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Love etc. - Love etc.


Regia:Vernoux Marion

Cast e credits:
Soggetto
: dal romanzo Talking It Over di Julian Barnes; sceneggiatura: Marion Vernoux, Dodine Henry; fotografia: Eric Gautier; montaggio: Jennifer Augé; musica: Alexandre Desplat; scenografia: François Emmanuelli; costumi: Pierre-Yves Gayraud; interpreti: Charlotte Gainsbourg (Marie), Yvan Attal (Benoît), Charles Berling (Pierre), Thibauld De Mantalembert (Bernard), Elodie Navarre (Eleonore), Marie Adam (moglie di Bernard), Charlotte Maury Sentier (Catherine), Yvan Martin (Nicolas), Valerie Bonneton (fioraia), Susan Moncur (Susan); produzione: Patrick Godeau, per Aliceleo, France 3 Cinéma, Le studio Canal +; distribuzione: Istituto Luce; origine: Francia, 1997; durata: 105’.

Trama:Benoît e Pierre sono amici per la pelle: il primo è un grigio impiegato di cambi, il secondo un professore narciso e un autocompiaciuto maudit. Attraverso un'inserzione su un giornale, Benoît incontra Marie. I due si piacciono subito e subito decidono di sposarsi. Ma anche Pierre s'innamora della donna che, dopo qualche esitazione, finisce per capitolare. I tre si ritroveranno su una spiaggia, alle prime ore del Nuovo Millennio.

Critica (1):Singolare la modernità di un film come Love etc: un tema estremamente semplice, il triangolo amoroso, trattato con una semplicità addirittura sospettosa. Il terzo lungometraggio diretto da Marion Vernoux (Pierre qui roule, 1991; Personne ne m’aime, 1992) si sottopone inevitabilmente da un punto di vista narrativo al terribile confronto con Jules e Jim. Il sospetto di cui si parlava è destato soprattutto dal fatto che Love etc. non fa nulla per sottrarsi a questo paragone. Tutt’altro. Ma non è nella somiglianza tematica col capolavoro di Truffaut il motivo di interesse. Jules e Jim entra in contatto con Love etc. attraverso vie indirette utilizzando come trait-d’union un romanzo, Talking It Over (in italiano Parliamone edito da Rizzoli), pubblicato da Julian Barnes nel 1991. È lo scrittore che riprende neanche troppo velatamente le intermittences du coeur di Jules, Catherine e Jim e il ruolo guida della donna che agisce sui due uomini come termometro sentimentale. L’opera di Truffaut (citata anche direttamente nel libro) costituisce così per Barnes un costante riferimento tematico che trova poi in Talking It Over una resa letteraria abbastanza personale: frequenti divagazioni, personaggi che vengono prima spogliati e poi svelati progressivamente. Dietro un’apparente composizione stilistica, si nasconde nel romanzo un intenso ritratto dei tre protagonisti. La sceneggiatura di Marion Vernoux e Dodine Herry ha operato un lavoro di ricomposizione del romanzo di Barnes. Nel libro lo stesso episodio è narrato dai differenti tre punti di vista. La regista e la sceneggiatrice hanno invece dovuto operare necessariamente delle scelte procedendo per esclusione. Obiettivo certamente non facile. Echi di Talking It Over entrano nel film come nelle voci fuori-campo e dialoghi che s’intrecciano. C’è però una sequenza nel film, quella che è maggiormente collegata al libro da un punto di vista stilistico ma che al tempo stesso rivela prepotentemente un’autonomia cinematografica: il matrimonio tra Marie e Benoît. Qui i tre personaggi guardano alternativamente in macchina esprimendo ad alta voce l’attuale stato d’animo mentre il resto dell’azione è temporaneamente congelata. Anche Barnes ha fatto parlare i personaggi in prima persona tenendo separate le loro emozioni. Ma è con queste incursioni dal sapore vagamente onirico che la Vernoux ha proposto delle personali soluzioni narrativo-visive costruendo una sorta di “realismo magico” in cui la fantasia irrompe nella realtà dando, a turno, vita cinematografica a un solo personaggio. Il Tempo viene sottoposto a un processo di dilatazione, lo scatto della macchina fotografica (quella che dovrebbe oggettivamente racchiudere dentro una stretta porzione visiva i personaggi ripresi) crea dei soggettivi momenti di sospensione studiati appositamente per dar modo a Benoît, Marie e Pierre di rivelarsi. La sequenza del matrimonio è al tempo stesso fortemente indicativa perché segnala il punto rispettivamente più alto e più basso della carriera sentimentale dei due uomini. Mai il loro rapporto è stato così impari. Questo momento condizionerà, anche pesantemente, il loro futuro: Benoît entra in una fase di sedentario appagamento che causa il lento ma inesorabile abbandono della moglie; Pierre cerca invece di conquistare esclusivamente Marie, rinunciando a disperdere, come in precedenza, le proprie energie seduttive. È un film apparentemente senza metropoli Love etc. Parigi sembra nascondersi dietro i corpi dei protagonisti rendendosi invisibile. Occulta le proprie strade dietro una luce notturna dove risaltano appositamente i fari delle automobili e i dialoghi tra Pierre e Benoît. Eppure sono i luoghi normali e non quelli eccezionali, quelli che si possono trovare in una metropoli come in una provincia sufficientemente organizzata che assumono una loro connotazione urbanistico-architettonica tipicamente parigina: l’aeroporto, i locali dove si canta il karaoke, gli alberghi di second’ordine, l’interno delle abitazioni, le piscine. Sono i personaggi che rendono riconoscibile la città. Sono i corpi di Yvan Attal – l’attore prediletto di Rochant per il quale ha interpretato Un mondo senza pietà, Agli occhi del mondo e Storie di spie, capace di equilibrare con estrema disinvoltura la forte ambiguità del suo personaggio, assente per quasi tutto il film, selvaggio nella sua passionalità nella sequenza della cena rivelatrice, quasi cinico nel finale durante l’incontro alle prime ore dell’alba del nuovo secolo – e della sempre più brava Charlotte Gainsbourg che, nel loro contatto fisico con gli spazi, ricreano la metropoli. Pierre (interpretato da Charles Berling) è un individuo trainato dalla coppia (a cena, in crociera). Segue Benoît e Marie nel loro processo di caratterizzazione urbanistica dello spazio. C’è una strana simbiosi tra la città e i suoi personaggi. Un legame sottile e impercettibile quanto estremamente forte. Love etc. è un’opera estremamente contenuta, dallo stile sobrio e asciutto, che procede per piccoli accumuli, per semplice somma aritmetica di dettagli. Sia i personaggi sia Parigi vengono svelati progressivamente, costruiti secondo un procedimento “in diretta”. In questo caso la Vernoux agisce parallelamente alla scrittura di Barnes. La regista è alla continua ricerca di una forma cinematografica che non sia mai definitiva ma che esibisca la propria provvisorietà per poter cercare di seguire irrazionalmente il momentaneo climax emotivo. I toni sono sempre contenuti, notevolmente efficaci nel loro stato di silenziosa e straordinaria umanità. Simone Emiliani, Cineforum n. 368, ott. 1997

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Marion Vernoux
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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