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Paura su Manhattan - Fear City


Regia:Ferrara Abel

Cast e credits:
Sceneggiatura:
Nicholas St. John; fotografia (DeLuxe color): James Lemmo; scenografia: Vincent M. Cresciman; costumi: Linda M. Bass; musica: Dick Halligan; musica aggiunta: New York Doll (Joe Delia - David Johansen) e altre canzoni di Joe Delia; montaggio: Jack W. Holmes, Anthony Redman; sonoro: Jim Tannenbaum; consulente visivo: Benedict Coulter; interpreti: Tom Berenger (Matt Rossi), Melanie Griffith (Loretta), Billy Dee Williams (Wheeler), Jack Scalia (Nicky), Rae Dawn Chong (Leila), Joe Santos (Frank), Michael V. Gazzo (Mike), Jan Murray (Goldstein), Janct Julian (Ruby), Maria Conchita Alonso (Silver), Daniel Faraldo (Sanchez), Ola Ray (Honey), John Foster (Pazzo), Jim Bocke (architetto), Juan Fernández (Jorge), Rossano Brazzi (Carmine), Lori Eastside; produttore: Bruce Cohn Curtis per Zupnik-Curtis Enterprises; produttori esecutivi: Torn Curtis e Stanley R. Zupnik; coproduttore: Jerry Tokofsky; distribuzione italiana: Cannon; origine: USA, 1984; durata: 96'.

Trama:New York di notte, un locale di strip-tease. Matt Rossi e il socio Nicky, titolari di un’agenzia di spogliarelliste, sono andati per farsi pagare dal gestore Mike. La ragazza che si sta esibendo, Loretta, è un’ex amante di Matt. Al suo strip (non integrale) si alternano in rapidi flash le immagini di una ragazza aggredita e pugnalata da uno sconosciuto appena fuori dal locale. Matt va nel camerino di Loretta, ma vedendo che sta baciando l’amica Leila, se ne va. Da un flashback apprendiamo che Matt è un ex pugile, che si è ritirato dopo aver ucciso l’avversario in un combattimento che, fosse stato per lui, avrebbe fatto sospendere. La ragazza aggredita è in ospedale, con due dita amputate. Il detective Wheeler, un moralista, crede che si tratti di una vendetta trasversale per colpire Mike. Leila e Loretta hanno passato la notte assieme.
La sera dopo Matt riaccosta Loretta mentre l’assalitore segue Leila nella metropolitana e la ferisce sulla fronte, sulle braccia e sulle gambe. "L’immonda carne di quella donna merita gli sfregi", scrive più tardi il pazzo sul diario nel suo loft, dove fa esercizi di arti marziali. Loretta è sconvolta dall’aggressione (Leila è in ospedale, ed è grave), e le ragazze cominciano ad abbandonare l’agenzia di Matt e Nicky, tartassati anche da Wheeler. Nicky consiglia di usare le maniere forti. Matt prende la sua pistola, minaccia un vecchio mafioso che non c’entra niente e poi butta l’arma in mare. Mentre Matt e Loretta fanno l’amore, il maniaco si è introdotto in casa di Silver, un’altra spogliarellista, e la uccide.
Matt si consulta al telefono col vecchio mafioso Carmine. Flashback: Matt da piccolo fa il lustrascarpe e assiste alla morte di due suoi clienti, falciati con il mitra per un regolamento di conti ordinato da Carmine. Leila muore in ospedale sotto gli occhi di Loretta che, sconvolta, va in un vicolo, dallo spacciatore Jorge, a comprare la droga da cui si era disintossicata. L’assassino scrive sul suo diario (che è intitolato Fear City) che solo con l’eliminazione di ogni prostituta si può "raggiungere la purezza". Un flashback lo mostra uccidere una donna nel parco.
Matt e Nicky si consultano con la mafia per un piano d’emergenza. In un locale i due pestano un architetto scambiandolo per l’assassino, che nel frattempo uccide un’altra donna con la spada. Wheeler arresta Matt e lo pesta vigliaccamente. Per poco l’assassino non uccide Ruby, la ragazza di Nicky: che arriva in tempo per salvarla, ma finisce in coma sotto i colpi di karate del pazzo. Matt, uscito su cauzione, va a trovare il socio in ospedale, e poi in chiesa, a cercare di confessarsi per "qualcosa che non ha ancora commesso". Loretta va a comprare la droga, ma trova Jorge impiccato nel vicolo: l’assassino sbuca fuori e la ferisce, ma arriva Matt. A mani nude ingaggia una lotta all’ultimo sangue: mentre rivive in flashback l’incontro di boxe fatale, uccide l’assassino. "Chi credi di essere, un eroe?" gli chiede Wheeler, arrivato sulla scena della lotta. "No, un uomo, nient’altro", risponde Matt. Bacio finale di Matt e Loretta.

Critica (1):Da L’angelo della vendetta a Paura su Manhattan (Fear City, 1984) c’è un buco: tre anni di cui non si sa nulla. Ferrara e St. John hanno già pronte numerose sceneggiature - Birds of Prey del 1979 (ne riferisce Ferrara su "Sight and Sound" nel 1993) è la storia futuribile di una rivoluzione a New York contro uno Stato-azienda – e altre probabilmente continuano a scriverne – a questo periodo potrebbe risalire l’inedito Crack City Terminator, rivisitazione futurista e non particolarmente originale di La sfida del Samurai e Per un pugno di dollari. Ma quando si presenta l’occasione, Ferrara tira fuori dal cassetto un copione ancora più vecchio, che risalirebbe addirittura al 1975 ("prima di Taxi Driver", sottolinea il regista, che si rende conto di quanto Paura su Manhattan debba al capolavoro di Scorsese) e che doveva essere realizzata prima di The Driller Killer. Il budget che gli mettono a disposizione i produttori (l’indipendente Zupnik-Curtis Enterprises) è enorme, rispetto ai primi film: cinque milioni di dollari. Il cast è pieno di nomi di media grandezza, non ancora star, ma con una certa esperienza: Tom Berenger, Melanie Griffith, Billy Dee Williams. Paura su Manhattan resta un’opera minore, malgrado qualche tentativo di rivalutazione a posteriori. Ferrara e St. John, probabilmente, devono avere patito maggiormente i condizionamenti della committenza, e l’equilibrio tra riconoscibilità dei film di genere e ambizioni alte è risolto a favore del primo. La prima mezz’ora di film è una parata di tette, culi e luci al neon di superficialità anche affascinante, quale poteva essere gradita da un frequentatore di doppi programmi sulla 42a Strada: ma l’impressione è di un remake di Taxi Driver in chiave minore, di cui resta solo l’iconografia più superficiale – New York di notte, regno del vizio – e quasi nulla della tensione morale.
Se in Taxi Driver Travis Bickle assume su di sé sia il peso della vittima sia quello del carnefice, l’afflato di redenzione e la distruzione apocalittica, la sceneggiatura di St. John sdoppia queste forze complementari e antitetiche in due personaggi che non riescono mai a incontrarsi veramente: l’ex pugile puttaniere Matt, perseguitato dal rimorso per aver ucciso un avversario (capita lo stesso a John Wayne in Un uomo tranquillo), e il maniaco senza nome ossessionato dalla purezza e deciso all’eliminazione del vizio in un crescendo di violenza immotivata.
Matt, interpretato da un aitante quanto opaco Tom Berenger, è probabilmente un modello idealizzato di Ferrara stesso, con le sue contraddizioni (è un gradino sopra il mestiere di protettore, ma cerca di salvare romanticamente la donna che ama, bisessuale e drogata) e sensi di colpa che cerca di risolvere con una puntata in chiesa, obbligatoria quanto frettolosa. Matt è una versione più superficiale dell’eroe tormentato di The Driller Killer, e non viene mai messo veramente alla prova: ha la vita facile, e tutto finisce per il meglio dopo che ha imparato a venire a patti con la violenza e a usare i pugni a fin di bene. Certo, il finalino con il bacio è una modifica imposta dalla produzione, e nella versione di Ferrara il poliziotto faceva arrestare Berenger, ma non si può dire che cambi molto. L’assassino, invece, è un personaggio abortito e probabilmente sacrificato (pare di capire che nella sceneggiatura originaria avesse molto più spazio): un deficiente maniaco di arti marziali (disciplina corrotta opposta alla fondamentale sanità della boxe) che prima sfregia e poi uccide le donne senza un perché, ossessionato da un desiderio di purezza che resta sulla carta. Un avversario troppo stupido perché la redenzione di Matt abbia una profondità vera.
L’unico personaggio interessante è il detective Wheeler, interpretato con una certa energia dal nero Billy Dee Williams: un rappresentante della legge antipatico e moralista, che odia il sottobosco di cui Matt è un rappresentante e che è convinto di godere di una sorta di impunità in quanto incarnazione (termine impegnativo per un cattolico come St. John) della Legge. In Wheeler ci sono le prime tracce di quella teologia dell’ambivalenza tra bene e male al centro di The Addiction e Fratelli: è un rappresentante del bene (la Legge) che si serve del male (pestaggi, sopraffazioni); è impotente di fronte al crimine e diffida metodicamente del prossimo. Peccato che sia solo una figura simbolica, che di fatto non ha nessun ruolo nel racconto se non di generico, ma non insormontabile, ostacolo alla ricerca dell’assassino da parte di Matt. In questo scivolare sulla superficie di temi a lui cari, Ferrara gira un film di pura patina, elegantemente notturno e pieno di colori acidi (alla fotografia c’è ancora James Lemmo) alternati ad albe livide.
(...) Maggiore sincerità si sente nello sguardo compiaciuto e complice che viene rivolto al sottobosco delle spogliarelliste, rappresentanti di una femminilità aggressiva e indipendente, ma al tempo stesso vulnerabile.
Alberto Pezzotta, Abel Ferrara, Il Castoro Cinema, 1998

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Abel Ferrara
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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