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Hitchcock/Truffaut


Regia:Jones Kent

Cast e credits:
Sceneggiatura: Serge Toubiana, Kent Jones; fotografia: Lisa Rinzler, Genta Tamaki, Mihai Malaimare Jr., Éric Gautier, Daniel Cowen, Nick Bentgen; musiche: Jeremiah Bornfield; montaggio: Rachel Reichman; interpreti: Alfred Hitchcock (immagini di repertorio), François Truffaut (immagini di repertorio), Olivier Assayas, Peter Bogdanovich, Wes Anderson, Kiyoshi Kurosawa, Arnaud Desplechin, James Gray, Martin Scorsese, Paul Schrader, Richard Linklater, David Fincher; produzione: Artline Films-Cohen Media Group; distribuzione: Cinema Di Valerio De Paolis; origine: Francia-Usa, 2015; durata: 80'.

Trama:La più grande lezione di cinema di tutti i tempi che ci porta direttamente nel mondo del creatore di Psycho, Uccelli e La donna che visse due volte. Quando François Truffaut intervistò Hitchcock su ogni film della sua carriera ebbe un'intenzione molto chiara: mostrare ai critici americani che si erano sbagliati a sottovalutare i film di Hitchcock, che per loro erano solo film di intrattenimento e leggerezza. La visione singolare di Hitchcock viene riproposta nel film di Kent Jones da alcuni tra i più grandi registi d'oggi: Martin Scorsese, David Fincher, Arnaud Desplechin, Kiyoshi Kurosawa, Wes Anderson, James Gray, Olivier Assayas, Richard Linklater, Peter Bogdanovich e Paul Schrader. La conversazione tra i due uomini cambiò profondamente la critica nei confronti dell'approccio del cinema di Hitchcock nel mondo, ma non solo. Da allora il concetto stesso di "cinema" cambiò per sempre.

Critica (1):Un enorme successo di pubblico, un’accoglienza freddissima da parte della critica. Un fallimento al botteghino, ma un trionfo dal punto di vista “artistico”. A volte capita anche che il gradimento del pubblico e quello degli addetti ai lavori combaci. Più raramente, poi, ci sono opere che segnano un punto di svolta talmente radicale da segnare l’inizio di un nuovo percorso: capaci, in un certo modo, di sradicare le convinzioni preesistenti sulla percezione di un contesto, di un linguaggio, e donargli una nuova vita, un modo nuovo di sapersi rapportare con la coscienza collettiva. Questa cosa avvenne nel 1966, quando vide la luce uno “dei pochi libri indispensabili sul mondo del cinema”, Le cinéma selon Alfred Hitchcock (Il cinema secondo Hitchcock), volume nato dall’incontro avvenuto nel 1962 tra François Truffaut e, appunto, Alfred Hitchcock. La prima edizione era composta da 15 capitoli scritti sotto forma di dialogo. Il libro venne poi aggiornato e completato da Truffaut dopo la morte di Hitchcock, nel 1980, con un sedicesimo capitolo. Solamente quattro anni dopo, all’età di 52 anni, morì anche Truffaut.
A rendere omaggio a quello straordinario incontro (e a quella straordinaria pubblicazione) ci pensa ora Kent Jones – già autore del bellissimo documentario A Letter to Elia (2010) nonché direttore artistico della Fondazione World Cinema – che attraverso le registrazioni audio di quell’intervista (durata otto giorni…), delle celebri fotografie di Philippe Halsman, delle innumerevoli sequenze tratte dai film di Hitchcock, di Truffaut e di altri grandi registi, oltre alle testimonianze di Martin Scorsese, David Fincher, Arnaud Desplechin, Wes Anderson, James Gray, Richard Linklater, Olivier Assayas, Kiyoshi Kurosawa, Peter Bogdanovich e Paul Schrader, ricostruisce in Hitchcock/Truffaut il senso più profondo e l’essenza stessa del cinema.
Quell’incontro, quel libro, avvenuto quando Truffaut aveva diretto ancora “solamente” tre film (I quattrocento colpi, Tirate sul pianista e Jules et Jim), contribuì in maniera definitiva ad elevare la “sagoma” di Hitchcock (che il 13 agosto del 1962, quando iniziò l’intervista, compiva 63 anni e stava per completare il suo 48° lungometraggio, Gli uccelli) da mero creatore di intrattenimento ad artista con la A maiuscola. A decretare – in piena Nouvelle Vague – la consacrazione della figura del regista inteso come primo e riconosciuto deus ex machina dietro la realizzazione di ogni opera cinematografica.
E in soli 80 minuti Kent Jones riesce ad amplificare la portata di quell’evento: ogni frammento, ogni “dettaglio” presente nei vari film (dal Ladro a Vertigo, da L’uomo che sapeva troppo a Notorious, da Uccelli a Psycho), ogni commento e analisi apportato dai vari registi coinvolti in questo progetto tende a svelare, proprio come in un meccanismo che lo stesso Hitchcock avrebbe apprezzato, l’intera e stratificata, geometrica e strutturata perfezione del cinema del regista britannico. Sospeso in tempi dilatati e situazioni in cui il tempo andava fatto correre, ripreso da inquadrature dall’alto (“è qui che incombeva il senso del religioso nei suoi film”, parola di Scorsese) e sempre in cerca di qualche inserto, o dettaglio, da portare in primo piano solo apparentemente a scapito dell’insieme. Per portare in superficie frammenti di senso appartenenti all’onirico o, più semplicemente, creare meravigliosi depistaggi con cui cercare di sviare il pubblico. L’audience, sì, che Hitch non ha mai smesso di tenere sul piedistallo. A differenza di quanto accadeva con le innumerevoli star dirette nel corso di una lunghissima carriera: “Non esistono volti finché la luce non li colpisce”, una delle tante frasi topiche di Hitchcock, dalla cui voce ascoltiamo anche molti altri aneddoti presenti nel libro (Hitchbook, come amava definirlo lo stesso Truffaut), per esempio quello su Montgomery Clift che, durante le riprese di Io confesso (1953), non capiva per quale motivo il personaggio di Padre Logan dovesse guardare in alto verso l’hotel mentre davanti a sé c’era la folla di gente terrorizzata: “Un attore che si permetteva di interferire con il mio senso geografico del film… Per questo gli attori non sono altro che bestiame”.
O la celebre sequenza del bacio tra Ingrid Bergman e Cary Grant in Notorious (1946), con la macchina da presa che stringe sempre di più sui due protagonisti, “finendo per creare un insolito ménage à trois con lo spettatore”, cosa che però creò più di qualche imbarazzo ai due interpreti: “Sì, mi dissero di non sentirsi a proprio agio. E che cosa volete che me ne importi che non vi sentite a vostro agio?”. Il regista sopra ogni cosa e, con lui, l’idea strutturata del film. Ed è curioso come proprio Truffaut – tra i più alti e riconosciuti rappresentanti della Nouvelle Vague – tenti di intervenire “a difesa” dell’attore, raccontando il suo modo di rapportarsi durante la lavorazione di un film, lasciando in alcuni casi spazio all’improvvisazione, oppure costruendo insieme le battute.
Ed è qui che l’opera di Kent Jones incomincia a svelare compiutamente la propria natura, già abbastanza intuibile dal titolo stesso: come il libro/intervista di Truffaut contribuì a liberare Hitchcock dalle strette maglie del semplice “intrattenitore” (come l’aveva sbrigativamente etichettato la critica americana), così Hitchcock riuscì a trasformare definitivamente il critico Truffaut in un regista a 360°: il film – attraverso le immagini, le voci e le geniali scelte linguistiche, a volte agli antipodi, dei due registi, attraverso l’analisi delle opere e il racconto di alcune tra le scene più o meno note di quei film – non fa altro che operare questa incredibile traduzione che dalla pagina stampata viene ospitata dal grande schermo. Perché è lì, e dove altro altrimenti?, che l’essenza di due maestri come Hitchcock e Truffaut può esprimersi al meglio. (…)
Valerio Sammarco, La rivista del cinematografo, cinematografo.it, 20/10/2015

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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