David Gray è appunto così misteriosa. Una sera, spinto dalla sua fantasia come al solito verso l’ignoto, arriva molto tardi all’albergo che è vicino al fiume, nel villaggio di Courtempierre”. Gli ingranaggi del mulino in cui si agita la figura maligna del vecchio dottore sono inquadrature che di per sé esemplificano il modo di guardare e di far vedere di Dreyer: un mondo che è alternativo, per esempio, a quello di Ejzenstejn per quanto riguarda la tecnica, il processo e in generale il rapporto tra l’uomo e i suoi prodotti. Se nel regista sovietico (si pensi al rapporto marinai-strumenti nel Potëmkin) la macchina è vista, secondo le situazioni, nella sua potenzialità sia repressiva sia liberatoria, qui essa è sempre oscura, lontana e nemica dell’uomo. L’umanità di Dreyer appare oppressa, e montaggio e inquadrature ne scandiscono i tempi di sofferenza lenta, di continua estraneità e squilibrio. Nella tensione tra luce e tenebre, tra figure nere e sfondi bianchi che caratterizza le immagini, i personaggi sono inquadrati irregolarmente e in modo “alienato”. I primissimi piani dei volti inquadrano i personaggi in modo non solo verticale ma orizzontale e secondo diverse e inconsuete angolazioni soprattutto in relazione al linguaggio dell’epoca. Quando si vede la persona nella sua interezza, essa ci appare come spiazzata e il centro dell’interesse dell’inquadratura non coincide con quello della situazione soggettiva del personaggio. Ombre che disegnano fisionomie stilizzate e deformate si alternano ai primi piani di oggetti, mani e gesti rapidi. La macchina da presa li registra e li seleziona suggerendo allo spettatore un senso di impotenza e quasi di imprigionamento, che sembra poi identificarsi con quello di David Gray prigioniero nella bara. Questa vicenda di vampiri si configura così come un’incursione nelle tenebre dell’anima umana in lotta contro il demonio di false sicurezze di un positivismo borghese sicuro e dominante.
Autore critica:Guido Aristarco
Fonte critica:Guida al Film, Milano, Fabbri
Data critica:

1979

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:In a Glass Darkly
Autore libro:Sheridan le Fanu Joseph

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