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Gelosia (La) - Jalousie (La)


Regia:Garrel Philippe

Cast e credits:
Sceneggiatura: Philippe Garrel, Caroline Deruas, Arlette Langmann, Marc Cholodenko; fotografia: Willy Kurant; musiche: Jean-Louis Aubert; montaggio: Yann Dedet; scenografia: Emmanuel de Chauvigny; costumi: Justine Pearce; interpreti: Louis Garrel (Louis), Anna Mouglalis (Claudia), Rebecca Convenant (Clothilde), Olga Milshtein (Charlotte), Esther Garrel (Esther), Arthur Igual, Emanuela Ponzano; produzione: Sbs Productions-Integral Film; distribuzione: Movies Inspired; origine: Francia, 2013; durata: 77’.

Trama:Louis è uno squattrinato trentenne, attore di teatro, che vive con la sua nuova compagna Claudia, anche lei promettente attrice e ora senza lavoro, un'appassionata storia d'amore. Lui ha una figlia, nata da una relazione con un'altra donna, che a sua volta vive da sola con la bambina e deve lavorare per mantenerla, perché l'attore non le può passare nulla. Tuttavia, quando la sua nuova compagna lo abbandona, l'uomo decide di farla finita e si spara. Il suo tentativo, però, fallisce: invece di colpire il cuore mortalmente, la pallottola gli perfora il polmone sinistro. Ricoverato in ospedale, l'uomo riceve le visite di sua sorella. Oramai, tutto ciò che gli rimane sono la sorella e il teatro...

Critica (1):I “garrelliani” convinti (una specie in via d’estinzione, purtroppo) senz’altro si ricorderanno di Sauvage Innocence, presentato a Venezia nel 2001: un film in cui Garrel arrivò a uno degli apici dell'intreccio tra cinema e vicende autobiografiche. Lì la protagonista Lucie doveva interpretare (film nel film) una tossicodipendente modellata sull’ex compagna del regista, e finiva naturalmente col mischiare realtà e finzione, e iniziare lei stessa un’esperienza di dipendenza dall'eroina.
La Jalousie ne ripercorre in un certo senso lo schema. Anche se questa volta non si tratta tanto di vicende amorose (a dispetto del titolo) ma di vicende famigliari. Stando alle parole di Philippe Garrel, Louis Garrel, protagonista del film, interpreterebbe infatti un personaggio modellato sul padre del regista, l’attore Maurice Garrel scomparso due anni fa. In uno strano intreccio di padri-figli, realtà-finzione e generazioni che si accavallano, Louis finisce per incarnare suo nonno quando aveva la sua stessa età ed era apparentemente nella stessa situazione nella quale si trova nel film: attore di teatro squattrinato che abbandona una donna con cui aveva avuto una figlia per andare a vivere con un’altra.
«Non sono gelosa di te, papà», dice la figlia in braccio a Louis a un certo punto del film. Perché la gelosia di cui si parla è quella che lega i bambini ai padri quando ci si trova a cavallo di due famiglie diverse. Philippe fa interpretare il suo corrispettivo a una bambina, la piccola Charlotte (interpretata splendidamente da Olga Milshtein), alla quale spetta re-inventare il rapporto con il padre quando questi si innamora di un’altra donna che non è sua madre. «Un uomo geloso – diceva Lacan – ha torto anche quando sua moglie gli fa davvero le corna», questo perché la gelosia non è una speculazione sul fatto di un tradimento effettivamente avvenuto, ma è un affetto, una posizione soggettiva indipendente.
La gelosia della madre di Charlotte nei confronti di Louis, di Louis nei confronti di Claudia e di Claudia nei confronti di Louis, non è la cupa constatazione della caducità dell’amore, come il cinismo dei nostri tempi vorrebbe farci credere. Garrel ci fa vedere come l’affetto della gelosia possa essere ribaltato positivamente e farsi testimonianza di una capacità d’amare. Perché questo dev'essere in grado di trasmettere un padre: non l’applicazione della legge, ma la testimonianza di un desiderio. Anche nella forma della debolezza che la gelosia è capace di esprimere quando di fronte alla propria figlia ci si mostra nudi nella disperazione di un amore non corrisposto.
Con La Jalouise Garrel fa il suo bel più film da Les Amants Regulier, e uno dei film migliori del suo periodo “narrativo”. Aiutato da un bellissimo bianco e nero molto contrastato realizzato da Willy Kurant, che depotenzia i rischi di realismo didascalico e aumenta il senso di radicalità delle relazioni oppositive del film, evita ogni rischio di sentimentalismo e consolazione. Questi incastri di realtà e finzione, forse un po’ contorti da mettere in luce, non tolgono nulla alla semplicità e all’efficacia della storia, che in poco più di settanta minuti è in grado di articolare una riflessione tutt’altro che dimessa e leggera.
La Jalousie è il film con cui Philippe Garrel vuole parlare del rapporto col proprio padre all’indomani della sua morte. E lo fa, come sempre fa, mettendosi in mezzo ma evitando i facili autobiografismi. Perché il cinema di Garrel è da sempre fedele a un assunto teorico fondamentale: nella relazione tra vita e immagine, l’immagine non è mai lì per rappresentare qualcosa, ma semmai per provare a dare forma alla propria vita.
Pietro Bianchi, cineforum.it, 26/4/2014

Critica (2):Arriva da Venezia 70 il cinema “senza tempo”, ormai “quasi alieno” di Garrell, qui con una storia scritta a quattro mani, avendo aggiunto al solito Marc Cholodenko anche Caroline Deruas e Arlette Langmann. E questa scrittura masculin feminin si percepisce forte, nello slittare continuo dei punti di vista di una storia che, risulta curioso per un cinema così terribilmente personale e intimo come quello di Garrel, è tratta dalla “biografia vera” del regista. Louis, suo figlio, interpreta suo nonno a trent'anni – la stessa età che ha oggi. "Il film racconta la storia d'amore di mio padre Maurice con una donna, mentre io venivo cresciuto da mia madre (in La Jalousie, io sono la bambina)" spiega Garrel. Un miscuglio biografico generazionale, padri nonni figli sorelle, che alla fine mette in scena in un biancoenero essenziale e straordinariamente panoramico (“avevo bisogno di catturare le cose estreme ai bordi del quadro” spiega Garrel), che riposiziona il cinema del regista francese sui territori delle sue opere migliori, dove i sentimenti sono un micro/macro mondo assoluto, dove tutto avviene e dove tutto il resto, a parte l’arte (il teatro, la musica, il cinema, la letteratura) è puro contorno. Apre e chiude con “una separazione”, le lacrime che segnano il dolore lancinante della perdita dell’oggetto d’amore. Louis (Louis Garrel) lascia la moglie e la piccola figlia per vivere con il suo nuovo amore Claudia, attrice come lui ma senza lavoro, per vivere un po’ alla bohèmien in una piccola mansarda. Con regolare frequenza vede la figlia, con la quale vive un rapporto di tenera complicità. Ma gli amori, anche quelli più forti, prima o poi vivono le loro crisi profonde. Claudia vuole qualcos’altro, trova un lavoro, un uomo che le dà persino un appartamento, per viverci con Louis, pensa lei. E invece questo diventa il punto di non ritorno della storia, che scivola verso una inevitabile separazione. “Credi ancora in Dio? No, ma ho mantenuto gli angeli”, racconta Garrel che gli diceva un suo vecchio professore. E qui gli angeli sono evidentemente i figli che Garrel mette in scena entrambi, fratelli, in un cortocircuito familiare pazzesco (il figlio e la figlia che interpretano il nonno e la nonna) dove al centro resta sempre il cinema “più intimo del mondo” di Philippe Garrel (“sto disegnando i miei figli”, spiega). Ed ecco vecchi che diventano “padri sostitutivi” (il vecchio professore e il vecchio scrittore da andare a trovare), bambini che ci permettono di giocare e sorridere con il mondo, mentre più che la gelosia del titolo (che francamente non si sembra così centrato), sono le scie d’amore quelle che in questo “cinema pittorico”, sono sempre al centro del quadro. Come se non si potesse vivere senza l’amore (parola sempre al centro dei dialoghi del film), ma contemporaneamente fosse impossibile “vivere solo d’amore”, come fosse una droga, una droga potente, la più potente droga del mondo. E da una lacrima all’altra, il cinema di Garrel prosegue nel suo folle tentativo di “afferrare i sentimenti”, che invece sfuggono e, dopo averli vissuti, possiamo solo osservarli, in lontananza…
Federico Chiacchiari, 26/6/2014, sentieriselvaggi.it

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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