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Gravity


Regia:Cuarón Alfonso

Cast e credits:
Sceneggiatura: Alfonso Cuarón, Jonás Cuarón; fotografia: Emmanuel Lubezki; musiche: Steven Price; montaggio: Alfonso Cuarón, Mark Sanger; scenografia: Andy Nicholson; arredamento: Rosie Goodwin, Joanne Woollard; costumi: Jany Temime; effetti: Tim Webber, Chris Lawrence, Dave Shirk, Neil Corbould, Framestore 4Dmax; suono: Glenn Freemantle, Skip Lievsay, Niv Adiri, Christopher Benstead, Chris Munro; interpreti: Sandra Bullock (Dott.ssa Ryan Stone), George Clooney (Matt Kowalsky); produzione: Alfonso Cuarón, David Heyman per Esperanto Filmoj- Heyday Films; distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia; origine: Usa, 2013; durata: 92’.

Trama:La dottoressa Ryan Stone affronta il suo primo viaggio spaziale a bordo di uno Shuttle pilotato da Matt Kovalsky che, al contrario, di esperienza di volo ne ha maturata fin troppa ed è al suo ultimo viaggio prima di ritirarsi. Una missione di routine che si trasforma ben presto in un disastro: i due protagonisti, infatti, si ritrovano a fluttuare nello spazio e isolati dalla Terra, con scarse possibilità di essere recuperati, poco ossigeno e tempo in calo per riuscire a trovare un modo per salvarsi.

Critica (1):A testa in giù, con le gambe all'aria, roteanti come pale di un mulino, leggeri come foglie al vento, uniti da un cavo che si tende e si aggroviglia sbatacchiandoli senza pietà, il corpo che si contrae lottando contro l'assenza di peso, di controllo, di direzione. Non si erano mai visti due divi come George Clooney e Sandra Bullock strapazzati come in Gravity. Quasi invisibili, nascosti da tute e caschi spaziali per buona parte del film (Clooney ha una sola scena a volto scoperto), calati dentro due personaggi che sono una somma di archetipi senza precedenti e insieme una metafora flessibile e potente. (...) Il tutto esaltato da un 3D che per una volta non ha nulla di decorativo. Naturalmente si pensa alla fantascienza filosofica di Kubrick, il nome più citato uscendo dal film del messicano Alfonso Cuarón, regista anomalo e sempre spiazzante (...). Ma è in parte una falsa pista. Anzi per certi versi Gravity è l'opposto di 2001. Non solo per la coloritura ironica dei dialoghi, ma perché è l'orizzonte stesso del film a essere diverso. Kubrick girava nel 1968, all'alba dell'era informatica, e partiva dal divenire umano delle macchine, ovvero dalla possibilità di simulare il cervello (Hal 9000). Cuarón ribalta la prospettiva. Non parte dalla mente ma dal corpo: che ne è del nostro corpo – gambe, braccia, sensi, riflessi – oggi che le macchine sono parte integrante della nostra vita? Che cosa ci succede se a forza di delegare, smaterializzare, implementare, non distinguiamo più alto e basso, vicino e lontano, reale e virtuale? 2001 coglieva nella nascita della tecnica (l'osso che diventava astronave) il punto di non ritorno della specie umana. Gravity è figlio di Google Earth, della finta onnipotenza e della profonda malinconia dei nostri anni. La corsa allo spazio è finita da un pezzo. Oggi è lo spazio (virtuale) che entra in noi, svuotandoci, non viceversa. Siamo noi i pianeti da (ri)conquistare. Anche se «l'alba sul Gange», come dice Clooney, vista da lassù è meravigliosa.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 9/8/2013

Critica (2):Gravity funziona, è angosciante e al tempo stesso divertente, e i cascami filosofici che Cuarón e il co-sceneggiatore (suo figlio Jonas) vi hanno disseminato non danno fastidio. George e Sandra sono soli, nel film: più soli di chiunque altro. (...) Terribilmente autentica la sensazione di ciò che (forse...) davvero si prova, in assenza di gravità, in un ambiente dove non c'è più il sopra o il sotto, la destra e la sinistra, ma solo il fuori: un fuori gigantesco e buio, dove perdersi è questione di attimi. Cuarón e Cuarón jr. hanno voluto dare al personaggio di Ryan Stone un passato (...) che dà vita a dialoghi spesso ingombranti. Ma il regista messicano è riuscito a capovolgere il film, a sconvolgere anche drammaturgicamente le nozioni di sopra e sotto, prima e dopo. Invece di usare il genere per approfondire le psicologie dei personaggi – operazione pre-freudiana, alla base di tanto cinema parolaio e noioso – ha usato le psicologie, estremamente basiche, per caricare il genere di adrenalina. Il fatto che Stone e Kowalski siano simpatici, e interpretati da due divi, serve ad acchiappare lo spettatore per la collottola nel momento in cui i due sono assaliti da un pericolo indicibile, assai più pericoloso di qualunque alieno: l'ossigeno che sta per finire, lo spazio nero tutt'intorno, l'impossibilità di smettere di fluttuare, il non veder nulla... che c'è di più spaventoso? Gravity comunica questo pericolo: non è per agorafobi, né per chi soffre di vertigini. Fa stare veramente male. Clooney e Bullock l'hanno girato all'interno di una «light boxe», una scatola di luci che simulava l'assenza di gravità e li costringeva a recitare appesi nel nulla.
Alberto Crespi, L'Unità, 29/8/2013

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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