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Super Size Me - Super Size Me

Regia:Morgan Spurlock
Vietato:No
Video:
DVD:Fandango
Genere:Documentario
Tipologia:Sport e salute
Eta' consigliata:Scuole elementari; Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Morgan Spurlock
Sceneggiatura:
Fotografia:Scott Ambrozy
Musiche:Steve Horowitz, Michael Parrish
Montaggio:Julie Bob Lombardi, Stela Gueorgieva
Scenografia:Joe The Artist
Costumi:
Effetti:Pixan.Com, Jonah Tobias
Interpreti:Morgan Spurlock (Se stesso), Ronald McDonald (Se stesso), Daryl Isaacs (Se stesso), Lisa Ganjhu (Se stessa), Stephen Siegel (Se stesso), Bridget Bennett (Se stessa), Eric Rowley (Se stesso), Alexandra Jamieson (Se stessa), David Satcher (Se stesso), John Banzhaf III (Se stesso), John Robbins (Se stesso), Marion Nestle (Se stessa), William Klish (Se stesso), Kelly Brownell (Se stessa), Don Gorske (Se stesso)
Produzione:Morgan Spurlock per The Con
Distribuzione:Fandango
Origine:USA
Anno:2004
Durata:

98'

Trama:

Partendo dal dato che negli Stati Uniti il 37% degli adolescenti supera il proprio peso forma e due adolescenti su tre sono sovrappeso o obesi, il regista Morgan Spurlock ha viaggiato per 25mila miglia, visitando 20 città americane con i loro relativi Mc Donald's, decidendo di mangiare per 30 giorni solo nei fast food. Durante il viaggio, in cui ha effettuato 250 ore di riprese, ed ha preso 13 kg di peso, ha intervistato medici generici, preparatori atletici, cuochi, ragazzi, avvocati, per denunciare con fermezza il fenomeno dell'obesità negli Usa, il declino dell'educazione fisica nelle scuole, la dipendenza dal cibo e i provvedimenti estremi che vengono presi per perdere peso...

Critica 1:Dopo la lobby dei fabbricanti d’armi, dopo la Fox di Murdoch che fa il bello e il cattivo tempo nell’informazione, dopo la Ibm che fornì tutto il know how logistico alla macchina dell’Olocausto, dopo i petrolieri texani (capeggiati dai Bush) amici e soci in affari della famiglia Bin Laden, ora tocca a McDonald’s: beccatevi ‘sti documentari, multinazionali, e tremate!
Se il cinema di Hollywood, salvo sporadiche eccezioni, è tutto appiattito sulla logica del «politicamente corretto», il documentarismo americano è in questo momento una formidabile macchina di controinformazione e di propaganda politica. Michael Moore non è più solo, non lo è mai stato. Anzi, è stato superato a sinistra, ammesso che nella politica e nella società americane siano facilmente riproducibili i nostri concetti di destra & sinistra. Mentre il regista di Bowling a Columbine individuava nella Casa Bianca il proprio obiettivo polemico, e confezionava con Fahrenheit 9/11 un pamphlet dichiaratamente destinato a far perdere le elezioni a Bush jr. (calcolo, purtroppo, sbagliato), altri autori decidevano che la vera battaglia politica, negli Usa, si svolge sul terreno dell’economia, dell’influenza che la grande industria ha sull’american way of life, sullo stile di vita del grande paese. Ecco quindi The Corporation, di Jennifer Abbott e Mark Achbar, ispirato al libro di Joel Bakan (dvd e libro sono stati pubblicati in un prezioso cofanetto dalla Fandango, la casa di produzione e distribuzione cinematografica, da poco attiva anche nell’editoria, che ha distribuito il film in Italia). Si tratta, forse, del documentario più complesso e anche stilisticamente più ricco, un’inchiesta nel concetto stesso di «multinazionale» e del suo ruolo nella storia americana e mondiale. Ecco The Take, il film di Naomi Klein (la scrittrice di No Logo) e Avi Lewis che racconta l’altra faccia della medaglia, il momento in cui le ditte argentine fallite a causa del crack del paese di Menem vengono riaperte e rilanciate dagli stessi operai. Tutti film che hanno trovato la via delle sale italiane: non c’è solo la Fandango, per fortuna, anche Bim, Lucky Red, Mikado e altre distribuzioni medio-piccole hanno deciso di provarci, forti del precedente di Michael Moore.
Il prossimo week-end vedrà l’arrivo nelle sale di due film che sono, per motivi diversi, diventati dei «casi». Uno è bellissimo: Super Size Me, di Morgan Spurlock. L’altro è meno bello ma per certi versi è un «caso» ancora più singolare: Mondovino di Jonathan Nossiter (si veda il box in questa stessa pagina). Sono accomunati da un dato fisico, anzi, biologico: riguardano il nostro apparato digerente, nonché le nostre papille gustative. Si occupano di ciò che mangiamo e beviamo, in ossequio alla filosofia di Feuerbach secondo la quale l’uomo è ciò che mangia (e beve). Mondovino, lo dice il titolo, parla di vino. Super Size Me parla di fast-food, e quindi in senso lato di salute, la nostra salute e quella dei nostri figli sedotti da cheeseburgers e milk-shake. Parliamo di quest’ultimo.
Morgan Spurlock è un giovane americano che, per amore del cinema e della verità - e anche, parliamoci chiaro, di una dose super size di narcisismo - ha condotto su di sé un agghiacciante esperimento. Prima si è fatto le analisi: una volta constatato di avere una salute di ferro, si è nutrito per 30 giorni solo ed esclusivamente da McDonald’s. Colazione, pranzo, merenda e cena. Unica regola: provare almeno una volta tutti i cibi sul menu. Regola aggiuntiva, visto che i 30 giorni sono coincisi con un viaggio coast to coast, da Los Angeles a New York: provare le specialità «locali», i piatti regionali con i quali McDonald’s varia, si fa per dire, la propria offerta. Il risultato è impressionante: in un mese, Spurlock è ingrassato di 25 libbre, ha visto il proprio colesterolo salire alle stelle e ha compromesso le funzioni di svariati organi interni ed esterni, dal fegato all’apparato riproduttivo (dopo due settimane la sua fidanzata, vegetariana convinta, sostiene che a letto non è più lo stesso; dopo un mese non è più, punto e stop).
Ora, l’attendibilità scientifica di un simile esperimento kamikaze è ovviamente vicina allo zero: in primis il giovane Morgan potrebbe avere, che so, una particolare intolleranza alle patatine o al ketchup, in secundis McDonald’s ha buon gioco nel rispondere che nessuno dovrebbe nutrirsi nei suoi fast-food tutti i giorni... e se ci pensate proprio questa saggia risposta della multinazionale racchiude il paradosso. Vogliamo dire, se mangiare tutti i giorni da McDonald’s provoca assuefazione e morte, come si legge nelle istruzioni dei medicinali, ammetterete che qualcosa non va! Inoltre, Spurlock va in giro armato di videocamera a intervistare ragazzi americani di ogni estrazione ed etnìa, e molti di loro confessano tranquillamente di bazzicare i fast-food con frequenza quotidiana. Del resto, nel film ci sono numerosi personaggi intervistati (scienziati, esperti di marketing, nutrizionisti) e il più strepitoso di loro, tale Don Gorske, viene presentato come Big Mac Enthusiast (il Big Mac è uno dei panini che compaiono nel menu di tutti i McDonald’s del mondo). Gorske è il corrispettivo McDonald’s dell’Uomo di Marmo di staliniana memoria: quello alzava muri di mattoni a velocità supersonica, nel nome di Stakhanov, e gli facevano la statua fuori dalla fabbrica; lui ha invece un’insegna in suo onore fuori del fast-food preferito, perché in vita sua ha superato i 19.000 Big Mac consumati. La racconta come se fosse una cosa normale: «Quando ho mangiato il mio primo Big Mac la mia vita è cambiata. Ne ho subito trangugiati sette, uno dopo l’altro. Poi mi son dato una calmata: non ne mangio mai più di due o tre al giorno». Ora, Gorske può anche essere un pazzo, o un fenomeno che donerà (speriamo) il suo corpo alla scienza, o un attore pagato dalla McDonald’s a scopi pubblicitari: ma che dire di tutti i bambini americani per i quali il clown della famosa ditta di sandwich è una presenza più popolare di Topolino o di Gesù? Che dire di tutti i menu con allegati giocattoli, e di tutte le offerte super size (da cui il titolo del film) finalizzate ad accalappiare il cliente e a non mollarlo mai più? Direte: è marketing, e nel libero mercato tutto è lecito. Ma se scoprissimo che, a causa di questo marketing, la salute dei nostri figli è in pericolo? E che il medesimo marketing è ciò che ha trasformato gli Stati Uniti nel paese più obeso del mondo? E che la somministrazione di grassi e zuccheri illimitati coinvolge anche un’azienda, la Sodexho, che è leader nel settore delle mense scolastiche su entrambi i lati dell’Atlantico, Italia compresa?
La cosa rinfrescante di Super Size Me è che fa nomi e cognomi, cosa che abbiamo potuto fare anche noi in questo articolo. Il film è polemico, spaventoso, inquietante e fragorosamente divertente. La buona notizia, alla fine, è che Morgan Spurlock è ancora vivo: non l’hanno ucciso né i 30 giorni a base di patatine e ketchup, né i combattivi avvocati della multinazionale. Ha anche perso le 25 libbre: ci ha messo 5 mesi, ma senza la fidanzata vegetariana...
Autore critica:Alberto Crespi
Fonte criticaL'Unità
Data critica:

9/4/2005

Critica 2:Dopo poco più di un anno dalla sua presentazione al Sundance Film Festival del 2004 (premio per la miglior regia) esce anche in Italia il piccolo grande documentario che, tra gli altri, ha convinto McDonald’s a non vendere più negli USA menu giganti, supersize appunto.
La visione è super consigliata non solo perché è un documentario che al cinema si vede con estremo piacere, ma perché ha una valenza educativa non da poco.
La storia è questa: Morgan Spurlock, regista e protagonista, decide di sottoporsi per un mese intero a una dieta esclusivamente a base di pasti da McDonald’s.
In realtà l’autore vuole indagare i motivi per i quali negli USA c’è una percentuale così elevata di obesi. In questo paese ci sono fast food in ogni angolo. E non parliamo della pubblicità rivolta alle generazioni più giovani: Happy Meal, giocattoli, pupazzi e personaggi irresistibili come il down a righe giallo rosse testimonial della catena più importante, quella della M dorata.
Lo stile del documentario è trail reality show, in cui seguiamo giorno per giorno il regime alimentare di Spurlock, e l’inchiesta divulgativa: tra un’abbuffata e l’altra si snocciolano statistiche e si susseguono interviste avari personaggi toccati dall’argomento, dalle lobby dell’industria alimentare ai dottori che seguono Spurlock nel suo mese folle.Già, i medici. Il protagonista prima di iniziare si sottopone a tutti i più accurati test fisici e alle analisi del caso: un checkup completo che ne decreta il pieno stato di salute.
Una situazione idilliaca, che però non tarda a mutare in uno stato di vera e propria malattia. Già dopo pochi giorni di «cura» Spurlock ha preso qualche chilo in più e in un palo di settimane i medici gli consigliano vivamente di fermare il suo esperimento: analisi del sangue completamente sballate, effetti dannosi al fegato, pericolosi sintomi provengono dal cuore che protesta, stati di depressione ed euforia si alternano stranamente e in coincidenza del prima/dopo abbuffata(si può diventare dipendenti da fast food? Spurlock sonda anche questa ipotesi). Alla fine del mese sarà anche ingrassato di più di dieci chili.
Insomma, un disastro: del resto, a dispetto delle pubblicità e come raccontalo stesso Spurlock nel film, quasi nessun nutrizionista statunitense consiglia di mangiare in un fast food per più di una o due volte al mese. Lui, invece, lo fa per tre volte al giorno.
il nostro ha evidentemente esagerato, in quanto cavia ha scelto di farsi del male deliberatamente, mala cosa che spaventa di più nel verificare gli effetti sull’organismo di Spurlock, è che negli Stati Uniti non sono pochi quelli che si nutrono quasi quotidianamente nei fast food. Soprattutto tra le generazioni più giovani. E il documentario lo dimostra intervistando le nuove leve entusiaste di McDonald’s o casi disperati come l’obeso che, in procinto di farsi operare allo stomaco, ingurgitava quattro cinque bicchieroni da due litri di bibite gassate al giorno (l’equivalente di 48 cucchiaini di zucchero l’una!). Vittime del Supersize, porzioni di cibo e bibite spropositate, che in Europa non abbiamo malvisto e che ora, in seguito alla denuncia del film, anche agli americani sono negate: Spurlock si era posto come regola di ordinarle se alla cassa gli veniva proposto dall’addetto (come insegnano durante il training ai bravi dipendenti dei fast food). Capitava due volte su tre.
Il povero Spurlock impietosisce un po’ quando soffre in maniera evidente ma, se vogliamo, se l’è cercata e fa parte del gioco che si è imposto: non possiamo però dire lo stesso dei bambini. In un passaggio divertentissimo Spurlock fa un quiz a ragazzini con non più di sette otto anni, mostrando loro delle foto.
Soltanto uno riconosce George Washington, uno scambia Gesù per George W. Bush (incredibile!), ma tutti non esitano a urlare di gioia quando appare il clown Ronald McDonald.
La parte del documentario dedicata ai bambini e all’alimentazione nelle scuole americane è quella che fa più riflettere e, un po’, spaventa. Qui si capisce quanto sia importante oggi l’educazione alimentare e al gusto, quanto i ragazzi subiscano modelli imposti non soltanto dalla pubblicità, ma da una sorta di inerzia conseguente la conquista del mercato da parte della ristorazione di stampo industriale, una sorta di lassismo più o meno interessato che coinvolge tutte le istituzioni pubbliche americane. Sono sicuro che dopo la visione di questo film molti genitori saranno spinti a controllare che cosa mangiano i loro figli a scuola e a battersi perché nelle nostre mense si servano prodotti locali, freschi, di stagione, cucinati sul momento. Controlleranno anche che cosa mangiano i propri figli quando sono fuori casa.
Va detto che Supersize Me non vuole demonizzare McDonald’s, demonizza indirettamente certi comportamenti e punta il dito su una deriva dei costumi alimentari che ha giovato soltanto a pochi grandi gruppi multinazionali (e questi non hanno certo fatto nulla per impedirla). Direi che il film non insegna a prendersela con i fast food (che infatti non troveranno appigli per rivalersi contro la pellicola o il suo autore): piuttosto suggerisce di farlo con se stessi se si mangia in un certo modo o se lo si permette ai propri figli. È un film educativo. E di questo tipo di educazione c’è quanto mai bisogno.
Autore critica:Carlo Petrini
Fonte critica:Lo Specchio
Data critica:

2 /4/2005

Critica 3:
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