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Regno d'inverno (Il) - Winter Sleep - Kis uykusu


Regia:Ceylan Nuri Bilge

Cast e credits:
Sceneggiatura: Ebru Ceylan, Nuri Bilge Ceylan; fotografia: Gökhan Tiryaki; montaggio: Nuri Bilge Ceylan, Bora Göksingöl; scenografia: Gamze Kus; effetti: Jean-Michel Boublil; interpreti: Haluk Bilginer (Aydin), Melisa Sözen (Nihal), Demet Akbag (Necla), Ayberk Pekcan (Hidayet), Serhat Kilic (Hamdi), Nejat Isler (Ismail), Tamer Levent (Suavi), Nadir Saribacak (Levent), Mehmet Ali Nuroglu (Timur), Emirhan Doruktutan (Ilyas); produzione: Zeynofilm-Memento Films Production-Bredok Film Production; distribuzione: Parthénos e Lucky Red; origine: Turchia-Francia-Germania, 2014; durata: 196.

Trama:L'attore in pensione Aydin possiede un piccolo hotel nel centro dell'Anatolia che gestisce insieme alla giovane moglie Nihal, emotivamente distante, e a sua sorella Necla, ancora sofferente per il recente divorzio. L'uomo è anche il padrone di diverse case i cui inquilini non sono sempre in grado di pagare l'affitto e vengono puniti con il sequestro di televisore e frigorifero. È stato anche attore e ora sta pensando di scrivere un libro sulla storia del teatro turco.Durante l'inverno, però, la neve copre la steppa e la noia fa emergere tensioni troppo a lungo represse.

Critica (1):«Potere alla parola», cantava una ventina d'anni fa Frankie Hi-NRG. Nuri Bilge Ceylan, con Winter Sleep, a quel titolo aggiunge un punto interrogativo: si fa e ci fa una domanda. Lui, che aveva abituato a un cinema laconico e fatto di un linguaggio espressivo quasi sempre non verbale, che con l'ultimo C'era una volta in Anatolia aveva tracciato una mappa fisica ed esistenziale di quella terra con la pietosa scientificità di un cartografo dell'umano, spaziando nei luoghi e nelle menti con instancabile e silente ansia esplorativa, questa volta fissa il suo sguardo su un luogo simbolico, osservando entomologicamente i suoi abitanti nel loro incessante e vacuo ragionare, nelle loro dialettiche ruvide, o eleganti, ma sempre crudeli e inefficaci. Winter Sleep è il tempio dell'inazione, dell'affannarsi per inseguire la propria coda, il luogo di un letargo che è quello del coraggio (e) della vita. Quasi tutto ambientato in un albergo incastonato nelle montagne, all'interno del quale si incastona a sua volta il protagonista, quello di Ceylan è un film che racconta l'incistarsi dell'essere, il ripiegamento narcisista dell'intellettuale e dell'uomo che pensa sia sufficiente pensare e declamare (sulla vita, sulla società, sull'amore) per generare una reazione che esuli dalla propria ombelicalità. Perché fare, al riparo dal mondo, non è possibile. Ceylan mostra da subito la riluttanza
del suo protagonista a confrontarsi con l'esterno: quando lo fa nascondere dietro alla Land Rover, e al vociare aggressivo del suo scagnozzo, quando deve chiarire gli eventi che sono unico motore dinamico del film con dei suoi scalcagnati inquilini; quando non nasconde tutto il suo fastidio di fronte alla visita inaspettata di uno di questi ultimi; quando fallisce nel suo velleitario tentativo di fuga e di scarto finendo a incartarsi nuovamente, perfino ubriaco, sulle sue stesse parole e le sue stesse ossessioni. Chi vive con lui, una giovane moglie annoiata che cerca nella filantropia paternalistica una riscossa impossibile, e una sorella nichilista e inacidita, non è da meglio. Personaggi che sono una classe intellettuale e borghese totalmente autoreferenziale, senza alcuna possibilità e capacità di relazionarsi e dialogare in maniera reale con l'esterno: non ne condivide più i codici, accecata dal buio simbolico nell'antro in cui si è annidata e condannata a essere abbagliata dolorosamente dal fuoco di una mazzetta di denaro che brucia che simboleggia la sua sconfitta etica, filosofica, morale. Le loro parole, continue e assordanti, dice Ceylan, non hanno (più) potere. Il loro sentimento è tutto quello che rimane, nel finale di un film che sembra voler riportare tutto alla dialettica più intima e basilare, quella amorosa, intima, coniugale. Ma anche in quel caso, il sentimento è ormai sepolto sotto troppe parole e sotto troppi pochi gesti, anche lui ripiegato cancerosamente e impossibilitato a esprimersi. E allora perfino le ultime parole, quelle sincere
accorate di una lettera d'amore, sono destinate a sciogliersi e svanire come i primi fiocchi di neve che cadono al suolo: perché quella lettera rimarrà teorica inattiva come tutto il resto: e il mondo di Winter Sleep rimarrà sempre solo se stesso, immutabile, scavato e scolpito nella pietra, fossile di un tempo che lascia solo rovine attorno a sé.
Federico Gironi, Cinforum n. 535, 6/2014

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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