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Vita da Bohème - Scènes de la vie de Bohème


Regia:Kaurismäki Aki

Cast e credits:
Sceneggiatura: Aki Kaurismäki, dal romanzo Scènes de la vie de bohème; fotografia: Timo Salminen; montaggio: Veikko Aaltonen; costumi: Simon Murray; suono: Jouko Lumme, Timo Linnasalo; musiche: Damia (Little Willie John), Sacy Sand (Mouloudji), Mauri Sumen (Serge Reggiani), Ciaikovskji (George Ots), The Fake Trashmen (Toshitake Shinohara); interpreti: Matti Pellonpää (Rodolfo), Evelyne Didi (Mimi), André Wilms (Marcel), Kari Väänanen (Schaunard), Christine Murillo (Musette), Jean-Pierre Léaud (Blancheron), Laika (il cane Baudelaire), Carlos Salgado (barista), Alexis Nitzer (Henri Bernard), Samuel Fuller (l'editore), André Penvern (l'ispettore di polizia), Maximilien Reggiani (il medico); produzione: Aki Kaurismäki, per Sputnik Oy, Pyramide Production - Films A2 - The Swedish Film Institute, Pandora Film; distribuzione: Ventana; origine: Finlandia - Francia, 1992; durata: 100'.

Trama:
Marcel Marx, un povero scrittore che vive di stenti a Parigi, viene sfrattato per morosità. Nell'appartamento subentra il musicista Schaunard, mentre Marcel beffa il padrone di casa, non pagandogli i due mesi arretrati, e poi va a mangiare al ristorante, dove accetta di dividere col suo vicino di tavolo una trota a due teste. I due si trovano subito simpatici e il pittore Rodolfo, profugo albanese, anch'egli povero, confessa al suo nuovo amico di non sapere dove andare a trascorrere la notte. Marcel allora lo conduce in quella che era la sua casa, dove Schaunard sta componendo una rumorosa musica ultramoderna. Per merito di Rodolfo, Marcel e Schaunard superano le prime difficoltà e i tre diventano amici. Intanto il pittore, che ricorre a vari espedienti per comprare i colori, una sera trova una donna addormentata sul pianerottolo davanti alla sua porta: è Mimì, che aspetta un'amica finita in prigione. Mosso a pietà, Rodolfo le offre ospitalità, andandosene a dormire altrove col suo cane Baudelaire, perché dichiara che la ragazza è troppo graziosa per dormire al suo fianco. Al mattino, la donna se ne va, lasciando un biglietto di ringraziamento. Frattanto, un magnate della stampa vuole affidare la direzione del suo giornale a Marcel ma questi non ha un vestito decente per presentarsi. Improvvisamente giunge in casa di Rodolfo un industriale dello zucchero, Blancheron, per farsi fare il ritratto. Allora il pittore con una scusa gli fa togliere la giacca, Marcel la indossa subito per recarsi al suo appuntamento d'affari e torna in tempo a casa per restituirla. Successivamente Rodolfo incontra Mimì andando a comprare le sigarette nella tabaccheria dove lei lavora: l'accompagna a casa, ma, sbagliando direzione, arriva davanti alla propria abitazione, la fa entrare, offrendole poi un brodino, in cui mette anche l'osso rubato al cane. Quella sera i due diventano amanti. Al mattino il pittore, portato il quadro a Blancheron, che lo paga, si compra qualche indumento e un portafogli in cui mette il denaro. Sul tram però viene derubato da un borseggiatore, senza che egli se ne accorga fino al momento in cui deve pagare il conto al ristorante dov'è andato con Mimì. Poiché i due non hanno soldi, paga per loro un signore gentile, seduto al tavolo accanto, ma la polizia, che il padrone aveva già chiamato, trova i documenti di Rodolfo non in regola, e lo fa espellere immediatamente dalla Francia e rimandare a Tirana. Dopo qualche tempo, Rodolfo riesce a tornare, passando la frontiera nascosto nel portabagagli di un'automobile, e gli amici lo riportano a Parigi. Intanto Marcel amoreggia con Musette, che lavora al suo giornale. Cercando Mimì, Rodolfo viene a sapere che non lavora più alla tabaccheria, ma vi capita spesso col fidanzato, che è quel gentile signore che aveva pagato il conto al ristorante. Appena la ragazza vede Rodolfo, lascia il suo nuovo fidanzato per lui. Intanto Blancheron, volendo diventare collezionista, compra dal pittore un quadro per millecinquecento franchi. Gli amici decidono una gita in campagna con le ragazze, alle quali comprano del vestiti sulle bancarelle. Dopo la felicità del picnic, i tre artisti sono di nuovo senza soldi e tutti hanno fame; Schaunard divide con gli altri ciò che ha: del pane. A questo punto Musette abbandona Marcel per un gentile agricoltore, mentre Mimì, pur amando Rodolfo, torna dal signore gentile perché con Rodolfo è difficile vivere. Lui comprende e se ne va. Giunge poi un autunno molto freddo. Il giorno di Ognissanti i tre amici contemplano una vetrina piena di specialità gastronomiche, poi vedono un gruppo di giocatori ad un tavolo e Schaunard, partecipando al gioco, vince. Così i tre possono mangiare, ma Rodolfo e Marcel, abbandonati dalle donne che amavano, sono tristi. A casa di Rodolfo giunge improvvisamente Mimì, infreddolita e ammalata, e l'innamorato la fa restare e l'assiste con premura. La ragazza è grave e sa che morrà presto, e Rodolfo lo indovina. Il medico fa ricoverare l'ammalata in ospedale, e, per pagarle una stanza singola, Rodolfo vende tutti i suoi quadri, Marcel i suoi preziosi libri classici e Schaunard la sua vecchia auto. A primavera Mimì manda Rodolfo a coglierle dei fiori e, quando egli torna, la trova morta. Calpestati i fiori, Rodolfo comunica agli amici la fine di Mimì e dice che vuol restare solo.

Critica (1):(...) Vita da bohème è, per Kaurismäki, il quarto film di denvazione letteraria, su undici girati. Dopo l'esordio con Delitto e castigo, dopo l'anticapitalistico Amleto si mette in affari (il suo più bel film) e il televisivo Le mani sporche, Kaurismäki, lettore anarchico, per usare una vecchia (e buona) definizione di Enzesberger, e onnivoro (si muove con una valigia piena di libri), lavora sulle Scènes de la vie de bohème di Henri Murger, scrittore dalla breve vita, morto a trentanove anni nel 1861, uscite a puntate tra il 1847 e il 1849 sulla rivista "Corsaire", raccolte in volume nel 1851, adattate poi per il teatro, riprese da Puccini e dal cinema (tra gli altri: L'Herbier, King Vidor, Gallone, fino a Comencini). Le Scènes di Murger fondavano il mito ottocentesco della bohème, della vita di miseria e di devozione all'arte. Kaurismäki, che ama il romanzo di Murger ma non l'opera pucciniana (nel film non c'è traccia di Puccini, c'è invece il Mozart delle Nozze di Figaro con l'aria del farfallone amoroso), riprende le cadenze di Murger (storie sentimentali e, sotto, amarezza e disincanto) ma le sposta in un altro mondo.
La Parigi delle banlieues più misere si chiama Malakoff, è abitata da profughi dell'Est e da altri naufraghi è lontanissima dal nostro mondo che non si vede e forse sta al di là dei palazzoni di vetro che incombono, nelle inquadrature di interpunzione, sui tetti della città dei bohèmiens. Kaurismäki è misoneista. Non sipuò dire che sia conservatore (è rockettaro; non ha vecchi mondi da rimpiangere); sicuramente odia l'oggi tanto da cancellarlo. Il mondo della bohéme è abitato da poverissimi artisti senza speranze, da donne perdu-
te (o che se ne vanno, come Musette, preferendo un agricoltore di Strasburgo a uno scrittore fallito), da rari baristi. Le strade sono vuote, non c'è il rumore della città, i rapporti con il mondo, quello che conosciamo tutti i giorni, sono limitatissimi, i rappresentanti del mondo normale sono delle bizzarre comparse (di derivazione cinematografica: l'editore Sam Fuller, il collezionista di quadri Jean-Pierre Léaud, il cliente del ristorante Louis Malle) o delle macchiette appena abbozzate (come il padrone di casa e il suo gorilla ringhiante, con capelli a spazzola e farfallino, ridicolizzata riproduzione di uomo, macho e scemo, preso da una qualche pubblicità di moda maschile degli anni Ottanta). Se il nostro mondo non esiste, l'altro, di Rodolfo, Marcel (che di cognome fa Marx), Schaunard e Mimi, diventa (quasi) inutile. Se il mondo usuale e quello dei bohémiens fossero in qualche maniera comunicanti, i bohémiens sarebbero allora dei marginali che, scegliendo appunto di muoversi ai margini rispetto ad un centro, riuscirebbero a segnalare una differenza. Ma essi sono abitanti di un altro continente. Il mondo usuale ed il loro sono chiusi l'uno all'altro.
I bohémiens non vivono su nessun margine. Stanno su un altro pianeta, rappresentano un'estraneità insensata e, sembra, inutile. Vengono da un mondo che non c'è più (l'Est; Rodolfo è profugo albanese) e non sono loro concessi contatti con un mondo (l'Ovest) che non si sa dove sia e che si interessa a loro solo per sbatterli fuori dalla porta. La bohème ottocentesca, poi gli impressionisti che facevano impressione ai borghesi (impressionisti ricordati nel film con un déjeuner sur l'herbe e una barca che scivola via), poi le avanguardie d'inizio secolo hanno avuto degli spettatori risentiti e stupefatti, si son fatte largo tra l'opposizione dei tradizionalisti. Per i bohémiens di Kaurismäki non è rimasto nessuno da spaventare. E lo sanno benissimo ("Oggi le opere d'arte si vendono come panini all'olio"). Sanno di essere inutili, loro e la loro arte. Marcel e Rodolfo discutono di avanguardie: "Il quadrato nero di Malevic è la fine della pittura" e "Schönberg e la scuola di Vienna sanciscono la fine della musica". Oppure: "Il melodramma è una forma d'arte in via di estinzione". Dopo le avanguardie storiche (il suprematista Malevic fa uso per la prima volta del quadrato nero su fondo bianco nel 1913), le bohèmes sono finite. Per questo il tempo di Rodolfo, Marcel e Schaunard è, nel film, un non-tempo in cui confluiscono segnali e oggetti di epoche diverse (o di nessun' epoca: una trota a due teste), vecchi telefoni e caffettiere, una macchina a tre ruote e una Trabant targata DDR carica di profughi bulgari, una canzone giapponese per Mimi che muore, valzerini francesi, rock duro, Mozart, la musica concreta di Schaunard (che esegue, su un pianoforte preparato, un pezzo alla Cage, suonando sulle corde, prendendo i tasti a testate). Siamo da altre parti (Malakoff) e in chissà quali tempi. Atemporalità, spiazzamento spaziale, incongruità sonore. La bohème è un'alterità impossibile e inutile. Il tirar cinghia dei suoi protagonisti dalle tasche vuote non serve a niente. Eppure. L'estraneità dei bohémiens, il loro nomadismo spazio-temporale, l'inutilità (nei confronti del nostro mondo) dicono anche dell'altro. Oggi, dopo la consunzione delle avanguardie (non solo artistiche), dopo la fine dell'Est, l'inaccettabilità dell'Ovest, la sua inguardabilità e invivibilità (addirittura invisibilità, dal punto di vista dei bohémiens: questo ci pare dica Kaurismäki), resta pur sempre all'ordine del giorno la costruzione di nuove verità, di nuove descrizioni del mondo. I bohémiens di Kaurismäki (e Kaurismäki stesso) non sanno inventare nuovi vocabolari, linguaggi, metafore per ridescrivere la vita e il mondo; vivono allora rinserrati in un nichilismo doloroso. Tutto il film, fino alla scena conclusiva della morte di Mimi e di Rodolfo che se ne va ("Ho bisogno di solitudine") con Baudelaire, il suo cane, non concede nulla al drammatico e al melodrammatico (niente Puccini). Kaurismäki dice che lo scopo del film è di renderci moderatamente tristi, perché (diciamo noi) non sappiamo trovare altri mondi, cioè inventare altre parole per questo mondo.
Dietro la riutilizzazione di molti elementi da feuilleton di bassa lega (artisti in miseria, perfidi padroni di casa, caccia ai soldi, per poi buttarli subito via quando ci sono), sotto la scorza del grottesco e del nonsenso ("Questo bicchiere è più piccolo dell'incubo di un alcolista"; Rodolfo al commissariato: "Posso fare una telefonata? Il mio cane è a casa da solo"; dialogo tra Mimi e Rodolfo: "Lei è un vero gentiluomo francese", "No, sono un albanese", "Allora mi posso fidare"), Kaurismäki, qui come in tutti gli altri film, anche quelli del suo côté goliardiaco (Calamari Union, Leningrad Cowboys Go America), prende atto di uno scacco. La marginalità, la condizione in cui si produce il nuovo, sembra oggi non significativa, inutile (eppure bisogna insistere). L'arte e in generale l'invenzione di nuovi linguaggi e vocabolari, di nuove interpretazioni del mondo, sono in un vicolo cieco (eppure bisogna insistere). I bohémiens non sanno dov'è il fuori-da-qui. Non accettano comunque di essere qui.
Anche Kaurismäki sente di non avere gran che da proporre, quanto a cinema. Ha tanto da ricordare: l'ombra di un treno che parte rievoca la partenza lumieriana del cinema; Fuller incarna la B americana come Léaud e Malle la nouvelle vague; gli esterni hanno luci e ombre renoiriane (padre e figlio), gli interni sono espressionisti. Kaurismäki, come i suoi bohémiens, si sente epigono, un po' inutile e triste. Non è simpatico invitare a cena una ragazza (invitare al cinema una spettatrice) e poterle offrire solo una zuppa fatta con l'osso rosicchiato di un cane che si chiama Baudelaire (un film fatto di ricordi). Eppure, facendo questo, Kaurismäki si conferma impietoso analista di una situazione. Sa guardarla in faccia e metterla, con lucidità, severità e una buona dose di ironia, sullo schermo. Richard Rorty (La filosofia dopo la filosofia, Laterza): "Chiamo ironici gli individui (che stanno) nella situazione che Sartre chiamava "meta-stabile": la situazione di chi non è mai del tutto capace di prendersi sul serio perché è sempre consapevole che le parole con cui si autodescrive sono destinate a cambiare, di chi è sempre cosciente della contingenza e fragilità del suo vocabolario decisivo, e quindi di se stesso... Il contrario dell'ironia è il senso comune. Questa è infatti la parola d'ordine di chi, per parlare delle cose di una certa importanza, usa inconsciamente il vocabolario decisivo a cui è abituato e che parlano quelli intorno a lui".
Bruno Fornara, Cineforum n. 317, 9/1992

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Aki Kaurismäki
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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