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Velluto blu - Blue Velvet


Regia:Lynch David

Cast e credits:
Soggetto: David Lynch; sceneggiatura: David Lynch; fotografia: Frederick Elmes; musiche: Angelo Badalamenti, David Lynch; montaggio: Duwayne Dunham; scenografia: Patricia Norris; interpreti: Isabella Rossellini (Dorothy Vallens), Kyle MacLachlan (Jeffrey Beaumont), Dennis Hopper (Frank Booth), Laura Dern (Sandy Williams), Hope Lange (Signora Williams), George Dickerson (Detective Williams), Priscilla Pointer (Signora Beaumont), Angelo Badalamenti (pianista), Jack Harvey (Tom Beaumont), Ken Stovitz (Mike, fidanzato di Sandy), Frances Bay (zia Barbara), Brad Dourif (Raymond); produzione: De Laurentiis; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Usa, 1986; durata: 120'.

Trama:Nella quieta cittadina di Lumberton (North Carolina) il giovane Jeffrey Beaumont il giorno in cui scopre tra l'erba nientemeno che un orecchio umano, pensa subito di consegnarlo alla Polizia (il che gli permette non solo di incontrarsi col detective Williams, che subito gli raccomanda di non impicciarsi più della faccenda, ma anche di innamorarsi teneramente di Sandy, la figlia di questi). La fantasia dei due giovani, tra tentennamenti e curiosità, li spinge ad indagare nella vita privata di Dorothy Vallens, una cantante di un night. Introdottosi di soppiatto nell'alloggio di Dorothy, l'intraprendente Jeffrey si trova coinvolto in una sordida vicenda: dall'armadio, in cui si è piazzato per nascondersi, assiste alle violenze che Frank Booth, un drogato e psicopatico, impone alla cantante, ignobilmente ricattata perché l'uomo le ha sequestrato il marito e il bambino. Allontanatosi Frank, Jeffrey stesso è sottoposto, come affascinato, ad anomale richieste da parte della donna, che gli appare una ninfomane se non addirittura una pazza.Successivamente Jeffrey, deciso a fare luce sul mistero, viene catturato, picchiato e schernito da Frank e da una banda di canaglie. Il ragazzo fa il possibile per salvare Dorothy (che già lo ama e vede in lui il suo unico appoggio) e porre in grado la Polizia di metter fine alla brutta storia. Ci riuscirà, alla fine, facendo tornare Dorothy in possesso del bambino, ma non del coniuge, torturato e ucciso dal folle (era stata sua l'idea di tagliare l'orecchio per terrorizzare la donna), mentre troverà un altro cadavere, quello di uno dei soci della banda, impegolata in traffici loschi, e che è un poliziotto, collega del padre di Sandy. Lo stesso Jeffrey, nell'alloggio di Dorothy, ucciderà il criminale Franck. Poi, nella tranquilla Lumberton, tutto torna nell'ordine consueto.

Critica (1):La morte (...) è parte integrante del regime di 'attrazione' messo in atto da una certa visione cinematografica. È una lezione hitchcockiana di cui si ricorderà Lynch, anche in un film come Velluto Blu. Si prenda lo straordinario incipit della pellicola: sul tessuto ordinario ed eccessivamente ordinato di una tranquilla cittadina americana, tra prati troppo verdi e fiori volutamente troppo colorati, sorge inattesa la minaccia della morte, che l'occhio di Lynch coglie però con una prassi sottilmente differente da quella di Hitchcock. In quest'ultimo, la regia vuole mantenere costante o addirittura alimentare il regime di attenzione per il dettaglio e l'ossessione che ne consegue, fedele a una tensione fatta di paura e desiderio, a una promessa di suspense che il regista non può disattendere. Laddove invece Lynch riesce paradossalmente a unire la forza dell'attenzione con il disinteresse della distrazione, lo shock di un orrore visto troppo da vicino con l'indifferenza di uno sguardo distante, quasi di sorvolo. Per questo l'enormità del dettaglio più schifoso - un livido orecchio mozzato, l'agonia di un uomo o un brulicare di insetti mostruosi - può alternarsi con la banalità di un annaffi atoio, con il rito del tè tra signore o il primo piano di un cagnolino scodinzolante. La regia lynchana rende 'normale' la dialettica dell'attrazione e della repulsione, e mostra l'impazzimento di una realtà in cui non si capisce se è l'irruzione dello strano nel familiare a contare, o se invece è la mutazione di uno strano divenuto troppo familiare a dettare l'ordine dello sguardo. C'è infatti di più della confusione tra immagine e realtà, verità e finzione. Qui la favola più innocua contiene l'oscenità più adulta, allo stesso modo in cui la perversione del detective voyeur si accompagna ora a uno sguardo più che innocente, quasi infantile, capace di appassionarsi per un glamour posticcio e di cattivo gusto, come il corpo di Isabella Rossellini, la modella Lancôme che Lynch dipinge con make up stinto, decomposto.
Segno dei tempi, di un delirio dell'immaginazione e dell'immaginario, rispetto al quale la regia cinematografi ca si pone come ultima, eccentrica, testimonianza.
Michele Fadda (dal catalogo della rassegna Coppie di fatto, Cineteca di Bologna)

Critica (2):E' prerequisito dei film maledetti che vengano scoperti ad anni o decenni di distanza dalla loro realizzazione. I film maledetti, di solito, vengono trascurati o sommariamente liquidati come operazioni di puro entertainment commerciale. Spesso appartengono a generi stigmatizzati come "evasivi" o addirittura "reazionari" (la parola non è a caso, visto che alla categoria appartengono alcuni dei grandi capolavori del fantastico dei decenni dal '40 al '70) oppure sono diretti da autori che solo a posteriori godranno di rivalutazione critica (per fare solo un titolo, La volpe di Powell e Pressburger, i quali, già considerati dai critici contemporanei niente più che divertenti giocherelloni, per questo film specifico furono liquidati come due anziani rincoglioniti manovrati da Selznick e signora). Il film maledetto unisce generalmente al biasimo critico il disinteresse del pubblico, in una strana convergenza di solida incomprensione. Da circa una decina d'anni, la categoria non dovrebbe più esistere, se non sul piano puramente economico (ma questa è un'altra storia): di bocca persin troppo buona, abbiamo imparato a vedere di buon occhio generi e sottogeneri, film di serie B e mastodontici campioni di incassi; voltiamo e rivoltiamo il prodotto finchè non siamo riusciti a fame emergere il "segno", l'ironia metalinguistica, la sotterranea dissacrazione. E' perciò quanto meno curiosa la sorte toccata a Velluto blu, film maledetto dell'anno (ma più probabilmente del decennio). Evidentemente, la maledizione gioca entro ambiti più contenuti rispetto a epoche passate. Ma, nonostante qualche isolata voce favorevole, il giudizio unanimemente pesato su Velluto blu è stato violentemente negativo, quando non derisorio.
Segnato molto prima dell'uscita dall'anatema lanciato dalla Mostra di Venezia ("Non farò mai questo alla povera Ingrid!"", con cui si dice il direttore lo abbia scartato riferendosi alle presunte scene hard interpretate da Isabella Rossellini), il film ha goduto di un'immediata curiosità del pubblico, crollata quasi subito davanti all'inesistenza di pornografia esplicita.
In questo film si parla molto di situazioni spinte (spinte al limite delle fantasie sessuali adolescenziali), ma si vede pochissimo, almeno al livello più elementare di rappresentazione visiva, quello in cui il segno corrisponde al proprio significato letterale. Come dire che l'organo sessuale di Isabella Rossellini è mostrato piuttosto casualmente e fuggevolmente, a distanza e in posizione eretta dell'attrice: in compenso, il film è cosparso di altre immagini che lo significano, oggetti apparentemente casti, un orecchio, il tessuto di una vestaglia, magari una rosa. Detto così, ci si accorge subito che queste figure, per conformazione e disposizione dei volumi o per qualità tattili (il velluto moirée), sono tutt'altro che caste, e hanno addirittura una lunghissima tradizione iconografica e culturale di identità con la vulva. Ma al cinema, chissà perchè, non se ne è accorto quasi nessuno. Per cui, la critica che ha indicato Ballando con uno sconosciuto di Newell come un capolavoro torbido liquida, non bonariamente, Velluto blu come una ridicola variazione sadomasochista sul noir.
Certo, se Velluto blu fosse un'ennesima rivisitazione del genere più rifrequentato degli ultimi 15 anni, non uscirebbe dai confini di un'ingenua e pasticciata riscrittura. Se fosse un'esibizione sporcacciona, non scandalizzerebbe neppure il buon senso comune di un commissario censorio. Se fosse un attacco allo stile di vita della middle class americana, sarebbe inevitabilmente smorzato dalla ri
composizione finale, quel "lieto fine" che tutti, anche i rarissimi estimatori, hanno visto. Ma in quale film? Da Velluto Blu, secondo me, si esce agghiacciati e oppressi da imprecisati incubi del passato. C'è un universo di mostri, desideri e perversioni (comune a tutti noi) che giace, dai tempi della nostra permanenza nell'utero, oscurato sotto il livello attivo della coscienza, per risvegliarsi apertamente di notte nel sogno e per determinare oscuramente tutta la storia dei nostri rapporti personali. Velluto blu è chiaramente un sogno edipico; dice senza perifrasi che, per crescere, bisogna uccidere il padre (Dennis Hopper) e fare l'amore con la madre (Isabella Rossellini). Affinchè non ci siano dubbi in proposito, il regista fa applicare a Dennis Hopper durante i suoi deliri erotici la mascherina ad ossigeno che il vero padre ha sul viso nel suo letto d'ospedale e fa dire al furibondo ex-fidanzato di Sandy, alla vista di Isabella Rossellini nuda fuori dalla casa di Jeffrey, "Chi è questa, tua madre?".
A questi, affianca una miriade di altri indizi espliciti. Ancora una volta, però, se Velluto blu fosse solo una contorta ma palese metafora edipica (che pure è, come è anche un attacco alla società americana, molto più feroce di quanto sia stato giudicato; il tutto riscritto in nero), sarebbe più divertente che inquietante, più tradizionale che misterioso; un buon film, comunque, ma non un film così radicalmente nuovo.

Emanuela Martini, Cineforum n. 260 Dicembre 1986.

Critica (3):

Critica (4):
David Lynch
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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