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Sangue


Regia:Delbono Pippo

Cast e credits:
Soggetto: Pippo Delbono, Giovanni Senzani; sceneggiatura: Pippo Delbono; fotografia: Fabrice Aragno; musiche: Victor Deme, Stefan Eicher, Camille - "Cavalleria rusticana" di Pietro Mascagni eseguita da: Coro e orchestra del Teatro San Carlo di Napoli, diretti da Pinchas Steinberg - tenore, Stuart Neill – mezzosoprano: Elena Zilio; montaggio: Fabrice Aragno; suono: Fabrice Aragno; interpreti: Pippo Delbono, Giovanni Senzani, Margherita Delbono, Anna Fenzi, Bobò; produzione: Compagnia Pippo Delbono e Casa Azul Films con la partecipazione della Cinémathèque Suisse coprodotta da Rsi Radiotelevisione Svizzera e Vivo Film in collaborazione con Rai Cinema; origine: Italia-Svizzera, 2013; durata: 92’.

Trama:Storia di uno strano incontro: quello tra l'attore e regista Pippo Delbono con Giovanni Senzani, ex leader delle Brigate Rosse. Un incontro dove s'intrecciano le storie di due donne: la madre di Pippo, Margherita, fervente cattolica, e Anna, la moglie di Giovanni, contraria da sempre alla lotta armata, che ha deciso di aspettarlo nei 23 anni di prigionia. Due donne che si ammalano e muoiono a qualche giorno di distanza, lasciando i due uomini feriti e indifesi, improvvisamente soli. Pippo Delbono continua a osservare e testimoniare momenti unici e irripetibili della sua vita: gli ultimi giorni di sua madre; ma anche quei momenti unici irripetibili in cui Giovanni decide di raccontare le cose che lui, brigatista, non pentito, non aveva mai raccontato prima. E negli stessi giorni anche L'Aquila, la città sgretolata dal terremoto e interamente svuotata dei suoi abitanti, attende che qualcuno finalmente le restituisca la vita.

Critica (1):Esce così, in silenzio, Sangue di Pippo Delbono, nonostante contemporaneamente all'Argentina di Roma vada in scena Orchidee, ultimo spettacolo teatrale del regista e attore che con il film condivide non pochi punti di contatto. Curioso ma prevedibile l'assordante silenzio, per utilizzare una frase fatta, che circonda Sangue di Delbono. Dopo le polemiche isteriche di Locarno il film, uno dei più audaci realizzati da un cineasta italiano negli ultimi anni, vede finalmente il buio di poche sale sparse sul territorio (...) grazie a una distribuzione tanto piccola quanto coraggiosa. Ovviamente, come sovente accade in questi casi, ciò che finisce per essere trascurato completamente è il valore del fatto filmico. Che, sia detto inciso, è davvero alto. Delbono filma ad altezza di occhi. Non bara, Delbono. Lui si sogna e progetta come estensione del suo dispositivo, leggerissimo, e dunque fluido, veloce. Nella tradizione delle avanguardie storiche, Delbono sogna una macchina leggera, in grado di trascolorare attraverso diversi strati di reale, passando da un piano all'altro, contando solo sulla propria presenza per legare insieme, momentaneamente, le tappe del suo errare. Mettendo in scena l'atto del proprio filmare, ossia l'atto del vedere con i propri occhi, Delbono di fatto ripensa sia il cinema diretto che quello in prima persona. Nel suo approccio al cinema non è presente l'inseguimento del feticcio di una verità unica, semmai si tenta di ipotizzare modalità altre per verificare possibilità di incontro e dialogo. Certo: Delbono non è un cineasta malleabile. La richiesta di dialogo e confronto che pone al Paese è severa. Non ci sono vie di mezzo per dialogare con Delbono. O si rischia, meglio: si gioca con lui, a questo gioco serio e buffo che è la vita, o non si capisce Delbono. E forse è proprio questa incapacità della nostra ufficialità nei confronti della sua poetica a determinare il silenzio infastidito che circonda 'Sangue'. L'antropologia poetica di Delbono, che si fonda in un intreccio di motivazioni che agita, danza, poesia, musica e la forma-film, la sua ossessione per le forme in grado di scompaginare l'esistente, è senz'altro il fatto nuovo del cinema italiano. Un fatto nuovo che si afferma attraverso una parola altra, praticando un cinema che del cinema, inteso come la tassonomia delle forme note, si disinteressa, e che osa pensare il proprio divenire in pubblico, mostrando i processi che lo portano a essere linguaggio, o meglio proposta di linguaggio. E tanto vale sfatare anche il mito dello spontaneismo, tanto dannoso quanto falso. Per ottenere un cinema così libero e danzante occorre disciplina. Una disciplina in grado di calibrare il gesto e il canto. Il passo e la danza. Senza contare il montaggio, autentico beau souci delboniano, cuore di tutto il suo pensiero cinematografico. Non è un caso che Delbono abbia al suo fianco il godardiano Fabrice Aragno, che calibra l'incastonamento dei frammenti al millimetro auscultandone l'oscillamento drammatico. 'Sangue', tra i suoi meriti, vanta questo: un cinema fatto di verifiche e sperimentazioni progressive. Un cinema che si cerca mentre si fa e che rifugge tutti i discorsi che non siano quelli di uno spostamento continuo. Differimento, per dirla con Derrida. Ecco perché a fronte della gioiosa complessità del cinema di Pippo Delbono e di Sangue, non si può fare a meno di notare la mancanza di risposte adeguate o, se proprio si vuole, di un livello di scontro adeguato alla sua complessità politica e linguistica. Così, fra le Orchidee e il Sangue, Delbono ci istiga a vivere, mentre il silenzio ufficiale vorrebbe mettere tutto a tacere. E invece a volte basta danzare le complessità per provare a vivere un'altra vita.
Giona A. Nazzaro, il manifesto, 16/1/2014

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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