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Dopo la guerra


Regia:Comencini Francesca

Cast e credits:
Fotografia
: Valerio Azzali; montaggio: Linda Taylor; suono: Gianluca Costamagna; montaggio del suono: Riccardo Spagnol; produzione: Full Moon Films, Regione Toscana, Fondazione Mediateca Regionale Toscana; origine: Italia, 2005; durata: 50'.

Trama:Documentario sulle conseguenze dalla guerra in Bosnia sulla vita di donne e bambini nei campi profughi. Non ci sono interviste, nessuno parla direttamente della guerra. Le ferite sono dentro, nascoste, cicatrici interiori che si svelano in un lampo in uno sguardo, un occhiata, una parola, e denunciano lo strazio delle assenze: dei padre, delle madri, dei fratelli, di una casa. Tracce senza lacrime che la guerra, come un fiume che si ritira, lascia dietro di sè.

Critica (1):La Mediateca di Pisa mi ha chiesto di realizzare un documentario sui bambini e la guerra, perché questo è il tema scelto dalla Regione Toscana in occasione della festa della Regione, a novembre. Io sto facendo altro, esito ad accettare, non riesco a fare due cose nello stesso tempo, poi mi dico che i documentari in Italia non si fanno, nessuno li finanzia e non hanno circolazione, e che quest'occasione non può essere lasciata sfuggire. Accetto e parto per la Bosnia con una piccola troupe di quattro persone oltre me, tutti ragazzi molto giovani. In Bosnia andiamo in nave. Partiamo da Ancona. Mi stupisco che sia così difffcile trovare posti nel traghetto. Chi va in ex Jugoslavia, d'inverno, con questa pioggia? I pellegrini. Ogni giorno dall'Italia partono centinaia di pellegrini cattolici diretti a Medjugorie, a pochi chilometri da Mostar. Nel 1981 sulle montagne, è apparsa la Madonna, la Gospa, come dicono lì, a un gruppo di bambini. Da allora il luogo è oggetto di una crescente venerazione. I pellegrini sono rumorosi, vengono da tutto il mondo, molti americani. Hanno magliette con su scritto Corpus Christi o I love Jesus. Ogni nave per la ex Jugoslavia è attrezzata di chiesa dove viene celebrata la messa. Lo scorso anno è venuto anche Mel Gibson, dice fiera una pellegrina. Si sbarca in Croazia. Una volta sbarcati, in Bosnia si va in macchina, o in furgone, come noi. Tra la Croazia e la Bosnia c'è una dogana, ma anche un invisibile, invalicabile confine. Forse per la natura, che si fa più aspra, più dura, montagne più alte, foreste più cupe, fiumi più grandi, enormi, dalle acque verdi che scorrono potenti e che diventano rosse quando piove. È una terra piena la Bosnia. Poi per la gente, più sospettosa, evita gli sguardi e fatica a sorridere. Il primo posto in cui andiamo è Mostar.
A Mostar Est, la parte musulmana, sembra che la guerra sia finita da cinque minuti. Ogni casa è crivellata di colpi. Molte sono distrutte. Tra le macerie qualcuno vive, dopo aver raccomodato un angolo di piano, messo tendine alle finestre, le uniche chiuse. C'è un cane legato a un palo tra le rovine di un palazzo completamente distrutto e disabitato. Perché? Per fare da guardia, risponde la nostra guida. (...) Dopo il campo di Tasovcici andiamo al campo di Grazanica, campo musulmano. Lì sono moltissime le vedove di Srebrenica. Ma non si riesce a stabilire il contatto, sento che non hanno voglia di essere filmate. Queste donne sono state prese e portate via con i bambini, mentre 7 mila uomini venivano massacrati. Molti bambini sono morti sui camion mentre li portavano via, erano troppo stretti, soffocavano. Ora i bambini sono cresciuti, sono ragazzi e giovani uomini. Il campo è molto diverso da quello croato, è organizzato come una cooperativa agricola. Mi colpisce l'aspetto più contadino, più arcaico e più organizzato che c'è in questo campo; c'è odore di fumo e odore di terra, covoni di fieno e fascine di legna. Ci sono i tappeti e le scarpe fuori ogni porta e le donne macinano il caffè a lungo e te lo offrono sorridendo, con quegli occhi azzurri colore del mare. Ma i ragazzi sputano al tuo passaggio e sibilano ingiurie. Non hanno dimenticato e non vogliono stare nel tuo documentario. Ne carichiamo tre sul furgone. Vogliono andare a Sarajevo, per assistere alla partita di calcio Serbia contro Bosnia. Due ragazzi della troupe vanno alla partita con loro, c'è molta tensione, è vietato portare persino il cellulare. Per fortuna le squadre pareggiano. (...) Davorin, il primo bimbo che filmo a Sarajevo, aveva la madre musulmana e il padre cattolico, e tutti e due erano comunisti, e si sono sposati fregandosene della religione, come la maggior parte delle coppie qui, che erano miste. La religione è stata un pretesto, questo mi sembra. La guerra è stata una guerra di territorio, la Serbia e la Croazia volevano spartirsi la Bosnia, e far fuori la pietra di inciampo, i musulmani. Ora, tra le altre cose, la guerra ha lasciato dietro di sé un nuovo fervore religioso e spuntano i germogli di nuove guerre. Davorin, dicevo, ha perso la mamma, il papà e il fratello. Vive solo con la nonna. L'unico morto durante la guerra è il fratello, ucciso dal suo migliore amico con un colpo di pistola in testa, quando entrambi avevano 13 anni. Il padre dell'amico aveva lasciato la pistola, carica, in giro per casa e l'amico l'ha presa e per gioco ha sparato. Dopo la guerra la mamma si è suicidata e il padre, diventato alcolizzato, è morto di cirrosi epatica, lasciando Davorin solo con la nonna, vecchissima. Il rapporto di questa nonna e di questo bambino è bellissimo, ma quanto durerà? Cosa accadrà di Davorin quando la nonna non ci sarà più? Poi c'è Cristina, 14 anni, bellissima, bravissima a scuola, bravissima pianista, aspirante fotomodella, che vive anche lei sola con la nonna, schizofrenica. La mamma di Cristina si è suicidata, come quella di Davorin, a guerra finita. Il padre non c'è, non se ne parla. Cristina accetta difficilmente di apparire nel documentario. La nonna, immobilizzata a letto, urla tutto il tempo. Accanto al suo letto un ammasso di carte, rifiuti, vestiti, oggetti rotti copre il pavimento. Invece la camera di Cristina è pulitissima, ordinatissima, e lei, mentre la nonna strilla, imperturbabile suona il pianoforte. Poi ci sono Selma, Seila, Leila e Amela, quattro sorelle musulmane che vivono con la mamma alla periferia di Sarajevo. Sono poverissime. Tutte e quattro le sorelle suonano il pianoforte. Sono praticanti, portano il velo per la preghiera, fanno il Ramadan. Il pomeriggio vanno a una festicciola, Selma e Seila ballano assieme. La sera Selma studia al piano un pezzo di Bach. Poi si addormentano abbracciate tutte e quattro assieme su un vecchio divano-letto."Il tempo è fuori sesto", dice un verso di Amleto. E questa è la sensazione che si ha in Bosnia. Il tempo si è sgangherato, dieci anni non hanno cancellato la guerra, non hanno costituito una pace, tutto cova nascosto, ma quando filmo la faccia assorta di Selma che suona il pianoforte in questa casa che racchiude tutto il mondo, mi dico che so perché faccio questo lavoro, le dico grazie in cuor mio stando attenta a non sfocare l'immagine, e mi dico che forse ce la farà a sussurrare al mondo, come lo ha fatto davanti alla mia telecamera: "Basta guerre".
Francesca Comencini - "Diario", gennaio 2005

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Francesca Comencini
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