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Che ora è -

Regia:Ettore Scola
Vietato:No
Video:Vivivideo
DVD:C. Gori
Genere:Commedia
Tipologia:Giovani in famiglia, Diventare grandi
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Ettore Scola
Sceneggiatura:Beatrice Ravaglioli, Ettore Scola, Silvia Scola
Fotografia:Luciano Tovoli
Musiche:Armando Trovajoli
Montaggio:Raimondo Crociani
Scenografia:Luciano Ricceri
Costumi:Gabriella Pescucci
Effetti:
Interpreti:Lou Castel (il pescatore muto), Marcello Mastroianni (Marcello Rinaldi), Renato Moretti (Sor Pietro), Anne Parillaud (Loredana), Massimo Troisi (Michele Rinaldi)
Produzione:Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica, Studio Elroma - Gaumont, Paris
Distribuzione:Cineteca Nazionale
Origine:Italia
Anno:1989
Durata:

102’

Trama:

Marcello Rinaldi è un fatuo avvocato sessantenne, che ha successo e quattrini, mentre suo figlio Michele è un trentenne serio e timido, laureato in lettere, che sta per terminare il servizio militare a Civitavecchia. Spinto dal desiderio di trovare col figlio quel dialogo che è stato sempre impossibile, Marcello va a trascorrere con lui un'intera giornata, e, appena lo incontra, per ingraziarselo, gli comunica di avergli preparato due regali: una macchina di lusso ed uno splendido attico a Roma. Ma il giovane dimostra solo imbarazzo per questi regali, mentre più tardi è felice per un dono più modesto: l'orologio d'argento, che apparteneva al nonno ferroviere, e che gli ricorda momenti felici della sua infanzia. Michele non ha per il futuro grandi aspirazioni, ma certo vuole scegliere da sè la sua strada. L'invadenza e la possessività del padre lo irritano, cosicchè i due, che non si comprendono, litigano spesso, mentre le ore di questa lunga giornata trascorrono lentamente. Marcello sa di non conoscere veramente suo figlio, e di essergli stato troppo lontano, per motivi di lavoro, perciò ora lo interroga continuamente, per arrivare a capirlo. Si fa anche condurre a casa di Loredana, una ragazza, con la quale il giovane ha un legame, e, in assenza di lui, le fa domande molto indiscrete. Infine padre e figlio vanno in un bar, dove Michele si trova a suo agio, fra amici di condizione modesta, e, vedendolo in tali compagnie, il padre ne rimane contrariato. In seguito Marcello, che è stato sempre geloso dell'attaccamento di suo figlio per la madre, gli rivela una presunta infedeltà di lei, avvenuta molti anni prima, provocando l'indignazione del giovane, che si allontana subito. L'anziano avvocato allora si reca alla stazione in attesa del treno per Roma. Michele lo raggiunge inaspettatamente, e, tirato fuori l'orologio del nonno, invita il padre a fare con lui il giochetto infantile: "Che ora è?"

Critica 1:Se fosse necessario definire con un nome ('«autore» quale genere cinematografico, Scola sarebbe - assiema a Leone, Avati, Bertolucci, ed altri - un ottimo esempio. Il suo è un cinema professionale, ben fatto, simile a quel cinema «medio» americano molto amato dal pubblico. Scola mette d'accordo quest'ultimo con la critica grazie soprattutto a quell'autorialità che, abbandonati gli abiti stravaganti del genio, gli permette di girare storie «piacevoli». Nessuna rivoluzione, neanche una piccola innovazione, nessun elemento «controcorrente». Non si indaga sul cinema, e nemmeno sui sentimenti si hanno cose nuove da dire, tantomeno sui rapporti. Quel che viene narrato è un dejà vu che ci tranquillizza.
Così come spesso succede nel cinema americano (ripeto: quello «medio», cioè professionale e ben fatto), gli ambienti (una Civitavecchia grigia e solitaria), i personaggi (il padre è un ricco avvocato, il figlio si è da poco laureato in lettere), la situazione (una giornata trascorsa assieme) sono talmente carichi di eventi potenzialmente esplosivi, che l'ovvio e la prevedibilità continuano, durante tutto il racconto, a mimarne la fruizione.
Anche lo scavare nei sentimenti reciproci, il piacere ed il dolore della scoperta (il padre, nel corso della giornata, conoscerà in parte il figlio, in parte se stesso) sono eventi «narrativi» non nuovi. Anni di cultura «autoriale» ci hanno insegnato a rispettare il personaggio, a riconoscerne lo spessore che, questa volta, in Che ora è, viene esibito quasi a ricordarci che, sì, queste immagini rimandano a veri e propri corpi che, da qualche parte, esistono, vivono, agiscono.
Naturalmente non è facile convincerci, anche se Marcello Mastroianni veste bene i panni del padre, ricco avvocato romano, un po' rincoglionito, che vuole per il figlio una tranquilla e preordinata vita borghese. Troisi era stato utilizzato in modo più originale nel precedente film di Scola, in Splendor. Qui sembra ripetere un ruolo - quello del giovane napoletano interpretato in Ricomincio da tre - che ha ormai superato. Ciò nonostante, non dispiace nelle vesti del figlio - Candido, sostenuto nella vita da una filosofia spicciola che verte sull'importanza delle cose semplici, attraverso la quale il padre non può apparirgli che come un cieco legato indissolubilmente alle proprie necessità.
Naturalmente, tra le due culture (anche generazionali) non puo' che esserci scontro, crisi, con il recupero - sul finale - di un mondo perduto (da parte del padre). Vince la semplicità, anche quella del testo. Civitavecchia diviene una citta metaforica, «inesistente», «felice». Gli altri (pochi) personaggi che compaiono sembrano essere usciti da un libro di fiabe: è con loro che Michele, il figlio, si trova a suo agio - quella è la sua dimensione.
Siamo spinti a ri-chiederci quale sia la realtà: se quella vissuta ogni giorno, fra le strade e gli uffici della metropoli, dal padre, o quella ovattata, popolata da fate maghi e folletti, vissuta dal figlio.
Niente paura. Non siamo ad un bivio: alla fine del film sapremo dare una risposta - i due personaggi si ritrovano attorno ad un oggetto, il vecchio orologio «del nonno»: questo basta affinché la ricomposizione avvenga. Per un attimo, qualcuno potrebbe essere colto da un sospetto, potrebbe essere tentato d'indagare in modo più approfondito sulle conseguenze che può vivere il padre quando decide di conoscere ciò che del figlio non sa. Condotto da una sorta di empatia, d'identificazione con il personaggio, lo spettatore rischierebbe di giungere su strade che conducono a baratri che solitamente rifuggiamo: ci terrorizza scoprire l'insolito in ciò che crediamo «intimamente nostro», in ciò che dovrebbe esserci indifferente perché noto, conosciuto, quotidiano. In tal modo emergono altre valenze, non più riconducibili solo a questo film, tipiche del cinema «medio» (che proprio per tali potenzialità rimane sublime): al di là delle reali intenzionalità degli autori, emergono i mostri che le significazioni del testo - anche involontariamente - rischiano sempre di scatenare. Dando «voce» a ciò che il pubblico dà per scontato, che sente profondamente, si finisce per dar «voce» anche a ciò che è meno visibile, più nascosto: sono le paure, le tensioni, i mutamenti profondi, radicali e diffusi non solo nel nostro immaginario: è la realtà stessa che ci si fa incontro. Queste cose, noi spettatori, le sappiamo ma, per fortuna, facciamo finta di niente e, di questo territorio, all'uscita dal cinema, dimentichiamo tutto, o quasi.
Autore critica:Demetrio Salvi
Fonte criticaCineforum n. 290
Data critica:

12/1989

Critica 2:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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