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Mariti - Husbands


Regia:Cassavetes John

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: John Cassavetes; fotografia: Victor J. Kemper; musica: Richard Quinian; montaggio: Tom Cornwall, Robert Heffernan, Peter Tanner, Jack Woods; interpreti: John Armostrong ("Happy Birthday"), John Cassavetes (Gus), Dolores del mar (la contessa), Peter Falk (Archie), Sarah Felcher (Sarah), Edgar Franken (Ed Weintraub), Ben Gazzarra (Harry), Eleanor Gould ("Normandy"), Joseph Hardy ("Shanghai Lil"), Leola Harlow (Leola), Noelle Kao (Leola), Antoinette Kray ("Jesus Loves Me"), John Kullers (Red), Peggy Lashbrook (Diana Mallabee), Judith Lowry (nonna di Stuart), Ronda Parker (Margaret), David Rowlands (Stuart Jackson), Jenny Runacre (Mary Tynan), Meta Shaw (Annie), K.C. Towsen (Barmaid), Gwen Van Dam ("Jeannie"), Carinthia West (Susanna), Jenny Lee Wright (Pear Billingham), Eleonor Zee (Mrs Hines); produzione: Al Ruban per Faces Music Inc.; distribuzione: Cineteca dell’Aquila - Cineteca Antoniana – Cineteca Palatina – Zari; origine: Usa, 1970; durata: 95'.

Trama:Tre amici - il dentista Gus, il pubblicitario Harry e il giornalista Archie - si ritrovano al funerale di un quarto amico, Stuart. Terminata la cerimonia, il bisogno di sentirsi vivi come prima li induce a sbizzarrirsi, per le strade di New York, come ragazzi in libera uscita: si prendono a spintoni, si accapigliano, si sfidano alla corsa...I tre, con decisione improvvisa, partono allora per Londra, dove si procurano tre donne.

Critica (1):I titoli di testa si sovrappongono a un montaggio fotografico che, in una situazione di week-end o di vacanza, mostrano quattro tipici maschi americani che esibiscono un'immagine di prestanza fisica apparentemente inscalfibile. Ma la prima sequenza del film è una secca smentita delle immagini appena trascorse: si tratta del funerale di uno dei quattro, al quale gli altri tre partecipano sbalorditi, quasi increduli per questa improvvisa dèfaillance dell'amico, che li mette faccia a faccia con la realtà della morte da loro evidentemente fino al qual momento accuratamente esorcizzata. In questo pienamente concordi con la tendenza esistente nella società americana contemporanea a non volere considerare la morte come realtà, come momento inevitabile nella definizione del ciclo dell'esistenza. Tendenza che balza all'occhio anche solo nella grottesca pratica del maquillage a cui vengono sottoposte le salme, in reazione agli effetti fisici inarrestabili del decesso, che evidentemente il gruppo dei vivi rifiuta come un insulto non solo nei confronti del trapassato, ma anche, e soprattutto, nei propri. Il film prende l'avvio proprio dalla decisione, da parte dei tre amici restanti, di reagire a questo insulto che la morte ha lanciato, visitando il gruppo, con la riaffermazione, senza mezzi termini, della propria volontà di vita. Premessa a questa reazione è la frase che Archie rivolge a Stuart nel cimitero: "La morte è solo un momento della vita, e questo se ci pensi è rilassante . Ecco come mi sento: quieto e tranquillo." Una volta riassorbita la morte nella vita stessa, non resta che quest'ultima a cui dedicarsi senza pensare ad altro. E, disperatamente, i tre vi si dedicano attraverso una serie di atti, di imprese, la cui funzione si rivela quella di esorcizzare non solo la morte fisica, ma anche quella presente sotto forma delle costrizioni derivanti dall'insieme delle condizioni sociali dell'esistenza quotidiana. Secondo la migliore tradizione letteraria americana, l'esplosione di vitalismo inscenata dai tre viene innanzitutto identificata nel binomio sbronza-sforzo fisico. Per due notti e un giorno i tre amici coltivano questo tentativo di cacciare il fantasma della morte dalla propria mente e la sua realtà (nella forma della decadenza fisica) dal proprio corpo. Locali notturni e palestre sono i luoghi messi a disposizione, da una società previdente, alla loro impresa di ripristino dell'illusione d'eternità che ognuno di noi in fondo coltiva, regolarmente vanificata dalla presenza perturbante del suo opposto, quando questo arriva a colpire gli individui facenti parte del nostro mondo, ritenuto a sua volta eterno. Ma questa prima affermazione vitalistica è costretta ad esaurirsi: da una parte le esigenze produttive e professionali, dall'altra le difficoltà del proprio matrimonio, che Henry giudica insormontabili, provocano una brusca ricaduta, di fronte alla quale però i tre decidono di reagire in modo radicale, tagliando i ponti con il passato e rispondendo - anche qui nel solco della migliore tradizione letteraria e romantica - al richiamo irresistibile della terra lontana. Con il lungo volo che li porta a Londra, Archie, Stuart ed Henry intendono non solo rilanciare il progetto iniziale, ma ritrovare quella libera virilità che, corollario indispensabile a tale progetto, era in patria impedita a manifestarsi da troppe condizioni avverse. Donne e gioco sono i mezzi con cui allontanare definitivamente il senso di morte e l'angoscia annidati nella realtà abbandonata oltre oceano. Ma é proprio nel mezzo di questa rincorsa a una dimensione puramente ludica della vita e dei contatti interindividuali che subentrano le difficoltà, a dimostrare come non sia così semplice sfuggire alle condizioni che un passato personale impone a ogni rapporto, anche ai più passeggeri, con altre persone. Il tentativo di azzeramento iniziato con impeto si esaurisce nella stanchezza e nella disillusione, per Archie e Stuart; solamente Henry non si da per vinto, evidentemente spinto in ciò dal trauma costituito dal fallimento del proprio matrimonio. Il ritorno a casa dei due non costituisce però una reale conclusione, forse proprio perché in realtà i problemi posti in apertura non sono stati oggetto, nel corso dell'impresa, di una seria ricerca di soluzione, ma solamente di un ennesimo tentativo di esorcismo, di cui non resta che registrare nuovamente il fallimento. Le ultime preoccupazioni sono per Henry che rimane a Londra senza di loro, ma nell'aria resta completamente intatta la sensazione di vulnerabilità nei confronti dell'angoscia che li aveva spinti ad inscenare insieme a lui la propria liberazione nel perseguimento di una sorta di irresponsabilità programmata come modello duraturo di comportamento. Il carattere picaresco del racconto e la sua impossibilità a concludersi in una soluzione trova riscontro nello spazio notevole che Cassavetes ha lasciato all'improvvisazione degli interpreti, portando quasi alla sua estrema conseguenza il metodo da lui normalmente adottato nella lavorazione dei suoi film. All'improvvisazione sul set ha corrisposto nel montaggio la decisione di mantenere tutti i momenti morti dell'azione, durante i quali la macchina da presa si fa testimone dell'indecisione e del disorientamento che in realtà sta sotto l'isterico vitalismo dei tre compari e ugualmente registra, senza alcuna mediazione narrativa, proprio quella morte al lavoro a cui accennavamo in apertura, la cui presenza é ossessiva a dispetto di tutto quanto viene fatto per negarla e rimuoverla. Si può forse vedere nel film anche l'approccio di Cassavetes ad alcuni aspetti della crisi che indubbiamente doveva allora (1970) coinvolgere certi strati della classe media in bilico, per situazione generazionale, tra l'accettazione definitiva dello status quo non solo politico ma anche privato e il rifiuto, in nome di un sogno individualistico e antisociale, privilegio del ceto studentesco e più in generale della massa giovanile: in definitiva votati al velleitarismo e alla rinuncia a un concreto mutamento del significato della propria vita. E in questo senso acquisterebbe una sua precisa logicità l'aver affrontato in Minnie e Moskowitz, immediatamente successivo, proprio il personaggio di un emarginato caratteristicamente collegato nel sua aspetto e nel suo comportamento alla generazione del rifiuto, protagonista degli anni '60, e le conseguenze della sua irruenta invasione di quel mondo regolato dal benessere e da un'apparente soddisfazione di sé, verosimilmente rapportabile al quartiere residenziale che, nell'ultima sequenza di Mariti, accoglie il ritorno a casa di Archie e Stuart.
Adriano Piccarli, Cineforum n. 187 settembre 1979

Critica (2):In Mariti la trascrizione carnevalesca del vivente è realizzata ancor più perentoriamente. Il riso grottesco rompe gli argini e dilaga, la componente ludica occupa molti degli spazi lasciati liberi dall'amara raffigurazione delle frustrazioni della middle class americana, la deformazione parodica trasforma i personaggi - i tre mariti in fuga dal matrimonio - in altrettante maschere buffonesche.
A guardar bene, è lo stesso movente della vicenda - un abbozzo di intreccio assai "comune" come sempre - a condizionare il côté carnevalesco, recuperando le stesso nucleo d'intenzioni che sta all'origine rituale del Carnevale: la rivolta della vita contro la morte, l'uccisione sacrificale del vecchio per rifondare il nuovo, per rigenerare l'esistenza.
Il vuoto spalancato dalla prima sequenza sarà colmato dall'irruzione del suo contrario, innestato a titolo di esorcismo salvifico: il pieno, la pienezza debordante della vita che continua e occupa la scena proprio nella sua veste più scandalosa, come eccesso di vita, provocatorio rovesciamento della morte con l'esibizione sfrontata del vivente nella sua corporalità più accesa. È il corpo del quotidiano - una fluvialità piena di scorie - che prende il sopravvento e gioca la sua rivalsa esaltando «il momento del divenire, della metamorfosi continua, della morte-rinnovamento» (…). Il carnevale di Gus-Archie-Harry muove da queste premesse: per tre giorni si trasformano in buffoni e si abbandonano a quelle licenze che il loro status sociale non consente loro di osare nella vita normale, scandita dagli obblighi del lavoro e della famiglia. Naturalmente il loro travestimento temporaneo - tipico del rituale in questione, che segna solo una parentesi destinata a chiudersi in fretta, pena la destabilizzazione dell'ordine costituito - comporterà simulazioni e camuffamenti, con tutto un corredo altamente simbolico di auto-rappresentazioni grottesche.
Il realismo di Cassavetes ha appunto questa forte accentuazione simbolica, in cui le persone reali recitano la commedia dei loro rapporti sociali capovolti e profanati, con la detronizzazione del loro vecchio io e l'inalberamento - ridicolizzato - di un io tanto nuovo quanto effimero: la derisione del loro habitusufficiale e l'affermazione del suo rovescio. Tale inversione simbolica del vero produce nel cinema un effetto di-parodia del realismo, così com'è comunemente inteso (cfr., per, le affinità tematiche con Mariti,La notte dello scapolo di Chayefsky): ovvero un'apertura di credito verso l'abnorme e l'insensato, un'anarchia e un azzardo di gesti e atti e parole imprevedibili, che il corpo-macchina dello spettacolo carnevalesco continua a reinventare ed eruttare fuori senza soluzione di continuità.
Questo corpo grottesco "non è qualcosa di uniforme e levigato, è, piuttosto, colmo di angoli e protuberanze, di escrescenze e ruvidità, è un corpo in cui emerge la funzione preminente degli orifizi, delle smorfie, dei tic, dei ghigni facciali, mista alla giocosa ostentazione dell'osceno, all'abuso festoso del turpiloquio senza più censure o autocensure. Compito della camera di Cassavetes è di penetrare nello stesso metabolismo di questo corpo e di rivelarne tutti i fenomeni, anche i più indecorosi, farsi indecorosa essa stessa, impudica voyeuse tesa ad esplorare le zone più svilite dell'umano, con movimenti a tratti maldestri e sgangherati, stacchi e attacchi repentini, incurie tecniche vistose, da dilettanti del superotto (anche questa "emulazione-citazione" dei modi di ripresa cineamatoriali pertiene a quella strategia del parodico che avvolge tutto il film e meriterà un discorso a parte). I tre di Maritidiventano eroi e vittime di questa visceralità a oltranza nel momento in cui danno inizio alla loro boccaccesca avventura, decidendo - sulla via del ritorno a casa in metropolitana - di non tornarvi affatto e inanellando sfoghi penosi sulla loro crisi di quarantenni stanchi e delusi. È la prima infrazione, il primo, apparentemente innocuo, impulso trasgressivo - assai banale, come tutto il resto - che tuttavia mette in moto la dinamica del loro Carnevale.
L'indispensabile preliminare sacrificio da compiere è quello della rinunzia a se stessi: i tre devono deporre le vesti ufficiali del mondo borghese (e gli abiti neri indossati per la cerimonia funebre hanno svolto un ruolo simbolico 'assai pregnante) e travestirsi da vilains, per offrire di sé esattamente il rovescio, ovvero il lato più becero e triviale. Le tappe di tale metamorfosi scandiscono l'itinerario stesso del film, che coincide - essendo il film il puro e semplice pedinamento, talvolta in tempo reale, dei tre - con un itinerario iniziatico (a sua volta, possibile versione in chiave paradossale di una costante dell'animus americano, il nomadismo, correlata all'altra antitetica e altrettanto radicata della sedentarietà). A ripercorrerne le "stazioni", ci si accorge che esse hanno ancora a che fare - non sappiamo se consapevolmente o no - con un classico della letteratura carnevalesca, cioè con l'avventura dell'Ulisse joyciano: l'irripetibile paradigma moderno del piccolo uomo nel vasto mondo delle possibilità frustrate, il quale inaugura il suo viaggio proprio con il funerale di un amico e lo conclude con il ritorno all'ovile dopo essere transitato, tra l'altro, per le esperienze della mescita e del bordello, che sono i due climax di Mariti. E altresì l'arco cronologico del film, tutto bruciato nell'incandescenza del presente, se non è di ventiquattro ore, è comunque assai ridotto: tre-quattro giorni, dopo le trentasei ore di Faces e prima dei tre giorni di Minnie e Moskowitz, dei due di Una moglie (a prescindere dalla cesura temporale che riprende il racconto "sei mesi dopo"), dei tre di L'assassinio di un allibratore cinese, dei quattro di Gloria (i giorni di La sera della prima non sono calcolabili, ma sono tuttavia disseminati in una contiguità incalzante).
Sergio Arecco, Johnny Cassavetes, Il Castoro Cinema, 1980

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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