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Vampyr


Regia:Dreyer Carl Theodor

Cast e credits:
Soggetto: da Carmilla e altri racconti di Joseph Sheridan Le Fanu; sceneggiatura: Carl Theodor Dreyer, Christen Jul; fotografia: Rudolf Maté, Louis Née; montaggio: Tonka Taldy; scenografia: Hermann Warm, Cesare Silvagni; musica: Wolfgang Zeller; interpreti: Julian West (barone Nicolas de Gunzburg) (David ‘Allan’ Gray), Henriette Gérard (Marguerite Chopin, il vampiro), Jan Hieronimko (il dottore), Maurice Schutz (il castellano), Sybille Schmitz (Léone), Rena Mandel (Gisèle), Albert Bras (il domestico), N. Babanini (sua moglie), Jane Mora (l’infermiera); produzione: Carl Theodor Dreyer Film Production, Tobis-Melofilm GmbH; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Francia, Germania, 1932; durata: 73’.Restaurato da Deutsche Kinemathek e Cineteca di Bologna in collaborazione con ZDF/ ARTE e Det Danske Filminstitut, presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata.
Musiche di Wolfgang Zeller, restaurate da Timothy Brock ed eseguite dall’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna da lui diretta.

Trama:In un paese senza nome. Preso alloggio in una locanda, il giovane David Gray riceve nottetempo la visita di un vecchio sconosciuto, che gli consegna un plico con la scritta «da aprirsi dopo la mia morte». In preda alla fascinazione, David si aggira per la campagna. Giunto a una casa apparentemente abbandonata, vede l’ombra di un guardiacaccia separata dal corpo che dovrebbe proiettarla e un uomo nell’atto di porgere una fiala a una vecchia megera. Il giovane giunge al castello del personaggio incontrato nella locanda, assiste alla sua morte e ne conosce le figlie: la giovane Gisèle e Léone afflitta da una malattia che la consuma. David apre il plico e vi trova un antico libro sui vampiri, dove apprende di una vecchia non-morta, Marguerite Chopin che succhia il sangue dalle fanciulle. Léone è vittima di un tale maleficio. Dopo aver riconosciuto nel medico del castello l’uomo che dava la fiala alla vampira, David decide di agire con l’aiuto del domestico. Supera un incubo in cui si vede sepolto vivo, quindi scava nel cimitero e trova il corpo della vecchia. Le trafigge il cuore con un paletto. Il corpo si polverizza e Léone guarisce. Vengono poi annientati i due servi della vampira: mentre il guardiacaccia cade morto, il dottore si rifugia in un mulino e resta soffocato dalla farina. David libera Gisèle, imprigionata dai mostri, e si avvia con lei verso un’alba luminosa.

Critica (1):Per Dreyer il vampirismo non è che un pretesto per delle variazioni personali, o meglio un trampolino per esprimere l’ossessivo rituale funebre che è alla radice della sua arte. Tradimento, si esclamerà. Forse. Ad ogni modo, quando ci avviciniamo a quest’opera capitale, che lo si faccia dalla prospettiva del vampirismo, della stregoneria, del misticismo, della passione sacra o profana, le parole e le immagini non hanno più lo stesso senso. Tutto precipita, cede o si sottrae. Non si tratta di un passaggio dal reale all’immaginario (come accade in Buñuel, Cocteau o Franju), ma di penetrazione progressiva in una sorta di mondo intermedio, di limbo dove gli ambienti, i paesaggi, i suoni non hanno più la stessa colorazione, la stessa struttura. Entriamo in un universo ovattato, livido, come rischiarato dalla luna, dove i soli punti di riferimento in teoria rassicuranti, ma che per contrasto finiscono per apparire quasi mostruosi, sono gli oggetti (tavole, lampade, brocche, libri di magia), bizzarre reliquie di una vita anteriore. Il riferimento all’estetica espressionista, sottilmente assimilata, l’apporto di decoratori come Jean Hugo e Hermann Warm, lo stile fotografico di Rudolph Maté (luce radente) non sono sufficienti a spiegare questo totale spaesamento, unico nella storia del cinema. […]
Per amare Vampyr, basta insomma adottare il punto di vista della magia, perfino della pazzia pura e semplice. Non c’è dubbio che Dreyer fosse folle. Folle come Novalis, Swedenborg, Chamisso e Achim von Arnim. Incapace di vedere il mondo così com’è ma deformandolo insidiosamente, cingendolo di un’aura fatta di una strana nebbia lattiginosa. In fondo, Dreyer forse non era che un artista intento a scolpire con amore i suoi sogni. […]
Oserei dire che qui siamo molto vicino all’onirico allo stato puro. Vampyr è un film dell’oltretomba, un film funereo e sepolcrale, che trasforma in ombra e polvere – che dico – in polvere d’ombra tutto ciò che vive e cammina. […] La ruota del tempo scandisce i destini, macina gli esseri e le cose sotto il suo assurdo meccanismo e lascia sussistere solo delle stelle residue.
Claude Beylie, “Midi-Minuit Fantastique”, n. 20, 1968

Critica (2):La colonna sonora di Vampyr composta da Wolfgang Zeller
L’idea di un’esecuzione dal vivo di Vampyr mi è venuta trent’anni fa, ma avevo dato per scontato che la colonna sonora, come tante altre, fosse andata perduta. Sono in debito con Martin Koerber, la Cineteca di Bologna e il Deutsche Filminstitut per avermi fornito una copia fotografica del manoscritto su cui si basa questo restauro.
Il film di Dreyer esige molto dal suo compositore, che deve fare da narratore lirico in un film praticamente privo di suoni e dialoghi. È l’esatto opposto del Dracula girato da Browning solo un anno prima, che è tutto dialoghi e suoni ma privo di colonna sonora originale. Wolfgang Zeller (1893-1967), le cui radici cinematografiche affondano in Achmed, il principe fantastico (1926) di Lotte Reiniger, conosceva bene il linguaggio musicale del cinema muto. La partitura accompagna con intensità 71 dei 73 minuti di Vampyr, sottolineando febbrilmente il cupo paesaggio di Dreyer con trascinanti passaggi lirici ed eterei, nonché con recitativi straordinariamente efficaci che sospendono la musica permettendo al film di accogliere il primo tentativo di Dreyer con il sonoro.
Tuttavia, i rari dialoghi fungono in sostanza da effetti sonori – come lo scricchiolio di una porta, il gracchiare di un corvo – e fanno poco per l’avanzamento della trama. È la musica a svolgere quel compito. Infatti la maggior parte degli effetti sonori fu eseguita proprio dall’orchestra, e appare nello spartito.
Ciò detto, sulla carta manca ancora molto. Mentre dirigeva la sessione di registrazione Zeller introdusse un’enorme varietà di cambiamenti di tempo, misure di ripetizione, note cancellate e sostituzioni di strumenti. Trattandosi di una registrazione di mediocre qualità del 1931, è stato molto impegnativo notare questi cambiamenti per conseguire qualcosa che (spero) assomigliasse a ciò che sentiva Zeller. Il manoscritto fu scritto a matita e in seguito ricalcato a penna, con frequenti indicazioni indecifrabili di istruzioni e suggerimenti visivi. Non avendo mai riproposto la composizione, Zeller archiviò il manoscritto, che finora non era mai stato ascoltato dal pubblico in una performance dal vivo.
Timothy Brock (dal sito della Cineteca di Bologna -Il Cinema Ritrovato)

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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