RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
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Prima linea (La)


Regia:De Maria Renato

Cast e credits:
Soggetto: ispirato al libro "Miccia Corta" di Sergio Segio; sceneggiatura: Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo, Fidel Signorile; fotografia: Gian Filippo Corticelli; musiche: Max Richter; montaggio: Marco Spoletini; scenografia: Alessandra Mura, Igor Gabriel; costumi: Nicoletta Taranta; interpreti: Riccardo Scamarcio (Sergio Segio), Giovanna Mezzogiorno (Susanna Ronconi), Fabrizio Rongione, Awa Ly (cantante jazz), Daniela Tusa (guardiana di Firenze); produzione: Andrea Occhipinti per Lucky Red, Rai Cinema, con il contributo del Mibac, Les Films Du Fleuve, Diaphana; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia, 2009; durata: 96’.

Trama:3 gennaio 1982. Sergio è a Venezia, dove ha messo insieme un gruppo per attaccare il carcere di Rovigo e far evadere quattro detenute tra le quali Susanna, la donna che ama e con cui ha condiviso idee e scelte politiche. Tratto da una storia vera, quella di Rovigo è una delle più audaci evasioni mai messe a punto durante i turbolenti anni di piombo. Mentre il gruppo si avvicina al carcere, Sergio ricorda gli inizi della clandestinità, il passaggio alle armi e l'incontro con Susanna. Intanto la giornata del 3 gennaio volge al culmine: il gruppo è arrivato a Rovigo, all'interno del carcere Susanna e le altre attendono l'ora fissata. Un'esplosione fa saltare in aria il muro di cinta e comincia l'assalto. Susanna e Sergio si ritrovano, l'evasione è riuscita ma non tutto andrà come previsto...

Critica (1):Siamo partiti dalla pubblicistica, abbiamo letto tutti i libri scritti dagli ex brigatisti o dai giudici che all’epoca condussero le indagini su di loro. Successivamente abbiamo guardato e riguardato il lavoro di Zavoli, La Notte della Repubblica, che includeva un’intervista a Sergio Segio, e naturalmente abbiamo incontrato Susanna Ronconi e Sergio Segio, sviluppando un rapporto diretto e umano con loro. Nel 2006, anno di pubblicazione del libro di Sergio (Miccia corta), rimasi fulminato dall’impianto narrativo del suo testo, già così cinematografico, che accantonai un precedente progetto per farne subito un film. Mi piaceva il suo tono crepuscolare, che coglieva bene la fine di un’epoca e di un’esperienza terribile di lotta armata.
Uno dei motivi che mi ha spinto a girare questo film è senza dubbio legato alla giovane età di Susanna e Sergio. Quando nel gennaio del 1982 Sergio decise di liberare Susanna dal carcere di Rovigo, dove era detenuta insieme ad altre tre compagne, aveva soltanto venticinque anni, questo vuol dire che quando entrò nelle fila di Lotta Continua ne aveva appena diciotto e ancora che commise i suoi atti terroristici tra i ventuno e venticinque anni. Prima di pormi il problema della pietas, mi sono chiesto perché fosse accaduto tutto questo, volevo capire come dei ragazzi tanto giovani potessero scegliere la lotta armata, entrare in clandestinità e allontanarsi dalla vita e dalla realtà, vivendo in una dimensione paranoica di scontro tra loro e lo Stato. Il mio film lavora molto sulla separazione, i miei protagonisti sono sempre dietro a un vetro, a una finestra, a un muro, perché volevo rendere visibile la loro separazione dal mondo e dai loro sentimenti.
(Renato De Maria, da un’intervista di Marzia Gandolfi, mymovies)

Critica (2):(…) Premetto: vederlo, per me, figlia di una vittima del terrorismo, è stato molto doloroso. Ho accettato di farlo perché prometteva spunti per una riflessione sui nodi irrisolti della nostra storia recente. Dovevo vederlo, il primo film sul terrorismo che esce dalla claustrofobia - gli appartamenti, le famiglie, il privato del riflusso – e affronta un pezzo della storia di Prima Linea, la seconda banda armata italiana, attraverso la vicenda di due dei suoi protagonisti.
Alle spalle, un apparato produttivo solido ed ecumenico che include i fratelli Dardenne, un'eccellenza del cinema europeo. Il regista Renato De Maria rifiuta il registro "poetico" di Buongiorno Notte, vuole ancorarsi alla realtà. Rivendica lo sforzo di evitare il "morocentrismo" che ha afflitto la narrazione cinematografica del terrorismo italiano, per interrogarsi sulle ragioni della tragedia di "tanto dolore arrecato, tanta dissoluzione di giovinezza".
L'intento è "raccontare un capitolo importante e doloroso della storia recente del nostro paese – spiega il produttore Occhipinti – nella convinzione che il cinema debba offrire spunti di riflessione sull'identità di una nazione abbiamo messo tutto il nostro impegno per rispettare la verità storica, la memoria e la sensibilità delle persone".
Alla luce di queste premesse mi pare un film "mancato", che si smarrisce tra privato, la love story tra i protagonisti, e pubblico, nascita e declino di una banda armata nel contesto dell'Italia degli anni Settanta. Manca il coraggio di un pensiero, una chiave interpretativa. Molti i temi sfiorati senza percorrerli fino in fondo: l'inconsistenza ideologica di Prima Linea; le dinamiche del "gruppo chiuso"; la scissione che consente a un uomo e una donna di amarsi teneramente e uccidere a ripetizione. Non c'è lo sforzo di ricostruzione complessiva de La Banda Baader-Meinhof, storia della Raf e del suo impatto sulla società tedesca. Nel cinema, Germania batte Italia 4 a 3 sin da Anni di Piombo della Von Trotta (1982).
Una sceneggiatura efficace impone tagli, sottolinea il regista. Sceglie tre delitti "simbolo": la gambizzazione del caporeparto di una fabbrica, l'uccisione di un "traditore" (il giovanissimo William Vaccher) e l'omicidio Alessandrini. Ma la verità storica patisce gravi mutilazioni. All'interno del percorso del film segnalo tre "buchi" che mi hanno stupito. Tra l'omicidio Vaccher e il primo arresto di Ronconi, cioè tra il febbraio e il dicembre del 1980, assistiamo a un colloquio lacerante: Segio vuole uscire dall'organizzazione, Ronconi no. Nella realtà, a marzo Segio uccide il giudice istruttore Galli. Nel film non c'è traccia di lui, non esiste. Quale storia, quale evoluzione del personaggio ci raccontano? Secondo: 1975, interno romantico, margherite gialle, nascita di un amore e di Prima Linea. Susanna Ronconi spiega a Segio che "prima studiava". Forse prima di entrare nelle Br e partecipare al primo omicidio da loro rivendicato a Padova (uccisero i militanti missini Mazzola e Giralucci, nel giugno1974). Il film accenna alle posizioni critiche dei piellini verso i brigatisti, ma "dimentica" l'origine della protagonista. Sarebbe stato un modo interessante di raccontare il rapporto tra le organizzazioni. Terzo: la sequenza dell'omicidio Alessandrini, straziante. Il repertorio dei funerali restituisce lo sdegno di un paese intero (pare che questa aggiunta sia frutto dell'incontro con le associazioni dei familiari delle vittime organizzato dalla Direzione cinema del Ministero, che tutti i protagonisti riferiscono esser stato sereno). Hanno sparato in due, e, parafrasando un vecchio numero di "Lotta continua", "a questo punto manca un figlio": Marco Donat-Cattin, rampollo del notabile Dc. Tra i (pochi) libri su Prima Linea brilla ineguagliato L'Italia nichilista di Stajano (1982), che racconta il terrorismo e una certa Italia attraverso la sua storia: auspico che qualche cineasta ne tragga un film che gareggi col Divo di Sorrentino.
Pur smarcandosi dalla sua interpretazione, mi pare che il film sconti, il vizio d'origine di avere Segio come fonte prima d'ispirazione, quanto meno nella selezione degli eventi e nella costruzione debole della psicologia dei protagonisti, che si muovono come ipnotizzati nella spirale di un fato ineluttabile: è sempre così nelle storie di vita dei terroristi narrate a posteriori, ma applicato alla ricostruzione delle loro azioni li fa apparire come automi, o alieni. La perizia degli sceneggiatori, l'ottima fotografia, il mestiere del regista, non bastano a colmare il senso di insoddisfazione per l'assenza di un ragionamento più profondo sul senso degli eventi nel contesto. Il cinema si giova solo in parte del sofferto percorso di evoluzione della narrazione scritta degli anni di piombo. (…)
Benedetta Tobagi, La Repubblica, 13/11/2009

Critica (3):Prima le «sparate» di Bondi contro i finanziamenti pubblici ai film sul terrorismo. In questo caso La prima linea di Renato De Maria, nelle sale dal 20 novembre. Poi la decisione di Andrea Occhipinti, il produttore, di rinunciare ai fondi statali, proprio per evitare le polemiche. Ed ora nuove polemiche, sollevate dallo stesso Sergio Segio, l’ex terrorista di Prima Linea, autore del romanzo (Miccia corta) a cui è ispirato il film dal quale si dissocia perché «omette le origini, le radici, le culture, i movimenti, insomma i capitoli precedenti la lotta armata, senza i quali la storia diventa incomprensibile», rischiando di apparire soltanto, conclude, come «un romanzo criminale». Insomma, ancora ieri all’attesa proiezione per la stampa de La prima linea, è stato quasi impossibile parlare del film. E le polemiche hanno prevalso ancora una volta. Questa è l’Italia. Come hanno ben compreso i fratelli Dardenne, coproduttori della pellicola che, dal loro punto di vista di osservatori «esteri», si sono limitati a commentare: «È un vero peccato che le autorità italiane abbiano reagito in questo modo». Definendo «storica» e «coraggiosa» la decisione del produttore Occhipinti di rinunciare ai finanziamenti pubblici «per evitare di inquinare il film. Un atto di fede – spiegano – rivolto a far sì che si parli del film e basta. Poiché La prima linea è più forte di ogni polemica». Soltanto loro, infatti, provano a soffermarsi sulle ragioni della pellicola: un film riuscito e capace di raccontare con essenziale equilibrio una pagina così nera della nostra storia. «Il regista – dicono i Dardenne – ha vinto la sua scommessa. È riuscito a non trasformare il film in un tribunale, raccontando la storia di un uomo completamente fuori dal mondo che è tornato a far parte della comunità umana dopo aver ucciso». Con un sottotesto incentrato sull’amore tra Sergio Segio e Susanna Ronconi, interpretati da Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno, La prima linea inizia quando tutto è finito. Segio è ormai in carcere (ha scontato 22 anni di pena ed ora lavora nel sociale) e guarda a ritroso la sua scelta. «Avevamo scambiato il tramonto con l’alba. Ci credevamo partigiani, guerriglieri delle lotte di liberazione», dice Scamarcio-Segio. Poi la ricostruzione storica, le azioni di fuoco di Prima Linea. Le stragi di Stato. Il delitto del giudice Alessandrini e i primi dubbi. Fino all’evasione della Ronconi dal carcere di Rovigo, organizzata dal leader del gruppo terroristico. Un lungo lavoro di scrittura, insomma, che lo stesso sceneggiatore Sandro Petraglia rivendica essere stato fatto in totale libertà. Nonostante le pressioni del ministero («abbiamo avuto pure un doloroso incontro con l’associazione dei familiari delle vittime, che quasi ci ha fatto sentire noi dei terroristi», dice) e quelle dello stesso Segio. Ma alla fine, conclude, «un film sul terrorismo non lo scrivono i terroristi o i parenti delle vittime, ma noi che siamo liberi».
L’Unità, 13/11/2009

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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