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Isabelle


Regia: Locatelli Mirko

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Mirko Locatelli, Giuditta Tarantelli; fotografia: Ugo Carlevaro; musiche: Mirko Locatelli; montaggio: Fabio Bobbio; interpreti: Ariane Ascaride (Isabelle), Samuele Vessio, Robinson Stévenin, Lavinia Anselmi; produzione: Strani Film, Rai Cinema; distribuzione: Strani Film; origine: Italia, 2018; durata: 90’.

Trama:Isabelle è un'astronoma di origini francesi, vive in Italia in una grande casa immersa tra i vigneti sulle colline nei pressi di Trieste. Il sole splende sulla campagna, il mare a pochi chilometri si infrange sulla costa rocciosa, il paesaggio è un paradiso e come tutte le estati suo figlio Jérome passerà qualche tempo con lei. Isabelle lo ama molto, è pronta a fare qualsiasi cosa per lui, ma l'incontro con Davide, un giovane che sta attraversando un momento di grande difficoltà, stravolgerà le loro vite e Isabelle dovrà compiere una scelta che porterà inevitabilmente a un epilogo doloroso.

Critica (1):Quando ho iniziato a immaginare una direzione per Isabelle, mi sono imposto di rifuggire gli stereotipi del cinema di genere, a vantaggio degli aspetti più intimi dei singoli personaggi, tutti incapaci di gestire un ruolo che la vita gli ha riservato loro malgrado. Ho sempre pensato a Isabelle come uno di quei personaggi del teatro borghese di Augier o Dumas, che portano il gioco della vita e della morte sul palcoscenico, che lottano contro se stessi e il loro sistema di valori pur di proteggere la propria posizione sociale. Isabelle è anche un film sull’incedere del tempo sui corpi, sull’ipocrisia e l’egoismo degli esseri umani, sul coraggio e la coscienza con la quale prima o poi ognuno di noi è obbligato a confrontarsi.
Mirko Locatelli, dal pressbook del film

Intervista al regista Mirko Locatelli
Si tratta di un film orgogliosamente intimo, quasi famigliare…
Nonostante la storia avesse le caratteristiche per poter sfruttare gli stereotipi del cinema di genere, ho concentrato l’attenzione sull’ascolto della coscienza dei singoli personaggi e la rappresentazione dell’intensità dei loro rapporti attraverso uno scontro tra i corpi. Quello di Isabelle, una donna matura che lo tiene al sicuro; il corpo adolescente di un eroe sopravvissuto, Davide, che si mostra senza pensare; e quello inquieto di Jérôme, a metà strada tra i due, per raccontare un dramma famigliare in cui i confini tra il bene e il male si sfumano e le paure trasformano i rapporti.
Definiresti Isabelle un “dramma borghese”?
Ho organizzato la messa in scena del dolore come da un palcoscenico, con gli attori confinati in piani sequenza, entro quadri ben definiti e privi di frammentazione interna alle scene. Ogni momento si svolge tutto d’un fiato, con la “teoria di Isabelle” che fa da traccia nello sviluppo della storia. Come nel teatro ottocentesco Isabelle porta la rappresentazione dell’egoismo e dell’ipocrisia della classe borghese sul palcoscenico, ad un ritmo tale da trascinare se stessa e gli altri nel baratro, quindi direi di sì.
Isabelle e Davide hanno modi di fare molto civili, borghesi, ma dietro la facciata sono come animali feriti in difesa del proprio territorio…
La violenza e la fragilità sono gli elementi su cui si incardinano i ruoli dei due personaggi: vivono il dolore nella totalità e si trasformano fino a raggiungere quasi un’inversione delle parti.
La storia di Isabelle, ma anche dei personaggi che la circondano, è ricca di non detti, di
sospesi. Come si filma il “non detto”?
Si costruisce in scrittura e si filma cercando di rispettare il ruolo di ogni singolo personaggio, nella sua essenza più intima. Durante la messa in scena Isabelle parla in continuazione, ma è nella differenza tra ciò che dice e ciò che realmente fa che cogliamo le sue debolezze, la sua umanità; in molti casi quello che noi registi scegliamo di escludere alla visione assume maggiore importanza di quello che mostriamo chiaramente, un gesto o un’azione interrotta destano curiosità, è così anche nella vita reale: quello che non riusciamo a comprendere con chiarezza nelle persone è ciò che ci
spinge ad avvicinarci e spesso ciò che non mostriamo nasconde la nostra vera essenza.
La casa di Isabelle, il mare e la natura, l’ambiente che la ospita. Quanto hanno contato le location della costruzione del film?
Gli ambienti carichi di luce e suoni naturali sono stati il punto di partenza per la ricostruzione visiva di un mondo narrativo visualizzato già in scrittura. I luoghi sono stati concepiti con una tale necessità da sembrare veri e propri personaggi. La casa ad esempio doveva rappresentare un nido facilmente espugnabile, con i cancelli che chiudevamo male, con un varco, un punto debole; il mare, la pioggia e l’acqua come elemento attraverso il quale avvenivano i cambiamenti più significativi nei rapporti tra i personaggi. Gli ambienti erano vivi, dovevano respirare, a volte più delle persone.
Dopo la storia di un ragazzo (Il primo giorno di inverno), di un uomo (I corpi estranei)
ora è il turno di una donna (Isabelle). Una scelta voluta?
Non si tratta di una vera e propria trilogia anche se è vero che sono tre film sul dolore e il protagonista tenta di risolvere il proprio conflitto facendo i conti con la propria coscienza.
(dal pressbook del film)

Critica (2):A dieci anni di distanza da Il primo giorno d'inverno, lo sceneggiatore e regista milanese Mirko Locatelli costruisce un'opera sulla condizione di una donna colta in una fase particolare della sua vita. Accoglie nelle campagne triestine la riflessione esistenziale e nondimeno morale che il racconto conduce sviluppando sezioni basate sui mesi estivi, nell'arco di un'intera stagione, men-tre osserva il gioco della vita e della morte di individui che lottano contro se stessi e il proprio sistema di valori pur di difendere la propria posizione sociale. Le ambientazioni, i tempi e le modalità realizzative fanno pensare, specie nella prima parte, a Eric Rohmer e al suo cinema, quando poi i sapori di Isabelle sono molti e baluginanti, confluiscono in un cinema di sospensioni che potrà non sembrare pienamente definito in tutti i suoi punti, anche in ragione di una sceneggiatura non rigidamente strutturata (premiata nondimeno al Festival di Montreal).
Isabelle, con i suoi toni francesi ben poco frequentati dal cinema italiano, riesce - questa secondo chi scrive la singolarità del film - a svincolarsi da talune presunte strettoie espressive ponendosi come un film di domande non avviluppate attorno ad una scrittura forte, ma via via più vaporosa che però coglie, nei comportamenti come nelle esitazioni, l'animo impetuoso e complesso della protagonista, un'accademica sessantenne, mostrandocene la solitudine e il dramma sotto traccia. Se la presenza di Ariane Ascaride, compagna di vita e d'arte di Robert Guédiguian attorno alla cui presenza il film di Locatelli si costruisce, fa subito pensare a un cinema delle idee orgogliosamente indipendente, il film è tale anche nei confronti del materiale drammatico che non obbedisce ai vincoli del cinema di genere pur vivendo di sfumature che possono avvicinare il racconto a un universo dai sapori chabroliani oltre che alle atmosfere di Rohmer.
Isabelle però non è e non vuole essere, come in Chabrol, un noir vero e proprio, nemmeno indulge in colpi di sorpresa e in sequenze ad effetto drammatico (casomai potranno essere percepibili come delle forzature in un disegno rarefatto talune situazioni che si offrono come "ingombranti", si veda il tentativo di seduzione di Davide che sfocia in un atto di violenza), ma è tutto una questione di sguardo, di condivisione degli spettri che si annidano nell'anima della protagonista cui fa da contrasto la placida bellezza dei vigneti rigogliosi con le colline accarezzate dal sole. Locatelli pone un'attenzione costante ai corpi dei personaggi che, in una danza dei tempi sottilmente imprevedibile che non si sottrae alla meraviglia dell'imprevisto, tocca sponde perigliose e sporgenze di desiderio, mostrando la fenomenologia di relazioni che appaiono in un certo modo e sottendono altro.
La rappresentazione è rappresa in un disegno di sottrazione e prosciugamento più che di enfasi e sottolineature, perché tante volte è ciò che non viene detto o mostrato a rivelare di più sulla realtà delle intenzioni. Isabelle è un'insegnante di fisica di origini francesi che vive in Italia in una grande casa immersa tra i vigneti, dove il paesaggio delle colline triestine è il denso teatro di un personaggio cui la vita ha assegnato un ruolo che non riesce a gestire. In ciò, il regista ha pensato alla protagonista come a uno dei personaggi del teatro borghese di Dumas o Augier; Isabelle guarda le stelle senza romanticismo ma con curiosità scientificae il suo grande amore è il figlio Jéróme che, in Francia, diventerà presto padre di una bambina.
Ma Jéróme è coinvolto in un incidente in cui ha perso la vita una persona e Isabelle, pur di proteggere il figlio e la famiglia, vuole che Jéróme resti lontano, non si esponga; nella sua smania di controllare la realtà, Isabelle vive l'ossessione di sapere se le indagini e le tracce potranno portare al figlio. Finirà per commettere imprudenze, a negare le evidenze avvicinandosi morbosamente a Davide, un ragazzo problematico sopravvissuto all'incidente, anch'egli alla ricerca della verità e soprattuto di un adattamento. A lui, che avrebbe di sicuro bisogno di una figura matura come riferimento, Isabelle darà lezioni private per tenerlo vicino a sé e controllarlo, sconcertando il figlio sopraggiunto dalla Francia e preoccupato perché il comportamento della madre potrà essere controproducente e destare sospetti. L'esame di realtà che Isabelle esegue è tutto sbilanciato nei termini di un'ossessione che la donna via via non controlla, con atteggiamenti verso Davide che ne mostrano scopertamente la fragilità e favoriscono il conseguente ribaltamento di posizioni, con il giovane che, sempre di più sospettoso di Isabelle, acerbo e inesperto alla vita quasi quanto lo è lei, porterà la donna non più giovane all'umiliazione.
La tensione che cova sotto la pelle dei personaggi non si scopre quasi mai del tutto, rimane come pronta ad esplodere. Ma saranno i dettagli e le situazioni a richiamare la tensione, a evocarla (il quadro che cade e rompe il silenzio, la sequenza del ballo, splendido piano sequenza, in cui Davide invita Isabelle a danzare), a liberare, senza moralismi né retorica, un dialogo dei corpi al di là delle scarne parole, per lasciare implodere, più che esplodere, i non detti. Isabelle è normalmente pronta a ricordare a tutti cosa bisogna fare, come ci si deve comportare, ma quando qualcosa di più grande (e non previsto dalla sua teoria fisica) mette in gioco i suoi equilibri e la sua tranquillità, si mostra davvero disposta a tutto pur di ristabilire il controllo. Ma il mondo dei non detti, che accomuna lei agli altri personaggi, innesta quelle dinamiche che lasciano emergere le debolezze della madre, portandola a maturare una consapevolezza cui fa cenno il finale privo di retorica, che può preludere a un riscatto della coscienza.
Girato con i mezzi di un film fatto in famiglia, sottile anche se privo dell'incisività che ci si aspetta troppo sovente al cinema, il film ha qualche incertezza e risente, nonostante l'ottima Ascaride, di qualche dettaglio recitativo non perfetto. Ma si tratta di un'opera dolente e delicata, dove si torna a raccontare la vita senza fretta e mostrando un malessere che detta la temperatura emotiva della rappresentazione. Non a caso, la prima parte del film sembra in parte un melodramma trattenuto, dove le emozioni sono celate nella giovialità dei pranzi di gruppo in giardino, dietro l'apparente armonia di una vacanza che vorrebbe apparire lieta e imperturbabile. Soloquando mamma e figlio sono al riparo dall'attenzione indiscreta, i rimorsi e le angosce hanno sfogo e la rappresentazione comincia a vivere di quel contrasto tra l'apparenza dell'ufficialità e le fiamme che divorano l'interno.
Lo spazio riservato a Jérôme si fa più sottile e il film si trasforma nella descrizione del rapporto tra la sessantenne e il giovanotto provocando un inaspettato riaffiorare della passione che ha un elemento eccitante, con una riflessione sui fantasmi della coscienza e le inibizioni del modello sociale di Isabelle che offre lampi di cinema ispirato e impreveduto. L'insegnante di fisica perde i riferimenti e il film segue il suo deragliamento, sino all'ultimo sguardo, il risveglio della coscienza davanti al ciglio della strada in cui si ricorda che qualcuno ha perso la vita. Un lampo dolente che, fissandosi come un punto di svolta, porta alla resa dei conti Isabelle e chiude il racconto di Locatelli sul non detto, lasciando lo spettatore con molte domande. Un limite può essere ravvisato nella definizione del personaggio di Davide, forse più una funzione che una figura analizzata a fondo. Ma in questo cinema dello sguardo, dell'osservazione, c'è un'onestà di fondo che si esprime nella libertà lasciata allo spettatore, non perseguitato da tempi concitati, da punti di vista imposti, ma lasciato libero di esprimere un suo punto di vista anche attraverso tempi di visione perduranti e dilatati, piani sequenza in cui la vita si dipana e crea inevitabilmente empatia con chi osserva.
Roberto Lasagna, Cineforum n. 580, 12/2018

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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