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Fino a qui tutto bene


Regia:Johnson Roan

Cast e credits:
Sceneggiatura: Ottavia Madeddu, Roan Johnson; fotografia: Davide Manca; musiche: I Gatti Mézzi; montaggio: Paolo Landolfi, Davide Vizzini; scenografia: Rincen Caravacci; costumi: Rincen Caravacci; suono: Vincenzo Santo; interpreti: Alessio Vassallo (Vincenzo), Paolo Cioni (Paolo), Silvia D'Amico (Ilaria), Guglielmo Favilla (Andrea), Melissa Anna Bartolini (Francesca), Isabella Ragonese (Marta); produzione: Roan Johnson in collaborazione con gli autori, gli attori e la troupe del film; distribuzione: Microcinema; origine: Italia, 2014; durata: 79’.

Trama:Cinque ragazzi che hanno studiato e vissuto nella stessa casa a Pisa, stanno per trascorrere il loro ultimo fine settimana tutti insieme in quel luogo che ha visto amori nati e finiti, nottate insonni sui libri e festeggiamenti dopo gli esami. Fra tre giorni, infatti, ognuno di loro andrà incontro alle scelte che determineranno il corso di una vita...

Critica (1):Soldi zero, talento molto, determinazione pure e il film si fa, funziona, vince subito dei premi e diventa, ancor prima di uscire nelle sale, un piccolo cult con tanto di benedizione di un talent scout come Paolo Virzì. Sembra una favola ma non lo è. Ed è felice di sentirselo dire la folla di studenti universitari che sogna di lavorare nel cinema, affolla l'aula magna del Polo Carmignani e pende dalla labbra del quarantenne regista pisano Roan Johnson, emozionato nel raccontare come è nato e cresciuto il suo Fino a qui tutto bene, storia di cinque ragazzi e dei loro ultimi giorni di convivenza prima di separarsi perché il traguardo della laurea è raggiunto ed è tempo di diventare grandi davvero. Una produzione "in cooperativa", nel senso che tutti, regista, attori e maestranze hanno realizzato la pellicola praticamente senza budget, nella speranza di poter guadagnare poi qualcosa dagli incassi.
Un esempio, una lezione, e la sede scelta per lanciare finalmente ai giovani un messaggio di ottimismo non poteva che essere l'università. L'Università di Pisa, da dove tutto è nato,
perché nel 2012 a Roan Johnson fu commissionato un documentario che si doveva intitolare Il vino migliore e raccontare, attraverso le testimonianze degli studenti, lo spirito dell'ateneo. E dove tutto ora ritorna, perché comunque il documentario diventato fiction racconta proprio Pisa e la sua università. Inevitabile quindi che in questa sorta di battesimo organizzato ieri pomeriggio al Polo Carmignani, un incontro dibattito coordinato dal direttore del Tirreno Ornar Monestier, il ruolo dei padroni di casa tocchi al rettore Massimo Augello e alla professoressa Sandra Lischi, ordinario di Cinema fotografia e televisione.
Con loro i veri eroi di questo progetto che ha il sapore della sfida e il colore rosa dell'happy end. Ossia il regista Johnson, la sceneggiatrice Ottavia Madeddu, tre degli attori (i pisani Paolo Cioni e Paolo Giommarelli e il livornese Guglielmo Favilla, mentre mancano Alessio Vassallo, Silvia d'Amico, Melissa Anna Bartolini e Isabella Ragonese ), il data manager Cesare Bonifazi, il fotografo Davide Manca. Il regista Paolo Virzì, ospite d'onore, li ha incoraggiati durante le riprese e ora se li coccola. E coccola anche Pisa, «una città che quando ero giovane noi livornesi vedevamo come come una terra di contadini e ci sentivamo come newyorkesi. Insomma, Pisa non esisteva. Ora invece Pisa esiste perché ha trovato chi sa raccontarla, come Gipi, come Roan. E un luogo esiste solo quando viene raccontato così bene al cinema. La città da cui provengo, Livorno invece non esiste più, è ormai un postaccio arretrato, che disprezza la cultura ed è fiero della sua ignoranza...».
Certo è così bella e così vera questa Pisa, la Pisa dei 50mila studenti, vista con gli occhi di questo piccolo gruppo di ragazze e ragazzi che abitano in un appartameno del centro storico condividendo speranze e paste scotte. E non servono chissà quali effetti speciali per emozionare. Ne è fiero il rettore Augello: «Quando ebbi l'idea di realizzare quel documentario e con Sandra Lischi affidammo la missione a Ron Johnson, di cui avevamo già apprezzato il suo I primi della lista, pensavano a una raccolta di interviste, qualcosa che non fosse uno spot, che contenesse un elemento narrativo. Ma poi le cose hanno preso una strada diversa, il materiale raccolto da Roan Johnson era talmente tanto e ricco di spunti che è nata l'idea del film».
Come è nata questa idea lo spiegano bene Johnson e soprattutto la sceneggiatrice Madeddu che una sera ha avuto l'illuminazione. «Ok il documentario, ma qui c'è di più. Intervistando gli studenti abbiamo colto una forza, una voglia di provarci, di sfidare la crisi, che ci ha colpito. Noi eravamo molto più pessimisti, più rinunciatari, rassegnati e lamentosi. Loro no. Si laureano in uno dei peggiori momenti della nostra storia dal dopoguerra eppure sono ottimisti». Il girato si accumula nel computer di Roan, cresce la sensazione che tutte quelle storie non possano restare così sospese. Alla fine appunto l'idea: un appartamento, cinque studenti "fuori sede" e quei pochi giorni prima dell'addio e della laurea in cui si finisce per dirsi tutto, per ricordarsi tutto. L'amicizia, i litigi, il sesso, i drammi, i giochi. «Nell'appartamento – raccontano Johnson e Madeddu – abbiamo vissuto davvero tutti insieme per un mese. Questo il tempo che abbiamo impiegato a girare il film. Un'esperienza che faceva crescere noi e il film».
Il risultato, secondo molti critici è strepitoso e Virzì, del quale Roan è stato allievo al centro Sperimentale di Cinematografia, parla di "piccolo capolavoro". «Ci sono tracce di vita sullo schermo, al di là dell'artificio. Sentimenti, storie, emozioni, è questo mix che quando è credibile fa funzionare un film. Una commedia che trasmette desiderio e speranza, che merita attenzione perché piena d'amore, di struggimento, di vita e di melanconia. Ma anche un film forte e speranzoso. Racconta quella stagione della vita al crinale tra l'adolescenza e l'età adulta». (...)
Cristiana Grasso, Il Tirreno, 12/3/2015

Critica (2):Saranno vent'anni ormai che in Italia quando qualcuno fa un bel film al di fuori delle solite formule finisce quasi per chiedere scusa. Sarebbe ora di invertire la tendenza per rivendicare la voglia e la capacità di fare un cinema meno sdraiato sulle presunte aspettative del pubblico e più capace di dar forma a qualcosa che è nell'aria ma che solo ì veri creatori sanno cogliere e interpretare.
L'ultimo in ordine d'arrivo di questi piccoli casi, che ciclicamente rovesciano i canoni dominanti nelle nostre tristi commedie, si chiama Fino a qui tutto bene e lo ha diretto l'anglo-materano-pisano Roan Johnson (soprattutto pisano, almeno quanto a umorismo), già scrittore (Prove di felicità a Roma Est, Einaudi), regista tv (I delitti del Barlume) e soprattutto autore di un altro film notevole anche se non molto visto: I primi della lista, come questo capace di fotografare tutta un'epoca raccontando un piccolo gruppo di personaggi (un gruppo di militanti di Lotta continua che a metà anni 70 si misero nei guai fuggendo in Austria per paura di un golpe).
Se quella era una storia demenziale ma vera, i cinque protagonisti di Fino a qui tutto bene sono frutto di fantasia. Ma si portano dentro le storie, le facce e gli umori in cui Johnson si è imbattuto girando un documentario sugli studenti per l'Università di Pisa. Mescolati e rielaborati a dovere dentro a uno spunto narrativo minimo e insieme immenso: gli ultimi tre giorni insieme di cinque giovani, tre ragazzi e due ragazze, che hanno studiato e vissuto nella stessa casa a Pisa dividendo tutto ciò che rende unica la loro età. Amori e disamori, bevute e passioni, eccessi e ripensamenti. Insomma un "addio giovinezza" post-Erasmus, post-Youporn, post-declino, ambientato nell'Italia flagellata dalla disoccupazione giovanile ma ancora capace di buonumore. Come dimostra il fuoco inesauribile di battute di questa commedia amara e irresistibile che con cinque attori poco noti ma formidabili cuce insieme ogni possibile tema, tic, gergo, inquietudine, follia degli under 30 con un brio che esclude le formule (niente calchi da film e serie di successo, per intenderci, come nel godibilissimo Smetto quando voglio, altro piccolo film-rivelazione, qui i modelli sono più nostrani).
Ma cerca – e trova – tutto un mondo in quella casa, nei problemi non così piccoli dei suoi abitanti, in quel coacervo di storie strambe, aneddoti, spacconate, che sono la base di ogni identità collettiva, ma anche occasione di trovate esilaranti a getto continuo. Che nascondono e insieme preparano il sottotesto amarognolo destinato a emergere poco a poco in questo film che sta a certa gioventù di oggi come Ecce Bombo poteva stare ai ragazzi anni 70.
Dunque via con amori finiti ma forse no, gravidanze indesiderate (e comunicate ai genitori via Skype, una delle molte scene memorabili per faccia tosta e divertimento), offerte di lavoro improvvise e devastanti da paesi lontani. E poi: dubbi lancinanti (sarà stato un vero incidente quello in cui perse la vita il sesto occupante della casa?). Confessioni imbarazzanti (è lecito portarsi a casa «due o forse tre» paracadutisti «per uscire da un periodo cupo», come confessa la più svelta del gruppo? O il sesso «coi fascisti» è da condannare sempre e comunque?). E canzoni esilaranti, opera come tutta la bella colonna sonora del gruppo I Gatti Mézzi, cioè bagnati, determinante come gli interpreti Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D'Amico, Guglielmo Favilla, Melissa Anna Bartolini, più Isabella Ragonese nei panni di quella-che-ha-svoltato, ma forse no.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 16/3/2015

Critica (3):Credevamo fermamente che il prodotto made in Italy dovesse smetterla per sempre con le microstorie dei giovani, carini e disoccupati, ma deo gratias le smentite ci stanno arrivando puntuali. Poco dopo il caso Smetto quando voglio, infatti, ecco un nuovo exploit firmato dallo scozzese Roan Johnson già autore del riuscito ma poco conosciuto I primi della lista: gli ultimissimi giorni trascorsi insieme di tre ragazzi e due ragazze che hanno studiato all'università e vissuto nello stesso appartamento pisano si trasformano in Fino a qui tutto bene in un diario audiovisivo in apparenza brado e frammentario, ma in realtà abilmente destrutturato che potrebbe occupare lo stesso presidio cinematografico che si guadagnò a suo tempo il proto-morettiano Ecce bombo...
Ed è così coinvolgente questo pot-pourri di scorribande, aneddoti, atti gratuiti e spassi feroci al limite dell'autolesionismo da suggerire addirittura un'assonanza letteraria che rischia di pesare troppo, vale a dire quel sentore di malinconia, spavalderia e suspense esistenziali che contrassegnano il definitivo passaggio all'età adulta nel capolavoro conradiano La linea d'ombra. Manca per fortuna la scenata-madre contro la sporca società, ma non per questo la crisi e
l'incertezza che toccano ai nostri «absolute beginners» risultano abrogate: Johnson non cede, semplicemente, alla retorica cosiddetta alternativa perché sembra mettersi sullo stesso piano dei personaggi e insieme a loro fare i conti con i progetti, le illusioni, le ambizioni che tutte le generazioni hanno coltivato e a prescindere dalle trappole epocali continueranno a coltivare.
La chiave decisiva funziona, ovviamente, grazie alla freschezza dei volti, corpi e parole degli attori – cinque predestinati che si chiamano Vassallo, Cioni, D'Amico, Favilla, Bartolini – che si svincolano dal macchiettismo affibbiato d'ufficio alla compagnia di giro dei Bisio-Siani-Cortellesi-Bova-De Luigi e conferiscono a gag canoniche come i balli, le sbornie, il sesso distratto, le gravidanze indesiderate o la «pasta col nulla» lo statuto di materiale originale anche dal punto di vista stilistico. «E che facciamo, ci arrendiamo?» non solo è la battuta chiave del film, ma sembra anche un garbatissimo invito rivolto ai tanti veri o presunti strateghi del cinema nostrano.
Valerio Caprara, Il Mattino, 19/3/2015

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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