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Quattro giornate di Napoli (Le)


Regia:Loy Nanni

Cast e credits:
Soggetto: Vasco Pratolini; sceneggiatura: Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile, Nanny Loy, Carlo Bernari; fotografia: Marcello Gatti; scenografia: Gianni Polidori; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Domenico Formato (Gennarino Capuozzo), Regina Bianchi (Concetta, sua madre), Peter Dane (col. School), Frank Wolff, Jean Sorel, Lea Massari, Georges Wilson, Aldo Giuffrè, Gian Maria Volonté, Luigi De Filippo, Carlo Taranto, Franco Sportelli, Enzo Turco, Eduardo Passarelli, Franco Balducci, Nino Castelnuovo, Anna Maria Ferrero; produzione: Titanus; distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia, 1962.

Trama:
Dal 28 settembre al 1° ottobre 1943 il popolo napoletano sentì di avere davanti non soltanto i tedeschi del colonnello Scholl da buttar fuori, ma tutti gli oppressori stranieri del passato.

Critica (1):28 settembre-I ottobre 1943. Gli alleati sono a Torre Annunziata e a Capri, avanzano lentamente, e a Napoli i tedeschi rastrellano uomini, saccheggiano, apprestano le ultime resistenze applicando con rigore nazista le leggi militari del terrore e del sopruso. Per i civili che non si presentano c'é la fucilazione, per ogni tedesco ucciso dieci napoletani al muro. Mancano i viveri, le famiglie sono disfatte, la pace sperata si allontana. è a questa condizione di vita che i napoletani si rivoltano, a questa forzata rinunzia della speranza, la loro grande forza storica, a questa umiliazione dell'individuo da parte della macchina bellica che i tedeschi hanno spogliato di ogni umanità. Popolo fantastico, il napoletano accetta la realtà finché gli si presenta come modificabile con i sentimenti; quando essa incombe gelida e nera, col volto della ferocia, tale da non lasciare margine nemmeno alla supplica, Napoli cade nella cupa disperazione, e qui trova miracolosamente la forza della rivolta. Le quattro giornate di Napoli sono anche un problema storico, e uno dei meno facili, perché comporta lo sforzo di penetrare, oltre i fatti, in una delle più complesse psicologie del popolo italiano. Nanny Loy, ci sembra, l'ha affrontato con molta serietà. Innanzi tutto si é documentato scrupolosamente, e ha reso verosimili gli episodi o parte degli episodi sui quali non esistono testimonianze dirette. Poi si é messo con umiltà di fronte al suo tema, cercando di capire quello che é il nodo del problema: perché e come il popolo pacifista per eccellenza é insorto in quei giorni, in che misura la sommossa popolare, istintiva e disorganizzata, rispecchiò un fermo convincimento politico, con che grado di consapevolezza i napoletani, difendendo se stessi, dettero il primo esempio di resistenza armata al nazifascismo. Le risposte di Loy ci sembrano molto convincenti: Le quattro giornate di Napoli nacquero da un coacervo di insofferenze (la rivolta politica dei ceti intellettuali, la ribellione sentimentale del popolo, lo spirito d'avventura dei giovani d'un riformatorio, la volontà di riscatto degli ufficiali dell'esercito costretti per anni a obbedire ai tedeschi, il gusto dei giochi pericolosi e l'amore dello spettacolo degli scugnizzi) tenute insieme dalla rabbia contro gli assassini dei valori della vita. Per alcuni questo soffocamento avveniva ormai da vent' anni, e si chiamava dittatura politica e asservimento al nazismo; altri se ne avvedevano solo in quei giorni, e per loro si chiamava morte per fame o per piombo, schiaffi in faccia e crudeltà aggiunta al dolore. In ogni caso la rivolta, nata dal coraggio della disperazione, nel momento stesso in cui nacque divenne un fattore psicologico che assumeva un significato storico preciso: la volontà del popolo italiano di affrettare la fine degli anni bui, di cancellare la presenza dell'odio, di dire no alla bestia che si affaccia nell'uomo e calpesta perfino l'illusione del miracolo. La difesa dei mariti e dei 'bassi', allora, fu la difesa di quella cellula del consorzio civile che é la famiglia; e i furiosi assalti contro i tedeschi, l'esempio di una moralità collettiva nell'individuale, e perciò una presa di coscienza della dignità umana. Spaghetti e canzoni, si, finché il corpo e l'animo sono in armonia con la natura, ma quando il destino sembra segnato di nero come un eterno lutto, Napoli e l'Italia urlano che l'uomo é fatto per vivere. Le quattro giornate di Napoli dice tutto questo con onestà e stringatezza. Racconta come in un lucido documentario di guerra le fasi della rivolta, accennando alle sue più varie componenti psicologiche, e opportunamente adeguandosi al linguaggio sentimentale proprio della città, anche con le sue inflessioni melodrammatiche. Comincia con le esplosioni di gioia che accolsero l'8 settembre e continua isolando nei vicoli e nelle piazze, come nei frammenti di un grande affresco popolare, gli episodi della sommossa, talvolta legandoli, ma più spesso trattandoli come elementi di un discorso corale. La fucilazione di un marinaio, lo stato d'assedio, l'evacuazione del litorale, il rastrellamento degli uomini e l'incendio delle fabbriche: le tessere del dolore e dell'orrore si vengono componendo nel mosaico dell'angoscia collettiva. Poi la prima bomba a mano (che bella idea napoletana, l'ordigno di morte calato nel panierino!), il grido di incitamento alla rivolta intorno ai primi due morti deposti sul tetto di un taxi, e finalmente la battaglia che divampa e nella quale gli uomini e i ragazzi si gettano quasi con stupore di se stessi. Allora ecco il popolo contro i carri armati, gli agguati e le beffe, ecco Gennarino (lo scugnizzo medaglia d'oro al quale il film é dedicato come al più giovane e innocente dei caduti di Napoli (intrufolarsi fra i gradi e restare falciato, ecco il grande fiato della passione gonfiare e dare slancio alla città finché i tedeschi sono costretti ad anticipare la fuga. Il film é bello perché si spoglia il mito e sostituisce la verità (o, si é detto, la verosimiglianza) alla retorica. Ed é in un caso come questo che si misura l'altezza poetica dei fatti quando essi sono restituiti nelle loro autentiche dimensioni umane. Se ne ha conferma nell'unico punto debole del film: la storia di Maria che, sposa di un borghese impaurito preferisce affiancarsi al suo primo amore, un ferroviere, sulle barricate: un'intrusione del romanzesco nella carne viva della cronaca. Tutto il resto ha un rigore che se da un lato si riallaccia a Roma città aperta dall'altro traccia la via a un cinema che pur con alta tensione artistica affronti temi nazionalpopolari per indicare che i nessi che legano la vicenda di ognuno alla storia di tutti, una via che i nostri registi hanno sinora percorso timidamente per diffidenza verso il genere epico-avventuroso. Eccezionale sempre la ricostruzione dell'ambiente, spesso d'ottima qualità sono il coordinamento dei frammenti, la drammaticità di tante sequenze, l'assorbimento di volti d'attori noti nel tessuto collettivo. Ed eccellente il commento musicale di Rustichelli. Ma su tutto godibile l'incisività delle immagini e il calore dei personaggi, le une e gli altri colti nell'attimo in cui la cronaca diviene inno e leggenda.
Giovanni Grazzini Gli anni sessanta in cento film Ed. Laterza, maggio 1977

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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