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Figlio di nessuno - Nicije dete


Regia:Rsumovic Vuk

Cast e credits:
Sceneggiatura: Vuk Rsumovic; fotografia: Damjan Radovanovic; musiche: Jura Ferina, Pavao Miholjevic; montaggio: Mirko Bojovic; scenografia: Jelena Sopic; costumi: Maja Mirkovic; effetti: Vladan Duric; interpreti: Denis Muric (Pucke), Pavle Cemerikic (Zika), Isidora Jankovic (Alisa), Milos Timotijevic (Ilke), Tihomir Stanic, Borka Tomovic, Goran Susljik, Zinaida Dedakin, Branka Selic, Mihailo Laptosevic, Draginja Voganjac, Marija Opsenica, Ljuba Todorovic, Bora Nenic; produzione: Miroslav Mogorovic per Art&Popcorn, in coproduzione con Vuk Rsumovic per Baboon Production-Kinorama; distribuzione: Cineclub Internazionale; origine: Serbia, 2014; durata: 97’.

Trama:Primavera 1988. Un bambino, cresciuto tra i lupi, viene ritrovato nelle montagne della Bosnia. Haris, questo il nome che gli viene dato, viene inviato all'orfanotrofio di Belgrado dove stringerà una forte amicizia con un bambino di nome Zika e col tempo riuscirà a pronunciare le sue prime parole. Ma nel 1992, durante la guerra, viene rimandato in Bosnia e richiamato al fronte. Qui, una notte, Haris prende per la prima volta nella sua vita una decisione da solo. Basato su una storia vera.

Critica (1):Figlio di nessuno, vincitore del Premio del pubblico per la Settimana della Critica, racconta con delicatezza e profondità una storia vera. Nella primavera del 1988 fra le montagne della Bosnia fu rinvenuto un bambino. Ricoperto di terra, con le unghie lunghe dieci centimetri, incapace di parlare se non tramite mugugni e sinistri borbottii, era cresciuto in mezzo ai lupi. Spedito in Serbia, in un orfanotrofio di Belgrado, fu affidato alle cure dell'insegnante Ilke. Con il nome di Haris, cercherà di crescere e vivere in un mondo che non hai mai conosciuto. A dispetto di una materia così drammatica e incandescente, che avrebbe potuto prestare il fianco a una storia ad alto tasso di sentimentalismo edificante, il giovane regista Vuk Rsumovik, nato a Belgrado nel 1975 e presente a Venezia con la sua opera prima, si dimostra abile nel raffreddare la temperatura emotiva, come pure nell'evitare allo spettatore un'istintiva empatia nei confronti del piccolo protagonista (il bravissimo Denis Muris): per buona parte del film braccato, offeso, dileggiato, ridotto a muto testimone di un destino, il proprio, che non riesce a capire né afferrare. Come in altre opere che hanno tentato di tratteggiare vicende simili, pensiamo al Ragazzo selvaggio di Truffaut ma anche a L'enigma di Kaspar Hauser di Herzog (ma ci sono reminescenze di Anna dei miracoli di Arthur Peno, di Padre padrone dei fratelli Taviani), anche nella parabola del piccolo Haris si avverte la tensione di uno scontro feroce, quello tra natura e civiltà, tra necessità di dare un ordine al mondo imbrigliandolo con regole e principi (l'apprendistato educativo e comportamentale cui viene costretto appena giunto in orfanotrofio) e la spinta innata a esercitare senza condizionamenti la propria libertà. Scoperto l'orrore "animalesco" della guerra balcanica – a causa del suo nome musulmano Haris "la pulce" si ritrova a combattere nelle truppe bosniache – finirà per compiere una scelta regressiva, sotto il segno di un'amara disillusione.
Riccardo Lascialfari, Cineforum n.538, 10/2014

Critica (2):Anche nel cuore dell’Europa ci si può ritrovare figli di nessuno, abbandonati, selvaggi, costretti perennemente a sopravvivere e ri-cominciare. Buon esordio del regista serbo Vuk Ršumovic che ci catapulta senza preavviso nella vita di un ragazzo selvaggio, come fossimo in un romanzo d’avventura ottocentesco. Un bambino viene trovato in un bosco, ha vissuto sempre lì, chissà come, magari allevato da animali, cresciuto proprio come il ragazzo selvaggio di Truffaut…Haris (questo il nome che gli viene dato dalle autorità) sarà destinato in un Istituto per minori di Belgrado, nell'autunno del 1988, alla vigilia di tragicissimi avvenimenti storici che noi dirimpettai italiani abbiamo ben conosciuto. Ma il film si rinchiude sin da subito nella stanza del ragazzino, lo insegue con un sonoro che accentua all’estremo l’effetto di reale, ne sottolinea il disagio, l’esibita e commovente animalità e la sua lentissima educazione alla civilizzazione. Come? Attraverso il contatto con un proprio simile, un altro ragazzo disadattato che lo coccola e lo instrada al linguaggio e al vivere comune, salvo poi abbandonarlo brutalmente perché “le cose vanno così”. Haris è di nuovo figlio di nessuno: un destino speculare, del resto, alla sua bellissima e martoriata terra natia. Questo è un film che lascia intelligentemente ogni riflessione manifesta nell’immane fuori campo della Storia, avvertita come eco lontano che rimbomba nella crudele scansione del tempo. Sino al fatidico 1992, l’implosione jugoslava, la guerra civile, la barbarie che Haris vive sulla sua pelle proprio quando diventa ufficialmente “civile”. Il mondo della civiltà non è meno selvaggio di un animale feroce, e viene dipinto dalla mdp di Ršumovic come luogo di solitudine immensa e di morte per i suoi figli più deboli. E poi la guerra, non più in tv, ma tra le strade: una barbarie decine di volte più crudele del bosco, dove Haris può (di nuovo) rotolare sulla neve, libero e solo. Figlio di nessuno. Certo nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe obiettare, né dal punto di vista cinematografico né fiolosofico. Certo. Ma la lancinante sincerità nel raccontare questa piccola storia di formazione immersa nell’orrore rifacendosi molto umilmente a modelli altissimi (Truffaut, Chaplin, ecc), salva questo film dal fastidioso e programmatico voyerismo riscontrato per esempio nell’ultimo Hazanavicius e ce lo fa percepire come preziosa visione. Come piccola scheggia di vita che sa riaccendere il cinema oltre la guerra.
sentieriselvaggi.it

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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