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Paradise Now - Paradise Now


Regia:Rachlin Sheldon

Cast e credits:
Fotografia, suono e colore
: Sheldon Rachlin; colore elettronico e apparecchiature di montaggio: Intertei Colour Television; montaggio elettronico: Mike Corry; titoli: Joe Garcia; produttore esecutivo: Lindsey Clennel; interpreti: Pamela Badyk, Cal Barber, Julian Beck, Rod Beere, Odile Bingisser, Patty Blaney, Mel Clay, Pierre Biner, Echnaton, Carl Einham, Roy Harris, Jenny Hecht, Frank Hoogeboom, Henry Howard, Nona Howard, Steve Ben Israel, Birgit Knabe, Judith Malina, Mary Mary Krapf, Günter Pannewitz, Alain Suire, Luke Theodore, Diana Van Tosh, Leo Treviglio, Steve T’sun, Peter Weiss, Karen Weiss; riprese effettuate alla Sportpalast di Berlino (10 gennaio 1970) e al Théatre 140 di Bruxelles (13 dicembre 1969); origine: USA, 1970; durata: 95'.

Trama:Khaled e Saïd, due giovani palestinesi amici fin da piccoli, vengono reclutati come kamikaze per un attentato a Tel Aviv. Dopo aver passato la loro ultima notte di vita insieme alle proprie famiglie, Khaled e Saïd vengono sottoposti dall'Organizzazione al rito preparatorio nel corso del quale indossano i congegni esplosivi. Tuttavia, mentre i due ragazzi si preparano al momento decisivo, qualcosa non va come previsto e si ritrovano da soli a fare i conti con i propri ideali e le loro paure..

Critica (1):“La trama è la rivoluzione”. Su questo itinerario Paradise Now consiste, come è noto, in un lucido sogno-viaggio in otto stazioni (dieci nel primitivo periodo di prova). Ogni stazione in questa ascesa al miracoloso della rivoluzione si compone di tre distinti momenti. Prima un rito che rappresenta quello che ciscuno degli attori sente o può fare nei riguardi degli altri: un’esemplificazione del modo di vita della comunità, che conduce poi come corrispettivo dinamico a un trance o stato visionario collettivo, culminante appunto in una visione. Questa si produce in un viaggio spirituale proposto come doppio degli elementi determinati del momento e quindi offerto come meccanismo per la rivoluzione non violenta. Lo sciogliersi della visione determina le azioni che descrivono il funzionamento concreto della rivoluzione nel mondo e coincidono ogni volta con un richiamo all’intervento del pubblico. L’azione finisce in una pausa di silenzio e di riflessione, necessaria a salire il successivo gradino della scala del paradiso rivoluzionario, e quindi alla celebrazione del nuovo rito. L’unico artificio scenico applicato in Paradise Now è un alternarsi dei colori delle luci (coi riflettori in posizioni fisse) per ciascuno dei gradini percorsi: con un effetto che non è puramente illusorio, nonostante la suggestione provocata dai colori solitamente inutilizzati in teatro (blu pieno, verde pieno, arancio pieno, ecc...); nelle intenzioni della compagnia la ricerca dei colori cambia infatti il senso della prospettiva e rinfrangendosi sui corpi ne muta la temperatura [...]. Parallela è la funzione del suono, affidato completamente, come del resto in Antigone e nel Frankenstein, all’espressione vocale e totale del corpo degli attori. Anche qui il contesto musicale si alimenta dell’uso della percussione delle mani sui corpi, come della percussione palatale, della inspirazione, della semplice emissione dei fiati. ma per esprimere il raggiungimento dell’armonia il mezzo più usato diventa il coro senza parole, già asceso a simbolo dell’accordo universale in una scena dei Mysteries e qui ripetuto in tutte le gamme di possibile amplificazione, con risultati impensabili. Il puro suono è riproposto in Paradise Now come esperienza, secondo le parole di John Cage e come mezzo di identificazione psicologica.
Franco Quadri, Il teatro dell’utopia, in Paradise Now a cura di F. Quadri, Einaudi, Torino 1970

Critica (2):Almeno quaranta film sono stati fatti sul Living Theatre; toccò al filmaker americano Sheldon Rachlin (in precedenza responsabile del meraviglioso Vali), di realizzare il film “definitivo” su uno dei più famosi dei loro lavori: Paradise Now, girato a Bruxelles e al Palazzo dello Sport di Berlino. Realizzato in videotape, colorato espressionisticamente con “iniezioni” di mezzi elettronici, il film ne esce come la trasformazione ipnotica di un avvenimento teatrale in cinema poetico, catturando l’atmosfera e la frenesia dell’originale. Nessuna registrazione documentaria gli avrebbe reso giustizia.
Amos Vogel, Il cinema come arte sovversiva, Studio forma, Torino 1980

Critica (3):

Critica (4):
Sheldon Rachlin
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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