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At Berkeley


Regia:Wiseman Frederick

Cast e credits:
Fotografia: John Davey; montaggio: Frederick Wiseman; suono: Frederick Wiseman; produzione: Berkeley Film, Inc. in coproduzione con The Independent Television Servic E (Itvs); origine: Usa, 2013; durata: 224’.

Trama:Il documentario di Frederick Wiseman costituisce uno sguardo ad ampio raggio sulla vita quotidiana dell'università di Berkeley, il più antico e prestigioso ateneo dello stato della California. L'attenzione del regista si dispiega, in larga parte, nella descrizione della vita del campus, passando attraverso la complessa gestione amministrativa, gli incentivi legati all'eccellenza accademica e, infine, il variegato tessuto sociale, economico e razziale rappresentato dagli studenti. Un ulteriore aspetto affrontato dal film, non meno importante, è il profondo legame instaurato dall'università di Berkeley con il governo della California e con quello federale, nel tentativo di offrire una panoramica sul ruolo di mediatore rivestito dall'ateneo, diviso tra obblighi verso le strutture governative e la sua funzione legata all'istruzione superiore e alla ricerca.

Critica (1):“At Berkeley"
Intervista a Frederick Wiseman
di Valentina Alfonsi

Frederick Wiseman è a Venezia, fuori concorso, con At Berkeley, un documentario ambientato nella celebre università californiana. Quattro ore di cinema durante le quali l'osservazione si fa pensiero e viceversa.

Perché un film su Berkeley?

Il progetto fa parte della serie che ho dedicato alle istituzioni. Volevo che quella al centro del film fosse un'università pubblica e di alto livello, e Berkeley è una delle più famose oltre che tra le migliori al mondo. Non mi aspettavo che mi avrebbero dato il permesso di girare lì e invece sono stati molto aperti. Le riprese sono durate dodici settimane e io mi sono occupato personalmente anche del sonoro.

Buona parte del film si concentra sui dialoghi e le discussioni. È stata una scelta preliminare o una conseguenza dell'osservazione?

Non prendo mai delle decisioni nette in anticipo. In questo caso la scelta di inserire lunghe scene di dialogo si è imposta da sé, perché all'università le parole sono predominanti e lo spazio per l'azione fisica – che invece era fondamentale in un film come La danse, nel quale la storia si sviluppava proprio dal movimento – qui è ridotto al minimo. Ho cercato di concentrarmi su tutto ciò che normalmente ha a che fare con le attività universitarie e la vita accademica, senza entrare negli aspetti più privati delle giornate di queste persone.

Infatti vediamo gli studenti discutere solo e sempre in presenza dei professori: questo può aver influenzato il loro comportamento di fronte alla macchina da presa?

Devo dire che a Berkeley il rapporto che si instaura tra studenti e professori è in genere positivo. Ho visitato alcune università francesi e mi sono reso conto che in quelle americane la partecipazione degli studenti è di gran lunga più incoraggiata: gli insegnanti non sono figure autoritarie e distaccate, ma portano avanti uno scambio costante con i ragazzi. Mi sembra un modello educativo da preferire.

Come ha selezionato le lezioni universitarie, di materie scientifiche e letterarie, che vediamo nel film?

Ne ho filmate moltissime e ho inserito nel montaggio finale quelle più vicine ai temi che volevo trattare, come la percezione del tempo o la differenza tra profondità e superficie.

L'ultima parte del film contiene anche le proteste degli studenti a sostegno della gratuità dell'istruzione.

Berkeley è molto di più, come il resto del film mostra chiaramente, ma quelle manifestazioni ne rappresentavano una piccola parte che andava comunque inserita.

L'architettura è stata un elemento importante nell'osservazione della vita quotidiana a Berkeley?

Certo, gli edifici dicono sempre qualcosa sulla storia di un luogo e ne definiscono lo stile, l'atmosfera.

Aveva già raccontato il mondo della scuola con High School nel 1968 e High School II nel 1994: da allora il suo approccio di regista verso l'ambiente scolastico è cambiato?

Non credo di possedere un solo tipo di approccio verso la scuola o qualunque altro ambiente. E non comincio mai un film pensando "questo è il modo corretto di girarlo". L'approccio giusto per ogni film va cercato, trovato e, se necessario, modificato di volta in volta sul posto, tenendo conto della città in cui si svolgono le riprese o, nel caso dei film citati, dell'età dei protagonisti, che in High School era più giovane rispetto a quelli di At Berkeley. Il soggetto conta molto.

Quest'anno a Venezia ci sono molti documentari, ma spesso gli autori di questi film non amano definirsi "documentaristi". Cosa ne pensa?

Sono d'accordo, mi considero semplicemente un regista che gira film drammatici basati su eventi reali.
cineforum.it

Critica (2):È il momento del documentario: festival, rassegne, premi. Del genere Wiseman può essere considerato un progenitore, una specie di padre nobile, autore di opere fondamentali che risalgono all'epoca in cui i documentari venivano ancora discriminati e snobbati (tant'è vero che Titicut Follies e Hospital sono film splendidi quanto misconosciuti). Ma la sua nobile paternita
rispetto al genere passa anche attraverso uno stile che ha fatto scuola e diversi discepoli, non ultimo il Gianfranco Rosi di Sacro Gra. Uno stile improntato a un atteggiamento di discrezione e curiosità: nel raccontare un luogo Wiseman si fa piccolo piccolo, praticamente invisibile. Ma questa invisibilità gli permette di essere al contempo onnipresente, di vagare indisturbato da un ambiente all'altro senza essere mai invasivo, in modo tale che gli spettatori non percepiscano mai la presenza di un cineasta/narratore. Un'assenza cruciale sul piano estetico, poiché alla lunga genera nel pubblico un'impressione di familiarità con l'ambiente descritto. Per rimanere ai suoi ultimi film, Boxing Gym e Crazy Horse, usciamo dalla sala con la netta impressione di avere frequentato per un po' una palestra di pugilato e un locale di spogliarelli, di averne colto appieno le dinamiche interne e le scansioni quotidiane, al di là di quanto questi spazi possano esserci abitualmente estranei. Qui il compito del regista si presenta più arduo, poiché l'università – a maggior ragione nel caso di un campus imponente come quello californiano di Berkeley – è un mondo infinitamente più vasto, complesso e articolato del microcosmo rappresentato da un locale notturno o da una palestra. Ma Wiseman non si scoraggia, anzi decide di fare dell'eterogeneità l'ingrediente principale del film. Boxing Gym e Crazy Horse erano documentari verticali, dove lo sguardo del cineasta andava in profondità, sondando un repertorio circoscritto di spazi e di personaggi. At Berkeley invece è un documentario orizzontale, dove quello stesso sguardo attraversa un repertorio di situazioni fra loro molto differenti. A seconda dei momenti, nel film sentiamo parlare di studi per la cura del tumore, di scheletri di dinosauro da ricomporre, della potatura dei prati del campus, di poesia, di teatro, di budget. La parola viene data in ugual misura a studenti, professori e burocrati, di volta in volta protagonisti di conversazioni che, per creare quell'effetto di naturalezza che rappresenta il tratto distintivo del cinema di Wiseman, si sviluppano nel tempo. Sequenze lunghe, articolate quanto l'argomento che vi viene dibattuto, solitamente complesso e talvolta irrisolvibile. Ad esempio il problema del denaro, forse la presenza più ricorrente nel film. Una ricorrenza deleteria, visto che affligge in ugual misura il corpo dei docenti - da qui gli accorati appelli del rettore ai colleghi perché selezionino con oculatezza le nuove leve – e gli studenti – tra i quali si discute sull'opportunità di indebitarsi da giovani per pagarsi gli studi. Ma Wiseman non permette al tema delle carenze economiche, che pure ha la sua parte nelle conversazioni, di trasformare il suo film in un atto di denuncia contro i tagli all'università. Al contrario Berkeley esce dal documentario pienamente all'altezza della sua fama: un luogo di intenso scambio dialettico e culturale, dove le opinioni si incontrano e si confrontano con invidiabile frequenza ed estensione di argomenti. Insomma un'università, nel senso pieno ed etimologico del termine.
Leonardo Gandini, Cineforum n. 528, 10/2013

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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