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Plages d'Agnès (Les) - Plages d'Agnès (Les)


Regia:Varda Agnès

Cast e credits:
Sceneggiatura: Agnès Varda; fotografia: Hélène Louvart; musiche: Joanna Bruzdowicz, Paul Cornet, Stéphane Vilar; montaggio: Baptiste Filloux, Jean-Baptiste Morin; scenografia: Franckie Diago; interpreti: Agnès Varda (se stessa), Mathieu Demy (se stesso), Rosalie Varda (se stessa) produzione: Agnès Varda per Ciné Tamaris-France 2 (Fr2); origine: Francia, 2008; durata: 100’.

Trama:Immagini, incontri, estratti di film e reportage fotografici per illustrare le spiagge che tanta parte hanno avuto nella vita privata e nell'opera della regista Agnès Varda.

Critica (1):Incantevole il film di memorie Les plages d' Agnès con cui l' 80enne regista franco belga Agnès Varda festeggia il suo cinema, la sua vita, il suo amore con Jacques Demy, 32 anni di alti e bassi fino alla sua morte (ora si sa fu Aids). Una recherche che ripercorre la storia del cinema ma non solo chiama in causa Vilar, i primi passi di Noiret e Depardieu, piccolo grande viaggio poetico e non retorico sulla Francia del XX secolo. Inizia sulle spiagge amatissime dalla regista che ama gli orizzonti infiniti, non i panorami verticali, col vento del Nord che aiuta il set. L'amarcord della Varda si nutre di affetti e passa attraverso gli amici della nouvelle vague (Resnais e Godard), viaggi in America, la disperazione della malattia di Demy.
Maurizio Porro, Corriere della Sera, 4/9/2008

Critica (2):«La vita? Per me è orizzontale co­me l'orizzonte del mare e non verticale come il paesaggio montano: non è un ascesa ma una contemplazione». Parola di Agnès Varda, pronunciate durante la conferenza stampa di presentazione del suo ultimo, magnifico lavoro, intitolato Les plages d'Agnès (Le spiagge di Agnès). Se gli occhi sono lo specchio del­l'anima, il cinema può essere lo specchio
dei, nostri desideri, della nostra vita può essere uno specchio scuro come ci
ha insegnato il cinema noir, ma anche uno specchio luminoso e gioioso che ri­frange, moltiplicandolo in mille scheg­ge, i nostri ricordi. Ecco perché nella prima, bellissima sequenza del suo film, Agnès Varda piazza una ventina di specchi sulla spiaggia di fronte al Mare del Nord della sua infanzia. In quegli specchi si riflette il mare, la natura (che diventa impressionista), la regista stes­sa, la macchina da presa naturalmente: mezzo indispensabile per trasformare il sogno in immagine. Ma anche il ricordo di estati lontane, di un'infanzia perduta ma non veramente rimpianta. Perché le spiagge? «Se potessimo aprire in due le persone», dice la regista «troveremmo dei paesaggi. Se aprissi me stessa trover­ei delle spiagge». «Non ho mai amato», ha detto in conferenza stampa «questa idea della vita come ascesa, questa idea "verticale" della vita; al contrario amo il
paesaggio orizzontale del mare, il suo orizzonte e le distese di sabbia che gli stanno di fronte».
Les plages d'Agnès ripercorre a ritroso la vita dell'autrice: mescolando ricordi personali, brani dei suoi film, gli amici che non ci sono più – a cominciare dal­l'amatissimo marito Jacques Demy scomparso nel 1990 – quelli che ci sono ancora. I collaboratori abituali e i figli della regista, gli amici di un giorno e quelli di una vita, contribuiscono ognu­no a costruire una tessera del puzzle di cui si compone il film. La regista stessa si mette in scena in prima persona parlando direttamente davanti all'oc­chio della sua piccola videocamera di­gitale. Ricorda, spiega, divaga, raccon­ta, si confessa, piange e ride mentre srotola il filo della vita di energica ot­tantenne. Nata a Bruxelles, le spiagge del Mare del Nord sono il suo primo ri­cordo, ma subito i ricordi la portano sulle spiagge di Sete nel Sud della Francia, tra i pescatori che aveva cono­sciuto nella sua giovinezza e che aveva fotografato nelle prime prove di indi­pendenza artistica. E poi ancora, Pari­gi, naturalmente, dove viene ricostrui­ta una spiaggia urbana come quelle che d'estate vengono realizzate sui bor­di della Senna. E poi ancora Los Ange­les con le spiagge di Venice Beach e l'Isola di Noirmountier dove, giovanis­sima, la regista troverà l'ispirazione per i suoi primi film. Ancora a Parigi per raccontarci e per descriverci il mi­nuscolo cortile della sua casa dove da un lato lavorava Jacques Demy ai suoi film e dall'altro lei per i suoi. Un corti­le pieno di cinema, sorvegliato dal fe­dele gatto di casa.
Da brava spigolatrice, come si definisce lei stessa – del resto uno dei suoi ulti­mi film si intitolava proprio Les gla­neurs et la glaneuse (Gli spigolatori e la spigolatrice) – raccoglie brani scar­tati delle sue opere, recupera brandelli di memoria attraverso quelli della pel­licola, ma anche attraverso le vecchie fotografie di famiglia, che mostra creando dei collages sulla sabbia. Una vita piena e viva e intensa, quella vis­suta dalla Varda che si è sempre trova­ta nel posto giusto al momento giusto: la Nouvelle Vague negli anni Cinquan­ta, il '68 vissuto a Cuba e a Los Ange­les (e non a Parigi) filmando il nascen­te movimento delle Pantere Nere, quel­lo degli hippy, ma anche l'assassinio di Bob Kennedy e le manifestazioni con­tro la guerra nel Vietnam. A Sète, a Noirmountier, ad Avignone, a Los An­geles, la Varda riunisce e ritrova amici e collaboratori mentre incessante si snoda il filo dei ricordi: un film prou­stiano, quindi, che parte dal presente e poi srotola il nastro della storia che è, allo stesso tempo, quella personale e familiare della regista, quella del suo cinema ma, in fondo, un po' anche la nostra che quel cinema e quella vita abbiamo in parte condiviso ameno sul­lo schermo.
Può sembrare un film nostalgico e inve­ce, al contrario, è un film vivacissimo, pieno di speranza anche quando ci parla delle persone che non ci sono più. A co­minciare, naturalmente, da Jacques Demy. La ricostruzione della vita e del­l'organizzazione del lavoro in quel mi­nuscolo cortile parigino – dove per par­cheggiare l'auto la povera Agnès doveva compiere dodici manovre – è un piccolo trattato di economia domestica e di pro­duzione cinematografica. Ma tutto il film stupisce per la grazia e la leggerez­za del racconto, per la levità miracolosa del tono sempre "giusto" quando affron­ta sia i temi leggeri che quelli tragici. Un film che sprizza buon umore. Come la sua autrice, sempre attiva, viva, viva­ce, un po' rompiscatole e invadente se vogliamo, ma se non fosse così non sa­rebbe riuscita a lavorare in libertà. La libertà che oggi ha trovato nella legge­rezza del mezzo elettronico. Filmare e filmarsi con una piccola videocamera digitale è per la Varda fonte inesauribile di gioia e di contentezza.
Filmare per essere liberi, quindi. Ma anche essere liberi per filmare. Agnès Varda si paragona ad un uccellino che saltabecca di qua e di là, cercando picco­li rametti, oggetti disparati, brandelli di cose per costruirsi un piccolo nido: il ni­do della memoria dove ritrovare i volti amati e quelli incrociati per caso, quelli degli amici e dei parenti, ma anche, per­ché no?, quelli degli spettatori che si ri­specchieranno nel film proiettato sullo schermo. Quando venne a Bergamo, ospite della retrospettiva "Jacques Demy e un po' di Varda", organizzata da Bergamo Film Meeting nel 2001, ci disse che il cinema di Jacques Demy, e, in fondo, anche il suo, non era tanto ba­sato sul sogno ma, al contrario, sulla realtà; quella che il cinema (a volte) può rendere un sogno.
Andrea Frambrosi, Cineforum n.479, 11/2008

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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