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Scene da un matrimonio - Scener ur ett äktenskap


Regia:Bergman Ingmar

Cast e credits:
Regia, sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Sven Nykvist; scenografia: Björn Thulin; montaggio: Siv Lundgren; Parte 1: Innocenza e panico - Prima: 11/4/1973 TV - Parte 2: L'arte di pulire sotto il tappeto - Prima 18/4/1973 TV - Parte 3: Paula - Prima: 25/4/1973 TV - Parte 4: La valle di lacrime - Prima: 2/5/ 1973 TV - Parte 5: Gli analfabeti - Prima 9/5/1973 TV - Parte 6: Nel mezzo della notte in una casa buia in qual-che parte del mondo - Prima: 16/5/1973 Tv ; interpreti: Liv Ullmann (Marianne), Erland Josephson (Johan), Bibi Andersson (Katarina), Jan Malmsjó (Peter), Anita Wall (signora Palm), Rosanna Mariano & Lena Bergman (le bambine Eva & Karin), Gunnel Lindblom (Eva), Barbro Hiort af Ornàs (signora Jacobi), Wenche Foss (la madre), Bertil Nordstróm (Arne); produzione: Cinematograph; distribuzione: ; origine: Svezia, 1972; durata: versione cinematografica 155’– versione integrale per la TV 294’.

Trama:Johan e Marianne si sono costruiti una vita "sicura" e tranquilla; hanno una casa, due bambine bene educate, Karin ed Eva, esercitano rispettivamente due professioni rispettabili e sono indicati come "coppia esemplare". Però da qualche anno, anche se lo nascondono anche a se stessi, esistono segni di "non comunicazione". Johan è diventato l'amante di una studentessa molto più giovane di lui, egoista e possessiva. Arriva il momento della resa dei conti e i due divorziano e anche Marianne finisce per lasciarsi andare ad avventure. Nonostante tutto, i due continuano ad incontrarsi ogni tanto e, parlando, riconoscono di non avere vissuto in pienezza la loro unione per "ignoranza" sulla sua vera natura e per averla concepita convenzionalmente, in base a false concezioni ricevute dalle proprie famiglie e dalla società. A distanza di anni, entrambi sposati con un'altra persona, i due si ritrovano e passano insieme un week-end nel cottage di un amico; scoprono di amarsi ancora e in maniera molto più profonda, molto più matura.

Critica (1):«Ho provato una specie di affezione per queste persone mentre mi sono occupato di loro. Sono state del tutto contraddittorie, talvolta spaventate come bambini, altre volte interamente adulte. Raccontano un sacco di sciocchezze; a volte dicono qualcosa di giudizioso. Sono ansiose, allegre, egoiste, stupide, gentili, intelligenti, piene di abnegazione, affettuose, arrabbia-te, tenere, sentimentali, insopportabili e amabili. Tutto in un miscuglio. Ora dobbiamo vedere come andrà».
Igmar Bergman, cit. in Ermanno Comuzio, Cineforum n. 144, 5/1975

Critica (2):Scene da un matrimonio è un film di grande verbosità, un lunghissimo, interminabile dialogo a due voci. E la meticolosa radiografia di una coppia analizzata fin nei minimi particolari per cercare la risposta a una domanda: perché tanti matrimoni falliscono? Come in tutti gli altri film di Bergman la risposta non c'è, ma c'è una miriade di spunti di riflessione sull'amore, sul rapporto tra i sessi, sulla vita, sull'egoismo. Sotto accusa è certamente il matrimonio come istituzione, ma anche il divorzio come istituzione. La via d'uscita per l'uomo, e per la donna, è riuscire a trovare al di là di tutto questo un vero rapporto d'amore, che non è soltanto sesso, ma anche tenerezza, sentimento, e forse anche qualcosa di più, di impalpabile, di irrinunciabile, che si ripropone e si ripresenta continuamente anche dopo l'esplosione dei rancori e dei contrasti. Bergman si diverte sadicamente a smantellare tutti i puntelli su cui si regge la vita apparentemente felice dei due protagonisti. Ma il tessuto narrativo non è lineare. Il percorso è tortuoso e non mancano i colpi di scena. Alla fine qual-che cosa resta, ed è senza dubbio un valore positivo. Come sempre Bergman predica l'amore come unico modo di superare le angustie di quella prigione che è la vita.
I personaggi sono due e soltanto due. Gli altri sono da contorno e il più delle volte, almeno nella versione cinematografica, sono presenti solo indirettamente attraverso le parole di Marianne e di Johan. Ma tra i due personaggi quello positivo è senza dubbio la donna. Ancora una volta Bergman è grande scandagliatore dell'animo femminile e grande ammiratore della donna. Marianne è il personaggio più interessante, più complesso, dramrnaticamente più valido. E anche il personaggio cui viene affidato il messaggio: la solidarietà da contrapporre all'egoismo. La crisi del matrimonio tra i due è crisi di un rapporto di solidarietà, e quel che lo mette in crisi è l'egoismo di Johan, dichiarato fin dall'inizio, fin da quando il legame coniugale non ha ancora manifestato alcuna crepa.
I mezzi espressivi sono ridotti al minimo. Tutto si svolge in interni, salvo qualche breve stacco. La macchina si muove pochissimo. Il prodotto è tale da poter essere fruito con qualche risultato anche senza le immagini, magari alla radio. Ma il gioco drammatico si ripropone in un sapiente uso dei primi piani. I due protagonisti recitano con i volti, con la bocca, con gli occhi, e offrono una prova da manuale. «Le loro facce, specialmente quella della Ullmann – scrive Fiorenzo Viscidi – assumono tali e tanti cambiamenti nei lineamenti, nel movimento degli occhi, nei tagli della bocca, nei cenni, nelle sfumature psicologiche più raffinate, da costituire l'esempio più chiaro di una cinematografia come massima possibilità di raffigurazione della mutevolezza degli stati d'animo, legati alla complessità delle situazioni in cui i protagonisti si vengono a trovare». Per dirla con Bergman: «A volte si fanno dei primi piani perché la situazione li esige, ma a volte li fai perché hai una voglia furente di sfidare le tue idee e quelle degli attori sull'espressione cinematografica. In quel momento ti accorgi di quanto il primo piano sia difficile, e quante cose riesce a rivelare, non solo il primo piano, ma anche la battuta che lo accompagna».
Neppure qui è assente il problema religioso, apparentemente adombrato soltanto in una citazione paolina, ma in realtà continuamente sotteso. (…) In Scene da un matrimonio l'assenza di Dio corrisponde al trionfo dell'egoismo e all'angoscia della solitudine. Il coniuge non è che la materializzazione più immediata e tangibile del «prossimo tuo» che il Vangelo impone di amare.
Sergio Trasatti, Ingmar Bergman, Il Castoro cinema, 11/12-1991

Critica (3):Negli ultimi trent'anni di produzione i più bei film di Ingmar Bergman sono stati realizzati per la televisione, alla quale il regista si dedica in via esclusiva a partire dagli anni '80 (con una frequenza sempre minore con il passare degli anni). Il contrasto tra il piccolo schermo e l'ampia portata della sua opera si trasforma in un'occasione per sperimentare in un nuovo campo. I due ultimi capolavori monumentali del cineasta — Scene da un matrimonio (1973) e Fanny e Alexander (1982) — metteranno a frutto una dimensione che solo la televisione può concedere al regista: il tempo. Entrambi i film sono una sorta di sintesi di tutta l'opera bergmaniana. Il primo prende la forma di uno sceneggiato in sei puntate e altrettanti episodi per una durata complessiva di quattro ore e quaranta minuti di trasmissione, tempo ridotto a meno di tre ore di proiezione per la versione cinematografica. Liv Ullmann (Marianne) ed Erland Josephson (Johan) vi incarnano una coppia sposata da dieci anni, che mostra, non senza una certa ostentazione, una felicità "moderna" (distacco, tolleranza, agiatezza): il film narra la cronaca minuziosa dell'inesorabile decomposizione del rapporto. Insieme variazione sul tema della Danza di morte di Strindberg e dissezione di un motivo centrale dell'ispirazione bergmaniana (la coppia), Scene da un matrimonio è un lunghissimo "dibattimento" sentimentale a porte chiuse, recitato essenzialmente da due attori, ripresi perlopiù inquadrati in primo piano. Sebbene evochi nella forma i "drammi da camera" di Strindberg, il film è una tragedia moderna capace di esprimere la tensione fra l'epidermide e la retorica, la superficie sensibile del volto e la proiezione astratta del linguaggio. In effetti non v'è nulla che non passi attraverso la combinazione vertiginosa e affinata di questi elementi.
Va poi segnalato il carattere autobiografico del racconto, tanto dal punto di vista dell'aneddoto (l'episodio del tradimento nella coppia percorre tutto il cinema di Bergman) quanto da quello dell'incarnazione (Josephson e la sua corazza ironica come doppio di Bergman, Liv Ullmann come doppio di tutte le donne del regista, a cominciare da lei stessa).
È ancor più cruciale notare che l'opera, al di là del suo successo internazionale, è inizialmente, nella sua forma di sceneggiato, diventato un vero e proprio fenomeno sociale in Svezia, dove più di tre milioni di telespettatori — vale a dire metà della popolazione — hanno appassionatamente seguito gli ultimi episodi. Molti giornali pubblicarono allora inchieste che sollecitavano il parere di esperti e del pubblico sui personaggi, ricevendo in cambio tantissime testimonianze I
individuali sull'istituzione del matrimonio. A testimonianza di come l'evoluzione dei costumi fosse arrivata a collimare con le ossessioni più radicate di Bergman, ma ancor più di quanto questo passaggio del regista alla televisione avesse colto, sul piano estetico e sociologico, il profondo mutamento culturale associato a questo mezzo di comunicazione di massa: quello del primato dell'intimità domestica sull'aura collettiva. Il fatto che David Jacobs, il creatore della serie televisiva americana Dallas, abbia dichiarato di essere stato influenzato da Scene da un matrimonio non deve essere letto in chiave aneddotica. Quello che Bergman già stigmatizza con una straordinaria preveggenza è proprio l'insidiosa disumanizzazione indotta dall'individualismo moderno, con la terribile conseguenza di rendere gli esseri umani inadatti alla loro comune condizione. Un mondo di marionette, che sette anni dopo ripropone due personaggi secondari di Scene da un matrimonio (una coppia che vuota il sacco in pubblico, durante una cena), porta fino in fondo le dinamiche, trasformando la scena di un litigio fra coniugi nella scena di un crimine.
Jacques Mandelbaum, Ingmar Bergman, Cahiers du cinéma, 2011.

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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